Nel Dizionario della Dottrina sociale della Chiesa, Massimiliano Monaci ribadisce che la componente umana crea valore economico ma è soprattutto un valore in sé e in questa prospettiva è necessario agire per risultati di lungo periodo
Massimiliano Monaci*
Le attuali pratiche di “gestione delle risorse umane” o HRM (Human Resource Management) procedono dalla convinzione che le persone siano centrali per il successo di un’azienda negli odierni ambienti competitivi. In questo campo – tuttavia – non mancano aspetti di opacità, a partire dall’ambivalenza intrinseca alla nozione stessa di “risorsa umana”, che simultaneamente rimanda a un utilizzo strumentale delle persone in funzione della prestazione e alla loro valorizzazione nel lavoro. In tale scenario, la Dottrina sociale della Chiesa (DSC) ha parecchio da dire ai fini di una più adeguata comprensione dell’umanità delle persone “gestite” nelle organizzazioni. Ciò, innanzitutto, attraverso il riferimento ai suoi principi basilari: da quello fondativo del rispetto della Dignità Umana, esplicitato sin dalla Rerum Novarum (20), a quello del bene comune; dal valore dello “sviluppo umano integrale” (p.es., di recente, in Papa Francesco, Evangelii gaudium, 182 e 240), ai principi di sussidiarietà, solidarietà e giustizia; fino a quello della gratuità come logica del dono e del servizio (Caritas in veritate, 36). Acquisisce quindi senso l’invito a concepire e costruire l’impresa come “comunità di persone” (Centesimus annus, 35), in cui i partecipanti, nel lavoro in comune, possono trovare un “significato soggettivo” di sé stessi (Laborem exercens, 6), sviluppandosi nella propria piena umanità.
Da questa attenzione all’interezza dell’essere umano, si possono ricavare molteplici spunti per l’azione applicabili alle principali aree dell’HRM. Per offrire qualche esempio, la progettazione delle mansioni dovrebbe non solo garantire dignitose condizioni di lavoro, ma anche evitare che l’impegno professionale prenda il sopravvento sulle altre sfere di vita delle persone. La selezione dovrebbe essere attuata senza ingiuste discriminazioni nella scelta dei candidati e fornendo a quelli non selezionati feedback trasparenti e utili per la loro successiva ricerca di opportunità. La formazione dei collaboratori dovrebbe essere condotta favorendo, nell’ottica della sussidiarietà, l’acquisizione di competenze per esercitare autonomia.
Lo sguardo della DSC rivela significative consonanze con l’enfasi corrente su modelli di business incentrati sulla sostenibilità, sull’inclusione della diversità, sulla cura delle persone (specie dopo la lunga emergenza pandemica) o persino sulla “spiritualità in azienda”. D’altro canto, nella proposta della DSC lo sviluppo delle persone nel lavoro non è – in ultima analisi – strumentale al successo competitivo: la componente umana crea sì valore economico, però è in primis un valore in sé. E ciò nella convinzione che gli aspetti di questa prospettiva umanistica «nel lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali [rispetto al profitto] per la vita dell’impresa» (Centesimus annus, 35).
*Docente di Sociologia generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Potete ascoltare qui la serie di podcast sulla Dottrina sociale della Chiesa. La puntata è di Massimiliano Monaci, curatore della voce “Impresa e gestione delle risorse umane” del Dizionario di Dottrina sociale.