Andrea De Angelis e Luca Collodi – Santa Giustina (Belluno)
Prosegue il Forum “Riabitare la Montagna”, organizzato da Greenaccord e in corso fino a domenica 17 luglio presso il Centro Papa Luciani di Santa Giustina, in provincia di Belluno. La giornata inaugurale, quella di venerdì 15, ha visto al centro proprio la figura di Giovanni Paolo I, da sempre legato a questi territori montuosi. Tra i relatori del Forum anche il vescovo di Belluno-Feltre, Renato Marangoni, che intervenendo in diretta su Radio Vaticana – il cui studio mobile è stato allestito proprio a Santa Giustina – ha sottolineato l’amore che Papa Luciani nutriva verso le montagne e le persone che, come lui, le abitavano.
La prima parte di questo Forum è dedicata alla figura di Albino Luciani. La sua persona è molto legata alla montagna, dal punto di vista spirituale, pastorale, ma anche umano.
Sì, e credo che la montagna sia il luogo dell’umanità. Di un’umanità che ha bisogno di rafforzare i propri aspetti di vita buona, di vita bella. Chi ama la montagna percepisce la bontà e la bellezza della vita, la cerca, anche se ciò comporta fatica, coraggio, capacità di resistere. Albino Luciani, da come anch’io l’ho conosciuto, aveva questa caratteristica. Non credo che il suo sorriso fosse solo una superficialità del suo volto, ma il racconto della percezione della bellezza che lui portava dentro. Dell’incontro con le persone che lui viveva sempre con molto trasporto, stimandole.
La montagna invita a salire, ma poi si scende. La sensazione è che Luciani valorizzasse la salita in modo particolare…
Penso che la salita porta con sé l’esigenza del discendere. Il salire per Luciani era questo elevare lo spirito, questa ricerca di una umanità più formata a rispondere alle sfide della vita, ma anche un salire verso il mistero di Dio. Questo Dio che lui ha fatto diventare molto materno e umano. In Luciani questo salire comporta anche lo scendere, a livello delle situazioni più umili, della vita di tutti i giorni. In montagna chi sale porta con sé la discesa e viceversa, ma porta sempre la misura perché sa cosa lo attende. Questo rincorrersi di discesa e salita è molto interessante anche per capire il mistero di Cristo che è disceso dal Cielo per farci poi salire con Lui.
Giovanni Paolo I è stato il Papa dell’umiltà, una delle sue caratteristiche più conosciute. Anche l’umiltà è legata alle montagne, l’uomo dinanzi a queste vette incredibili si sente più piccolo, ma al tempo stesso si abitua a volgere lo sguardo verso l’alto?
Sì, penso che sia la verità di tutta la vita questo doppio aspetto. Mi colpisce di Luciani un suo testo di approfondimento e di meditazione in cui, rivolgendosi ai sacerdoti, dice come lui personalmente abbia dovuto lottare perché lui si riprometteva l’umiltà, ma poi succedevano situazioni in cui dava spazio al far sì che le cose andassero bene, alla cosiddetta bella figura finendo allora con l’interrogarsi se quella fosse vera umiltà o una forma di orgoglio. Allora credo che l’umiltà comporti questa doppia dinamica che chiede di liberarsi di alcune tendenze che sono connaturate alla nostra umanità, ma senza sfuggire dalla realtà e dunque relazionandosi senza travisarla attraverso alcune mediazioni. Questo era l’intento di Luciani e l’umiltà dunque interessa tutta la sua vita! Non è per lui una delle virtù, ma quella che connota, che caratterizza, che colora tutte le virtù.
Il paesaggio montano che cosa ha rappresentato nella sua pastorale?
Proprio Canale d’Agordo è un interessantissimo laboratorio. Qui nasce la prima latteria sociale d’Italia, in un contesto tipico dell’ambiente di montagna del tempo, dove la comunità religiosa, parrocchiale si identifica con la comunità civile. In questa combinazione molto fruttuosa si è formato l’ambiente dove lui è cresciuto. Fu un laboratorio molto frizzante dal punto di vista culturale. Il suo parroco era all’avanguardia anche nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione, con i primi tentativi di mostrare delle immagini in video. C’è, mi piace chiamarla così, una sapienza di vita molto profonda, seppur a volte risulti velata, non ancora pienamente manifestata e per certi versi trattenuta.
Papa Luciani era molto vicino ai lavoratori, alle loro battaglie per la tutela dei diritti. Anche questa sua attenzione ai diritti sociali era in parte frutto dei luoghi di montagna in cui è cresciuto?
Sì, penso che lo sia per quanto conta moltissimo in queste comunità di montagna: la condivisione e la solidarietà. Questa è la legge di vita delle persone che vivono in montagna. Noi lo abbiamo visto più volte, di recente dopo la tempesta di Vaia del 2018, quando nessuno ha aspettato gli aiuti, ma tutti si sono messi a lavorare per una rinascita. Ho visitato quei luoghi, c’era da piangere, il territorio era stravolto, non c’era più la conformazione. Non c’erano più neanche le strade. A me sembra che lì la vita sia ripresa per questa grande condivisione, questo sapersi aiutare. Da qui nasce la sua grande attenzione ai diritti dei lavoratori.
Oggi Papa Luciani sarebbe contento di come si sta vivendo la montagna?
Penso che sono tante le attenzioni da avere. Sono del parere che soprattutto la cura non sia semplicemente intervenire per fare qualcosa, ma un rapporto di intimità, conoscenza, passione. Questo, secondo me, Luciani oggi ce lo indicherebbe come essenziale per essere persone vere, sincere, reali e umili nell’ambiente di montagna.