Andrea Monda
A Malta soffia forte il vento. Non è un caso che nelle antiche mappe la rosa dei venti fosse collocata proprio all’altezza di questa piccola isola nel cuore del Mediterraneo. Lo ha ben raccontato il nostro giornale venerdì scorso, introducendo il viaggio del Papa e ricordandoci come i nomi stessi dei venti principali prendano lo spunto dalla posizione dell’isola: il Libeccio, che viene dalla Libia, lo Scirocco, dalla Siria, il Grecale e così via… In questi due giorni di viaggio i venti sono stati clementi, presenti ma lievi, dolci, smentendo anche le previsioni meteorologiche. Eppure sono stati giorni “pieni di vento”, di venti diversi, anzi opposti.
C’è un vento della gioia e dell’accoglienza, il vento che ha portato il Papa con la sua visita. Francesco ha ricordato infatti innanzitutto la gioia che è insieme motore e meta del cammino della Chiesa, ripetendo per ben sette volte, parlando a braccio davanti al santuario di Ta’ Pinu, nell’isola maltese di Gozo, quella gioia che per la Chiesa è tutta racchiusa nell’evangelizzazione. Il Papa facendo così, riportando tutto all’essenza stessa dell’avventura cristiana, come sottolinea un altro articolo su questo stesso giornale di oggi, ritorna alla Evangelii gaudium, l’esortazione del novembre 2013, vero testo base del suo pontificato.
A questa ventata di gioia ha risposto il popolo maltese con il “vento” dell’accoglienza, quello spirito di “rara umanità” di cui parlano gli Atti degli Apostoli raccontando del naufragio di san Paolo proprio sulle coste dell’isola. Questa “rara”, cioè squisita, preziosa, umanità, è stata scelta come espressione simbolo di tutto il viaggio ed è tornata spesso nei discorsi del Papa e in particolare, ovviamente, nell’ultimo, pronunciato al Centro per Migranti “Giovanni xxiii Peace Lab”. In particolare il Papa ha parlato di questa “rara umanità” come “stile” che contraddistingue appunto gli esseri umani che sono sempre, in qualsiasi condizione si trovino, dotati di una dignità incancellabile: «Da questo si può e si deve ripartire: dalle persone e dalla loro dignità. Non lasciamoci ingannare da chi dice: “Non c’è niente da fare”, “sono problemi più grandi di noi”, “io faccio gli affari miei e gli altri, che si arrangino”. No. Non cadiamo in questa trappola. Rispondiamo alla sfida dei migranti e dei rifugiati con lo stile dell’umanità, accendiamo fuochi di fraternità, intorno ai quali le persone possano riscaldarsi, risollevarsi, riaccendere la speranza».
Ma c’è un altro vento che ha soffiato in questi due giorni di Malta, il vento del nord, quello trasportato dai terribili tempi che il mondo sta vivendo. Nel cuore del Mediterraneo, l’isola della rara umanità, è arrivato il vento di tempesta che soffia dal cuore dell’Europa trafitto dalla guerra «ingiusta e sacrilego» che sta bagnando di sangue la terra ucraina. Questo è un vento maligno, è «lo spirito di Caino» come lo ha definito il Papa durante la breve ma intensa conferenza stampa sul viaggio di ritorno in aereo: «Sempre la guerra è una crudeltà, una cosa inumana, che va contro lo spirito umano, non dico cristiano, umano. È lo spirito di Caino». Uno spirito che sembra irretire l’uomo che fatalmente finisce sempre per cadere dentro questo fascino, rimanendone ammaliato e intrappolato: «Ma noi siamo testardi come umanità. Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino. Non per caso, all’inizio della Bibbia c’è questo problema: lo spirito “cainista” di uccidere invece dello spirito di pace».
Molti venti, in diverse direzioni, in questi due giorni a Malta, ma c’è stato un attimo in cui il vento è apparso placarsi; un breve momento la mattina di domenica, in un luogo nascosto, sotto terra, quando il Papa ha visitato la Grotta di san Paolo sotto la grande Basilica intitolata all’apostolo. È stato un momento di silenzio orante, il culmine del viaggio apostolico, ben racchiuso nelle parole della preghiera che il Papa ha voluto recitare in questo piccolo luogo appartato: «Salvati dal naufragio San Paolo e i compagni di viaggio trovarono qui ad accoglierli gente pagana di buon cuore che li trattò con rara umanità […] Non c’era tempo per le discussioni, per i giudizi, le analisi e i calcoli: era il momento di prestare soccorso; lasciarono le loro occupazioni e così fecero […] Padre buono, concedi a noi la grazia di un buon cuore che batta per amore dei fratelli». Ecco un altro “vento” ancora, uno spirito vitale che anima il cuore e dona un battito, un palpito. È quella brezza che soffia come un mormorio leggero che ha conosciuto il profeta Elia nella teofania del monte Oreb, una brezza che chi era presente ha potuto avvertire anche in quei pochi attimi di preghiera vissuti dal Papa nella grotta dove il naufrago ha trovato un “porto sicuro”, un cuore di un popolo che ha risposto con lo stile dell’umanità.