Marco Guerra – Città del Vaticano
Il Sudan ha firmato mercoledì 6 gennaio gli “Accordi di Abramo” per arrivare alla normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele. L’intesa è stata siglata insieme ad un accordo separato di aiuti, che promette un finanziamento annuale di un miliardo di dollari da parte della Banca Mondiale al Paese Africano e raggiunto grazie alla mediazione del segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, presente a Khartoum per una visita ufficiale senza precedenti. Mnuchin ha dichiarato che si lavorerà anche nel prossimo futuro “per rafforzare ed espandere queste relazioni”.
La difficile transizione politica
Durante la sua visita di un giorno, Mnuchin ha incontrato il capo dello Stato, generale Abdel Fattah al-Burhan, e il primo ministro, Abdalla Hamdok. I loro colloqui si sono concentrati sul deterioramento della “situazione economica del Sudan, sugli aiuti statunitensi al Sudan e sulla riduzione del debito”, ha reso noto il governo di Khartoum. Vale la pena sottolineare che il Sudan sta attraversando una transizione difficile da quando l’esercito ha rovesciato nel 2019 Omar al-Bashir – uomo forte per trent’anni alla guida del Paese – dopo mesi di proteste di massa contro il suo governo. L’esecutivo è alle prese con una grave crisi economica esacerbata dalla pandemia Covid-19, con carenze croniche di valuta forte e inflazione galoppante.
Opportunità all’orizzonte
Questo ulteriore passo rappresenta quindi un punto di svolta ricco di opportunità per entrambi i Paesi coinvolti. Il Sudan ritorna a pieno titolo nel consesso della comunità internazionale, dal momento che la trattativa è stata preceduta dalla rimozione di Khartoum dalla lista nera degli Stati sponsor del terrorismo stilata dagli Usa e dalla conseguente cancellazione delle sanzioni; mentre Israele rafforza la sicurezza e la cooperazione in ambito regionale dopo decenni di aperta tensione con i Paesi del mondo arabo-musulmano.
Il quadro regionale
La firma di ieri ha reso il Sudan il terzo Paese della Lega Araba – formata da 22 membri – ad aver firmato gli “Accordi di Abramo”, dopo la sigla di Emirati Arabi Uniti e Bahrain avvenuta lo scorso 15 settembre. Nei prossimi mesi è prevista anche la formalizzazione dell’adesione del Marocco, che lo scorso dicembre ha concordato una “normalizzazione” con lo Stato ebraico che ripristina le relazioni diplomatiche. “La firma da parte del Sudan degli Accordi di Abramo è un passo importante nell’avanzamento degli accordi di normalizzazione regionale in Medio Oriente”, ha commentato il ministro degli Esteri israeliano Gabi Ashkenazi. Fino ad ora gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo fondamentale nel facilitare questi accordi offrendo vantaggiose collaborazioni dal punto di vista economico ai Paesi firmatari. Nel caso del Marocco, la Casa Bianca ha formalmente riconosciuto le rivendicazioni di Rabat sul Sahara occidentale.
Dentice (Ce.Si): stabilità e vantaggi economici
“L’accordo con Israele aiuta soprattutto il Sudan a reintegrarsi nella comunità internazionale e a richiamare investimenti, potenziali investitori e canali finanziari che per ora erano rimasti esclusi per le scelte politiche del precedente regime di Bashir”, spiega in un’intervista a Vaticana News, Giuseppe Dentice, responsabile del Desk Medio Oriente del Ce.Si (Centro Studi Internazionale). “L’accordo aiuta certamente anche Israele e Stati Uniti – prosegue – nell’ottica del contenimento di quelle forze anti-sistema che minacciano la sicurezza regionale”.
Convergenze geopolitiche
Secondo Dentice gli “Accordi di Abramo” definiscono un sistema regionale in cui Israele è parte integrante e attiva, che può dialogare con tutte le principali potenze arabe in chiave di convergenze geopolitiche contro quegli attori ritenuti pericolosi come l’Iran. Il ricercatore del Ce.Si si sofferma poi sull’indiscrezioni che parlano dell’Arabia Saudita come prossima firmataria dell’intesa: “Questa eventualità avrebbe un impatto incredibile per molte ragioni, tuttavia non credo che l’Arabia firmerà nel breve perché gli impatti sarebbero molteplici, penso però che ci sono molti Paesi che si stanno facendo avanti: in queste settimane si è parlato del Pakistan, sono comunque processi molto lunghi”.