Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Le operazioni di rimpatrio delle forze italiane – 800 unità ad inizio anno, oltre il doppio in passato – e mezzi, avviate a maggio, si concluderanno a breve, in sintonia con l’accelerazione impressa dagli Stati Uniti. L’amministrazione Biden, dopo aver annunciato il completo ritiro dall’Afghanistan entro la data simbolica dell’11 settembre, vorrebbe anticipare le operazioni completando la partenza dei suoi uomini entro la fine del prossimo mese di luglio. Frutto dell’accordo di Doha, risalente al 2020, il ritiro del continegente internazionale dal Paese avviene in un momento delicato sia dal punto di vista della sicurezza dell’Afghanistan che da quello strettamente politico, dove si cerca una svolta nei rapporti tra il Governo ed i talebani.
Una presenza ventennale
Dopo vent’anni, dunque, le forze italiane lasciano l’Afghanistan. “Non vogliamo che il Paese torni ad essere un luogo sicuro per i terroristi. Vogliamo continuare a rafforzarlo dando anche continuità all’addestramento delle forze di sicurezza afghane per non disperdere i risultati ottenuti in questi vent’anni”, ha detto il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ad Herat in occasione della cerimonia per la conclusione della missione Nato nel Paese. “Continueremo a fare la nostra parte – ha proseguito – perché la sfida del processo di pacificazione è ancora aperta”. “Sono 53 le lacrime che non dimenticheremo”, ha affermato il capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, riferendosi ai militari italiani caduti in questi due decenni. “Il vostro e il loro sacrificio ha dato risultati a livello internazionale”, ha aggiunto.
I tempi del ritiro
“Quanto sta accadendo è in linea con gli annunci fatti nelle scorse settimane, a partire da quello del presidente americano Biden nel mese di aprile. Visto il ritmo impresso al ritiro, è probabile che finisca già a luglio, in anticipo dunque rispetto alla data dell’11 settembre”. Lo afferma nell’intervista a Vatican News Pierluigi Barberini, analista Difesa del Ce.Si, il Centro studi internazionali.
“Un ritiro che la Casa Bianca ha già voluto con la precedente amministrazione Trump – aggiunge – ed in corso, seppur con numeri diversi, già da diversi anni”.
La situazione attuale e gli scenari futuri
Negli ultimi mesi non sono mancati gli attacchi. “Il più drammatico – ricorda Barberini – è quello ad una scuola femminile avvenuto lo scorso mese, quando sono morte decine di giovani studentesse e ci sono stati oltre cento feriti”. Dunque il quadro appare incerto, non privo di fragilità. “L’incertezza riguarda sia l’aspetto legato strettamente alla sicurezza, ma anche la situazione politica. Gli attacchi sono mirati sia contro le forze di sicurezza afghane (Esercito e Polizia) che verso la società civile, tra cui negli ultimi mesi sono state colpite anche donne con un ruolo ben preciso, da magistrati a giornaliste”. Che futuro dunque si prospetta per il Paese? “Non è semplice dirlo, molto dipenderà dagli sviluppi dell’Accordo di Doha dello scorso anno. Capire cosa accadrà dal 12 settembre in poi è difficile, fondamentale sarà la capacità delle forze afghane di garantire la sicurezza dei civili. Questo ritiro avviene in un Paese – conclude – dove il futuro si presenta ad oggi ricco di incognite ed incertezze”.
L’appello di Human Rights Watch
I Paesi che stanno ritirando le loro truppe dall’Afghanistan dovrebbero accelerare i programmi per il reinsediamento di ex interpreti afghani e altri dipendenti di truppe o ambasciate straniere minacciati di ritorsioni dalle forze talebane: è l’appello di Human Rights Watch rivolto in particolare agli Stati Uniti e a tutti quei Paesi che si apprestano a ritirare ogni loro presenza nel Paese entro l’11 settembre di quest’anno. “Gli afghani che hanno lavorato con truppe o ambasciate straniere affrontano enormi rischi di ritorsioni da parte dei talebani”, ha affermato Patricia Gossman, direttore associato per l’Asia di Human Rights Watch.