Il rastrellamento del Ghetto di Roma. Rinnovare la memoria per dire: “Mai più”

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Una ferita ancora aperta nel cuore di Roma, le cui cicatrici hanno scritto la storia di una città. La memoria è negli occhi di chi ha visto, nei parenti delle vittime, nelle targhe ben visibili nelle strade e nelle pietre d’inciampo che lì, come altrove, ricordano le persone portate via con la forza. Solo perché ebree. Il 16 ottobre non è dunque una data come tante, ma un giorno nel quale riecheggiano le urla disperate di uomini, donne, anziani e bambini presi nelle loro case, svegliati di soprassalto – il rastrellamento ebbe inizio alle 5 del mattino – e protagonisti di un viaggio che, per quasi il 99% di loro, sarebbe stato di sola andata: si salvarono in 16, di cui una sola donna. I deportati furono in tutto 1023. 

Il 16 ottobre 1943 

Prima che il sole sorgesse le truppe tedesche della Gestapo, in collaborazione con esponenti del regime fascista, diedero inizio al rastrellamento del Ghetto ebraico di Roma. Quel 16 ottobre era un sabato, il giorno più importante per la comunità ebraica. Quello del riposo, in cui alle prime ore del mattino è più facile trovare le persone a casa. Dimore dove vivevano famiglie composte da anziani e bambini, spesso sotto lo stesso tetto. Padri di famiglia, mogli, nonni. La furia nazista non fece distinzioni, il rastrellamento colpì interamente ogni nucleo familiare. Qualcuno riuscì a fuggire, come la famiglia Terracina, salvata da una telefonata che li informava di quello che stava accadendo. Lo ricordava a Vatican News, in una delle sue ultime interviste nel 2019, Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz: “Di quella giornata del 16 ottobre ricordo tutto. Mio padre mi aveva detto: ‘Fammi il piacere oggi è sabato, c’è la distribuzione delle sigarette al tabaccaio. Vai a metterti in coda’. Quando a un certo punto vedi arrivare mio padre molto prima, con passo svelto, e mi disse: ‘Piero, vieni via! Vieni via!’. Stavano rastrellando tutti gli ebrei dalla città”. 

Le liste di persone erano infatti pronte da tempo, per stilarle fu preziosa la collaborazione del regime fascista. Un piano atroce, che poi prevedeva la partenza immediata per i campi di concentramento nazisti. Senza spiegazioni. A Roma quei giorni pioveva. Il 18 ottobre, alle 14.05, diciotto vagoni piombati partirono dalla stazione Tiburtina. Impiegarono quasi una settimana per arrivare in Polonia, al lager di Auschwitz. Appena arrivati il calvario si avviava alla fine: divisi in file, spogliati, costretti a dare l’addio in un secondo ai propri cari e poi, quasi per tutti, la morte. “Il mio nome era un numero, che porto sempre sull’avambraccio. Ci schedarono, completamente nudi. Nudi”, raccontava ancora Terracina.

Le storie

Con la morte, tre anni fa, di Lello Di Segni è scomparso anche l’ultimo sopravvissuto al rastrellamento. L’unica donna delle 16 persone che riuscirono a tornare a Roma, Settimia Spizzichino, è morta nel 2000 all’età di 79 anni e, fino all’ultimo dei suoi giorni, ha ricordato con grande lucidità il male subito. I pochissimi sopravvissuti alla deportazione dopo il rastrellamento avevano varie età: il più giovane a rientrare fu il sedicenne Enzo Camerino. Fu un rientro non certo facile, visto che fu l’unico della sua famiglia a salvarsi. Emigrato dopo qualche anno in Canada, per decenni non parlò dell’orrore visto nei campi di concentramento. Si recò così ad Auschwitz solo nel 2004, all’età di 76 anni. Il 16 ottobre 2013, nel settantesimo anniversario del rastrellamento, Camerino partecipò alla Messa celebrata da Papa Francesco. Un incontro definito “significativo” da L’Osservatore Romano, con il Papa che pochi giorni prima aveva ribadito, in un discorso pronunciato ad una delegazione della Comunità ebraica romana, l’importanza di combattere l’antisemitismo. Il settantesimo anniversario, dunque, per Francesco sarebbe stato anche l’occasione per non considerare la questione solo come appartenente al passato: 

Sarà anche l’occasione per mantenere sempre vigile la nostra attenzione affinché non riprendano vita, sotto nessun pretesto, forme di intolleranza e di antisemitismo, a Roma e nel resto del mondo. L’ho detto altre volte e mi piace ripeterlo adesso: è una contraddizione che un cristiano sia antisemita. Un po’ le sue radici sono ebree. Un cristiano non può essere antisemita! L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!

Bandire l’antisemitismo 

L’antisemitismo è un problema ancora attuale e va bandito. Il Papa lo ha ribadito in più occasioni, ad esempio il 5 novembre 2018 ricevendo

20/02/2021