Laura De Luca – Città del Vaticano
Nonostante l’amorosa, materna attenzione verso tutte le categorie di lavoratori da parte della Chiesa, per parecchi decenni, nella prima metà del secolo scorso, l’ideologia marxista, diffusa nei paesi del socialismo reale, ha perpetuato un grave pregiudizio. Lucidamente evidenzia questo pregiudizio Papa Pio XII nel suo incontro con le ACLI in Piazza San Pietro del 1 maggio 1955.
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Quante volte Noi abbiamo affermato e spiegato l’amore della Chiesa verso gli operai! Eppure si propaga largamente l’atroce calunnia che «la Chiesa è alleata del capitalismo contro i lavoratori»! Essa, madre e maestra di tutti, è sempre particolarmente sollecita verso i figli che si trovano in più difficili condizioni, e anche di fatto ha validamente contribuito al conseguimento degli onesti progressi già ottenuti da varie categorie di lavoratori. Noi stessi nel Radiomessaggio natalizio del 1942 dicevamo: «Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com’è suo dovere e diritto permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono a repentaglio la salvezza eterna. Ma la Chiesa non può ignorare o non vedere che l’operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si urta contro qualche congegno, che, lungi dall’essere conforme alla natura, contrasta con l’ordine di Dio e con lo scopo che Egli ha assegnato per i beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose le vie, che si seguirono; chi, e soprattutto qual sacerdote o cristiano, potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e il quale in un inondo di un Dio giusto invoca giustizia e spirito di fratellanza?» .
In questo spirito di giustizia e fratellanza Papa Giovanni XXIII rileva, cinque anni dopo, il contrasto che certi vorrebbero alimentare fra le condizioni concrete dei lavoratori e il destino spirituale che pertiene ad ogni uomo. Radiomessaggio in occasione della festa di San Giuseppe, 1 maggio 1960. Se male interpretate, le ideologie di ispirazione marxista finiscono per negare al lavoratore la naturale ispirazione umana alla trascendenza:
Purtroppo errate ideologie esaltanti da un lato la libertà sfrenata, dall’altro la soppressione della personalità, hanno cercato di scoronare il lavoratore della sua grandezza, riducendolo ad uno strumento di lotta o abbandonandolo a se stesso; si è voluto seminare contesa e discordia, contrapponendo fra di loro le varie categorie della vita sociale : si è tentato perfino di staccare le masse del lavoro da quel Dio che solo è protettore e vindice degli umili e da cui abbiamo la vita, il movimento e la esistenza, come se la condizione di lavoratori debba esimere dal dovere di conoscerlo, onorarlo e servirlo.
Nessun contrasto invece tra il destino del lavoratore e le aspirazioni spirituali, e Papa Giovanni ribadisce l’affetto della Chiesa per gli operai:
I lavoratori sanno che la Chiesa maternamente li segue con vivo e sollecito affetto: ed è soprattutto vicina a quanti compiono nel nascondimento lavori ingrati e pesanti, che gli altri forse non conoscono o non abbastanza stimano: vicina a chi ancora non ha una stabile occupazione, ed è esposto ad angosciosi interrogativi per l’avvenire della famiglia che cresce: vicina a chi la malattia o la sventura sul lavoro ha dolorosamente provato. Da parte Nostra non lasceremo occasione per invitare quanti hanno responsabilità di poteri o di mezzi, ad adoperarsi affinché sempre migliori condizioni di vita e di lavoro vi siano garantite, e specialmente affinché il diritto ad una stabile e dignitosa occupazione sia assicurato a tutti. E fermamente confidiamo che si sappiano comprendere, con sempre più sollecita sensibilità, le pene dei lavoratori.
Se il lavoro è un valore in sé, sempre più riconosciuto e delimitato entro precisi diritti e tutele, è anche vero che società tese all’iper-produzione e al profitto finiscano per assolutizzarlo a scapito di ben altro. Lo intuisce Papa Paolo VI, in un tempo in cui le rivolte operaie nel mondo rischiano di far perdere di vista la dignità umana a quella classe che si limita a rivendicare diritti salariali, ovvero ad essere ossessionata solo dalla povertà dalle emergenze economiche…. 19 marzo 1969. Festa di San Giuseppe. La povertà non deve spaventarci…
E non ci lasceremo turbare per le difficoltà, che essa oggi, in un mondo tutto rivolto alla conquista della ricchezza economica, a noi presenta, quasi fosse contraddittoria alla linea di progresso ch’è obbligo perseguire, e paradossale e irreale in una società del benessere e del consumo. Noi ripenseremo, con S. Giuseppe povero e laborioso, e lui stesso tutto impegnato a guadagnar qualche cosa per vivere, come i beni economici siano pur degni del nostro interesse cristiano, a condizione che non siano fini a se stessi, ma mezzi per sostentare la vita rivolta ad altri beni superiori; a condizione che i beni economici non siano oggetto di avaro egoismo, bensì mezzo e fonte di provvida carità; a condizione, ancora, che essi non siano usati per esonerarci dal peso d’un personale lavoro e per autorizzarci a facile e molle godimento dei così detti piaceri della vita, ma siano invece impiegati per l’onesto e largo interesse del bene comune.
Che il lavoro di ciascuno non perda di vista l’obbiettivo comune e comunitario. Diversamente, ripensando al mito dell’Eden, quando l’uomo godeva di tutti i beni della terra senza fatica, si potrebbe penare al lavoro umano come a una punizione divina… In questo senso, chiarisce ogni dubbio Papa Benedetto XVI, nella Santa Messa per la Solennità di San Giuseppe, il 19 marzo 2006:
La Bibbia in più pagine mostra come il lavoro appartenga alla condizione originaria dell’uomo. Quando il Creatore plasmò l’uomo a sua immagine e somiglianza, lo invitò a lavorare la terra (cfr Gn 2, 5-6). Fu a causa del peccato dei progenitori che il lavoro diventò fatica e pena (cfr Gn 3, 6-8), ma nel progetto divino esso mantiene inalterato il suo valore. Lo stesso Figlio di Dio, facendosi in tutto simile a noi, si dedicò per molti anni ad attività manuali, tanto da essere conosciuto come il “figlio del carpentiere” (…). Il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell’uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell’umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l’uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita.
Non idolatriamo il lavoro e non perdiamo di vista le infinite problematiche, le infinite sfumature umane e spirituali ad esso connesse. Le ha ben presenti il Papa che fu operaio. Che comprese da vicino i problemi degli operai, coi quali condivise fatica e aspirazioni. 18 novembre 1983. Giovanni Paolo II parla ai partecipanti a un convegno promosso dalla CEI sui problemi del lavoro. Quello che maggiormente sta a cuore al Papa operaio è, ancora una volta, l’orizzonte spirituale del lavoratore:
L’analisi del lavoro umano, fatta nell’orizzonte dell’opera divina della salvezza, penetra al centro stesso della problematica etico-sociale, e sfocia in un’etica del lavoro che a buon diritto si può qualificare nuova. (…). Problemi come il lavoro iniquo, disumano, non tutelato, o disprezzato esigono da parte dei cristiani una rinnovata assunzione di responsabilità. L’etica del lavoro riguarda, soprattutto, la dimensione soggettiva di esso, cioè l’uomo come persona, come soggetto del lavoro. Il primo fondamento del lavoro è infatti l’uomo stesso, e benché l’uomo sia chiamato e destinato al lavoro, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.
Ascolta la puntata di “Le voci dei Papi” in onda sabato 1 maggio 2021 su Radio Vaticana, dedicata al tema del lavoro.