Antonella Palermo – Città del Vaticano
Un appello al cambiamento per promuovere una responsabilità sociale matura a tutti i livelli e per tutti. È quanto esprime la Dichiarazione sul ruolo dello sport nel mondo di oggi scritta in riconoscimento del suo enorme potenziale come strumento per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Viene firmata oggi – nell’ambito dell’incontro con Papa Francesco in Vaticano – dai partecipanti al Summit internazionale “Sport for all: cohesive, accessible and tailored to each person”, promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, in collaborazione con il Dicastero per la Cultura e l’Educazione e la Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport e che si è svolto nell’Aula Nuova del Sinodo il 29 e 30 settembre.
Per uno sport inclusivo e sostenibile in un mondo instabile e diseguale
“Lo sport deve fare la sua parte in una stagione di rinnovata responsabilità (sociale, ambientale e personale) invece di concentrarsi solo sui propri interessi”, si legge nel testo. Nella dichiarazione – scritta alla luce dei profondi disagi generati dalla pandemia – si precisa che, pur essendo già pioniere e promotore di uno sviluppo inclusivo e sostenibile in un contesto di instabilità e disuguaglianza, lo sport deve ora ridefinire e riprogettare se stesso, “non solo per migliorare la propria resilienza agli shock futuri, ma per ampliare il suo contributo agli sforzi del mondo per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”. Si fa riferimento anche a quello che viene definito idealismo “coubertiniano”, incarnato nella Carta olimpica, per cui – si afferma – lo sport non si fondava semplicemente sull’esibizione di prestazioni atletiche superiori, ma come veicolo di promozione sociale e per favorire la trasformazione sociale ed educativa.
La nostra squadra sia la grande famiglia umana
Il grande afflato universale che emerge dalla dichiarazione del Dicastero vaticano si fa esplicito laddove si ribadisce che la nostra squadra deve essere la grande famiglia umana. Quindi la sottolineatura, ripresa in più punti, di uno sport che sia accessibile e inclusivo: se è veramente tale, allora rimane ancorato a solidi processi educativi e promuove un impegno per il bene comune. Nel testo si dice anche che è proprio lo sport che può “dare voce a questo profondo desiderio di trascendenza, bellezza e felicità in modo pacifico, unendo le persone di ogni razza, cultura e religione”. Inclusione vuol dire in sostanza coesione sociale: bisogna, insomma, salvaguardare l’unità e la solidarietà dello sport. Negli ultimi tempi – si osserva – soprattutto nel cosiddetto sport d’élite si è affermata una tendenza ad un “orientamento sfrenato verso il successo”, a “manipolazioni, allontanandolo dai propri valori consolidati”. Il pericolo che viene messo sul tavolo dal Documento è la “netta separazione tra il mondo dello sport d’élite e quello dello sport per tutti”. “È invece necessario che lo sport recuperi il suo equilibrio, in tutti i suoi ambiti e con pari dignità per tutti”.
Lo sport deve essere accessibile
“Tutti dovrebbero essere in grado di godere dei benefici della pratica di uno sport avendo l’opportunità di accedervi, indipendentemente dal sesso, dalle abilità o disabilità, dallo status culturale, sociale, economico, etnico o dall’appartenenza religiosa”: questa è l’accessibilità sottolineata nella Dichiarazione. Troviamo un chiaro appello: “È importante che le agenzie e le istituzioni sportive si impegnino in azioni condivise per superare tutte le barriere fisiche, psicosociali ed economiche che impediscono l’accesso allo sport alle persone che vivono in condizioni di emarginazione e/o esclusione”.
Una nuova alleanza per rafforzare educazione e istruzione
La terza parola chiave del testo, oltre a inclusione e accessibilità, è su misura: bisogna “offrire una pratica sportiva adatta alle esigenze di ogni persona. Ognuno deve poter trovare pratiche sportive adatte alle proprie potenzialità, capacità e competenze. Perchè, in fondo, l’obiettivo è “divertirsi”. A questo proposito, si citano le parole di Papa Francesco, nel suo messaggio ai membri del Comitato Olimpico Europeo (2013): “Ogni volta che lo sport viene considerato solo secondo parametri economici o per ottenere la vittoria a tutti i costi, si corre il rischio di ridurre gli atleti a mera merce da cui trarre profitto. Perdono il vero significato delle loro attività, la gioia di giocare che li ha attratti da giovani e che li ha portati a fare tanti sacrifici”. Ciò che si auspica ora è in sostanza “una nuova alleanza, che crei un modello di solidarietà tra lo sport per tutti e lo sport d’élite”, essenziale – si precisa – per rafforzare l’educazione e l’istruzione.
Piena inclusione per i disabili e opportunità interculturale
Nel testo del Dicastero Laici, Famiglia e Vita non si trascurano le persone con disabilità e si osserva che molte istituzioni offrono ottimi esempi di adattamento dello sport per dare ai partecipanti con bisogni fisici e/o intellettuali un percorso di piena inclusione. Viene inoltre sottolineato anche che, per quanti vivono in difficoltà psicologica, la partecipazione frequente a un’attività fisica, da moderata a vigorosa, riduce il disagio e la probabilità di rientrare in una categoria ad alto rischio di disturbi mentali. E, ancora, si rimarca che lo sport offre opportunità di incontro diretto con persone di altre comunità, culture o tradizioni religiose “dove i giocatori possono imparare a gestire le sfide e persino i conflitti”.
Lo sport: catalizzatore positivo per i rifugiati, prevenzione per i detenuti
Riguardo a rifugiati e migranti, nel testo si scandisce che “lo sport può essere un catalizzatore positivo per l’empowerment delle comunità di rifugiati, contribuendo a rafforzare la coesione sociale, il loro benessere psicosociale e a creare legami più stretti con le comunità ospitanti”. Alla luce di ciò, si indica che dovrebbero essere perseguiti partenariati per aumentare l’accesso alle strutture e alle attività sportive e culturali nelle aree che ospitano i rifugiati. Anche i detenuti sono menzionati nella dichiarazione sullo Sport per tutti, giacché – si legge – esso può fornire un circolo sociale immediato e solidale sia all’interno, e successivamente all’esterno delle mura carcerarie, aiutando a prevenire la recidiva e il recidivismo. L’appello, in conclusione, è affinché le organizzazioni sportive, le istituzioni sociali, il settore privato, le ONG e le istituzioni pubbliche forniscano ai partecipanti e agli operatori del settore una formazione per sviluppare la loro capacità di gestire gli ambienti sportivi in modo inclusivo.