Il Papa: una “Vita di Gesù” per “entrare in contatto con Lui”

Vatican News

Papa Francesco

Un aspetto decisivo che sempre mi colpisce leggendo il Vangelo è l’importanza degli sguardi, un particolare su cui si sofferma spesso anche questa “Vita di Gesù”. Alcuni sguardi si incrociano: pensiamo a Zaccheo, arrampicato sull’albero in modo un po’ grottesco, che desidera guardare Gesù senza essere visto, e viene invece guardato dal Signore, il quale gli dice che andrà a casa sua. Pensiamo al cieco di Gerico: non poteva vedere, ma cercava lo sguardo di Dio, voleva essere guardato da Gesù, e fino a che non ha trovato quel volto posato su di lui, non ha cessato di gridare, di chiedere, di supplicare.

In ogni pagina del Vangelo ci sono sguardi, è il modo in cui le persone incontrano Gesù. Ci sono anche gli sguardi dei dottori della Legge, di coloro che cercavano di metterlo alla prova, e anche gli sguardi meravigliati di quanti non capivano. È importante lo sguardo, sono importanti gli sguardi. Non basta solo leggere, non basta ascoltare, è bello entrare in prima persona negli episodi evangelici, componendo nella mente e nel cuore lo sguardo di Gesù. Immaginare, ad esempio, i suoi occhi posarsi, tra tante altre persone, su una povera vedova che dona una piccola elemosina al Tempio: lo sguardo di Gesù scrutava i maestri della Legge che passeggiavano nel Tempio per farsi notare e mostrarsi perfetti, ma poi viene attirato da quella vedova che dona due monetine, due spiccioli, più di tutti perché era tutto ciò che aveva. Quello sguardo è la canonizzazione della generosità.

Pensiamo ancora a Giairo, che va a chiedere aiuto per sua figlia, gravissima, e quando è davanti al Maestro gli vengono a dire che nel frattempo è morta. Guarda Gesù e Gesù lo guarda e lo rassicura. Gesù ha una capacità unica di guardare negli occhi. E mentre Giàiro dice a Gesù che è inutile ormai recarsi a casa sua, Gesù prosegue e riporta in vita la figlia. Ma tutto è cominciato dallo sguardo. Anche la vedova di Nain ha sicuramente guardato il Signore quando si è avvicinato con i suoi discepoli. Che cosa poteva chiedere con gli occhi quella donna afflitta e piegata dal dolore? Certamente non la vita del figlio, perché era sicura che fosse morto e che niente e nessuno potesse riportarlo in vita. Eppure chiedeva qualcosa con quel suo sguardo. Gesù, guardando lei e il suo dolore, si commuove profondamente. Si avvicina al corteo funebre e risuscita il figlio morto restituendolo alla madre.

Altre volte ci troviamo di fronte a sguardi incapaci, che in un primo momento non riescono a vedere il Signore: pensiamo ai discepoli di Èmmaus. I loro occhi erano come velati. Pensiamo alla Maddalena, quando va al sepolcro, e pensa che Gesù risorto sia il giardiniere. E poi, il Signore si manifesta: lo stesso accade a noi, quando prendiamo in mano il Vangelo, leggiamo qualcosa e al nostro sguardo a un certo momento il Signore si svela, si manifesta, e proviamo l’esperienza spirituale unica dello stupore, che ci fa incontrare Gesù.

[…] Avviciniamoci allora agli episodi della vita di Gesù con gli occhi pieni di contemplazione. È vero che la fede comincia dall’ascolto, ma l’incontro comincia con il vedere. Perciò è importante ascoltare e vedere Gesù nei Vangeli. Il vedere si unisce più facilmente alla memoria, che fa crescere la vita cristiana: è, come insegna san Giovanni, ma più in generale tutta la Sacra Scrittura, la memoria di quelle cose che abbiamo visto e ascoltato.

Questo libro, questa “Vita di Gesù”, scritta utilizzando le parole dei Vangeli, può aiutarci a entrare in contatto con Lui, perché non rimanga soltanto un grande personaggio, un protagonista della storia, un leader religioso o un maestro di morale, ma diventi per ciascuno ogni giorno il Signore. Il Signore della vita. Auguro a chi legge di vedere Gesù, di incontrare Gesù e di ricevere la grazia – che è un dono dello Spirito Santo – di lasciarsi attrarre da Lui.

Pubblichiamo di seguito un estratto dal capitolo 8 del libro Vita di Gesù*

«Beati… Beati…» Il Regno di Dio che innalza gli umili

Anno 28 d.C, agosto

La folla lo seguiva perché cercava miracoli. Ad avvicinarsi a lui erano i più poveri, quelli che vivevano solo di elemosina, i reietti, quelli che non si sentivano a posto, quelli a cui tutto sembrava andare storto. C’era chi aveva dei malati in casa. C’era anche qualche malfattore e qualche “impresentabile”. Riconoscevano in quel Maestro, così diverso dai tanti sedicenti “Messia”, un’autorevolezza mai vista prima. Colpivano i suoi occhi, prima ancora della sua Parola. Colpiva il modo in cui ti guardava, facendoti sentire accolto, compreso, amato, e al tempo stesso messo a nudo di fronte alla verità della vita, del peccato, della miseria umana.

[…] Gesù, che li guardava con occhi pieni di amore, di compassione, di amicizia, quel giorno capì che era finalmente arrivato il momento di dire di più, di annunciare il Regno di Dio. A tutti, non soltanto ai suoi. Per questo dopo aver chiamato i dodici ed essere rimasto del tempo con loro, decise di parlare alle folle che lo attendevano.

Era mattina e il sole splendeva già alto illuminando di riflessi brillanti le acque, quel giorno calmissime, del Mar di Galilea. Un giorno estivo, ma senza afa. Tutta la natura circostante sembrava predisporsi ad accogliere quanto stava per dire. Alle spalle, il “monte”, una collina verdeggiante, dalla sommità della quale aveva preso a scendere una brezza leggera che avrebbe aiutato le sue parole a raggiungere i più lontani. Davanti a lui un’impressionante distesa di persone, arrivate non soltanto da Cafàrnao e dalle altre città galilee, ma anche da Gerusalemme, da Sidone, da Tiro.

[…] In ciascuno c’era una domanda, un’angoscia inespressa, un dubbio, una pena, un desiderio, un’inquietudine, una ferita. Nessuno di loro poteva definirsi sazio o in pace. Erano queste folle che riuscivano sempre a provocare la compassione di Gesù […] Le madri sollevavano i loro bambini più piccoli, perché lui li guardasse, li benedicesse. Per tante di quelle donne le piccole creature erano tutto ciò che avevano. Gesù posava i suoi occhi su di loro: di ciascuno sapeva come sarebbero cresciuti, chi sarebbero diventati, come si sarebbe svolta la loro vita. Per ciascuno di quei bambini pregava il Padre affinché fossero aperte le porte del Paradiso.

Dopo che ebbe a lungo guardato la folla, fece cenno a tutti di sedersi per ascoltare meglio. Fu allora che iniziò a gridare quella parola, ripetendola tante volte: «Beati… beati… beati». Coloro che stavano più lontano, ai margini, riuscirono a distinguere solo quella, ma compresero che il Maestro parlava di felicità, di una felicità per loro. Gesù disse:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».

[…] Un silenzio irreale avvolgeva la collina, dalla riva del lago fino alla sommità. […] Sulla parte destra dell’altopiano, al riparo di un ulivo, c’era una donna ripudiata dal marito quando era rimasta incinta di lui. Si chiamava Rebecca. Era ancora bellissima, nonostante la vita di stenti che da allora era costretta a fare. Teneva gli occhi bassi per la vergogna, non aveva il coraggio di alzarli verso Gesù, neanche da lontano, quasi temesse di incrociare il suo sguardo. Suo figlio Yeoshua, prima che lei riuscisse a trattenerlo, era salito di corsa per avvicinarsi al Nazareno. Voleva ascoltare meglio. Mentre il Maestro iniziava a parlare, lui si era seduto quasi accanto ai suoi piedi. Non era arrivato a toccarglieli soltanto perché Pietro lo aveva agguantato, allungando una mano come per afferrare un pesce guizzato fuori dall’acqua, e lo aveva trattenuto accanto a sé.

Yeoshua aveva sei anni, due occhi vispi e riccioli castani impastati di sabbia e sudore. Al piccolo rimasero impresse soltanto poche parole di Gesù. «Beati quelli che sono nel pianto, perché verranno consolati». «Nel pianto…» come sua madre, che non aveva di che vivere e trascorreva le giornate alla ricerca di un po’ di cibo in cambio di qualche umile servizio, vergognandosi per la sua condizione di ripudiata. Il piccolo si alzò di scatto, e prima che Pietro riuscisse a fermarlo, si precipitò dalla madre. Gesù lo seguì con la coda dell’occhio. Sì, aveva parlato anche per lui, per quel bambino; anche per lei, per quella madre… «Mamma, ìmma…». Il piccolo le si avvicinò per dirle: «Sei beata anche tu, perché piangi… Lo ha detto lui! Ha detto che sarai consolata!».

[…] Quelle parole balbettate dal figlio erano una promessa, un riscatto, una speranza. «Non c’è nulla di veramente sbagliato in me», pensò Rebecca. «Non sono maledetta…» ripeteva, cercando di trattenere le parole di Gesù che erano tutt’uno con il suo sguardo di misericordia. […] È vero, le beatitudini promettevano qualcosa per il futuro. Ma la consolazione già si poteva sperimentare nell’essere guardati da Gesù. Rebecca si fece finalmente coraggio e sentendosi amata e compresa come mai lo era stata fino a quel momento nella sua travagliata vita, sollevò gli occhi per contemplare finalmente il Maestro che parlava. Parlava anche per lei, proprio per lei.

Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A.
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* Il libro viene presentato martedì pomeriggio 27 settembre nel carcere di Opera a Milano dall’arcivescovo Mario Delpini, dal cantautore Roberto Vecchioni e da Arnoldo Mosca Mondadori. Il pomeriggio del 12 ottobre all’Università LUMSA di Roma la presentazione con il cardinale Tolentino. La sera del 19 ottobre la presentazione a Chioggia, presso l’auditorium San Nicolò, con la partecipazione di don Luigi Epicoco.