Il Papa: solo se siamo un’unica famiglia umana si evitano le guerre

Vatican News

Francesco ha espresso agli ambasciatori che hanno presentato le Lettere Credenziali l’auspicio ad essere, in questo tempo di sfide e di crisi globali, fautori del dialogo e paladini della speranza: “Speranza che non sia mai detta l’ultima parola per evitare un conflitto o risolverlo pacificamente”

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Papa Francesco ha ricevuto in udienza gli ambasciatori straordinari e plenipotenziari presso la Santa Sede di cinque Paesi: Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia e Kazakistan. Il pensiero del Pontefice è andato, in particolare, “all’amato popolo siriano, che si sta ancora riprendendo dal recente violento terremoto, tra le continue sofferenze causate dal conflitto armato”. Il Papa ha sottolineato che, osservando attentamente lo scenario mondiale, “anche uno sguardo superficiale potrebbe lasciarci turbati e scoraggiati”:

Pensiamo a molti luoghi come il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, il Myanmar, il Libano e Gerusalemme, che stanno affrontando scontri e disordini. Haiti continua a vivere una grave crisi sociale, economica e umanitaria. C’è poi, naturalmente, la guerra in corso in Ucraina, che ha portato sofferenza e morte indicibili. Inoltre, vediamo aumentare il flusso di migrazioni forzate, gli effetti del cambiamento climatico e un gran numero di nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo che vivono ancora in povertà a causa della mancanza di accesso all’acqua potabile, al cibo, all’assistenza sanitaria di base, all’istruzione e a un lavoro dignitoso. C’è, senza dubbio, un crescente squilibrio nel sistema economico globale.

Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana?

Quello mondiale è un quadro che presenta molte crepe. Il Papa, riferendosi alle molteplici criticità che causano laceranti sofferenze alle popolazioni di molti Paesi, ha posto una serie di interrogativi. Domande che interpellano tutti gli uomini:

Quando impareremo dalla storia che le vie della violenza, dell’oppressione e dell’ambizione sfrenata di conquistare le terre non giovano al bene comune? Quando impareremo che investire nel benessere delle persone è sempre meglio che spendere risorse nella costruzione di armi letali? Quando impareremo che le questioni sociali, economiche e di sicurezza sono tutte collegate una con l’altra? Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contribuito in maniera originale? Finché non arriveremo a questa consapevolezza, continueremo a vivere quella che ho definito una terza guerra mondiale combattuta a pezzi.

Un momento dell’udienza agli ambasciatori di Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia e Kazakistan

Gli ambasciatori, uomini e donne di dialogo e speranza

Francesco ha anche sottolineato che nel mondo si devono comunque registrare “risultati lodevoli”, come “gli straordinari progressi tecnologici e scientifici raggiunti” o i passi già compiuti “per affrontare le questioni sociali e sviluppare ulteriormente il diritto internazionale”. Ma questo non può portare a sentirsi “appagati o peggio indifferenti riguardo all’attuale situazione del mondo”. E si deve garantire “che tutti possano beneficiare di queste conquiste e questi sviluppi”. Il Pontefice ha poi esortato a “rimanere ottimisti e determinati nel credere che la famiglia umana sia in grado di affrontare con successo le sfide del nostro tempo”. E ha ricordato che “la funzione di “ambasciatore è antica e nobile” ed è stata persino “inserita nelle Scritture cristiane dall’Apostolo Paolo”.

Come uomo o donna di dialogo, costruttore di ponti, l’ambasciatore può essere una figura di speranza. Speranza nella bontà ultima dell’umanità. Speranza che un terreno comune sia possibile perché siamo tutti parte della famiglia umana. Speranza che non sia mai detta l’ultima parola per evitare un conflitto o risolverlo pacificamente. Speranza che la pace non sia un sogno irrealizzabile. Pur continuando a servire fedelmente il proprio Paese d’origine, l’ambasciatore cerca di mettere da parte le emozioni superflue e di superare le posizioni radicate per trovare soluzioni accettabili. E certo non è un compito facile. La voce della ragione e gli appelli alla pace spesso cadono nel vuoto. L’attuale situazione mondiale, tuttavia, non fa che sottolineare ulteriormente la necessità che gli ambasciatori e i loro colleghi siano fautori del dialogo, paladini della speranza.

L’impegno della Santa Sede

Infine, il Papa ha affermato che la Santa Sede apprezza l’importante ruolo svolto dagli ambasciatori e che si impegna a proteggere “l’inviolabile dignità di ogni persona, a promuovere il bene comune e a favorire la fraternità umana tra tutti i popoli”. Questi sforzi, che non comportano il perseguimento di scopi politici, commerciali o militari, sono realizzati, ha spiegato, “attraverso l’esercizio di una neutralità positiva”. Lungi dall’essere una “neutralità etica”, soprattutto di fronte alle sofferenze umane, questo conferisce alla Santa Sede “una posizione ben definita nella comunità internazionale che le permette di meglio contribuire alla risoluzione dei conflitti e di altre questioni”.