Il Papa: non “coca-colizzare” il sapere, ridare speranza a un mondo in fiamme

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Francesco incontra la comunità accademica della Pontificia Università Gregoriana in occasione del Dies Academicus. Lunga lectio magistralis del Pontefice: “L’istruzione era un privilegio, questa condizione non si è ancora estinta”. “Serve un’università che abbia l’odore di carne del popolo e non calpesti le differenze nell’illusione di una unità che solo è omogeneità”. Alla fine premio ad alcuni studenti e l’incontro privato con un gruppo di gesuiti

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Meno cattedre, più tavoli senza gerarchie”. Parole, sguardi e pensieri “disarmati”. Una dottrina “viva” e non “prigioniera dentro a un museo” e un insegnamento che sia “atto di misericordia” e mai qualcosa fatto “dall’alto in basso”, consapevole anche dei rischi dell’intelligenza artificiale. Una “teologia della speranza” mentre “il mondo è in fiamme” e “la follia della guerra copre dell’ombra di morte ogni speranza”. Sì a visione, consapevolezza, poesia, fantasia e, soprattutto, umorismo; no assoluto alle ideologie, all’“arido intellettualismo” o al “perverso narcisismo”. E ancor meno che no alla “coca-cola spirituale” e alla “coca-colizzazione della ricerca e dell’insegnamento”. Papa Francesco è alla Pontificia Università Gregoriana, l’antico Ateneo erede del Collegio Romano fondato da Ignazio di Loyola. L’occasione è il Dies Academicus ma anche l’incorporazione del Collegium Maximum, del Pontificio Istituto Biblico e del Pontificio Istituto Orientale in un’unica università secondo la nuova configurazione prevista negli Statuti Generali in vigore dal 19 maggio scorso, frutto a sua volta di un chirografo del 2019 dello stesso Francesco.

Lungo applauso all’ingresso del Papa

Un applauso durato quasi cinque minuti accoglie l’arrivo del Pontefice nell’atrio dell’Università, dove, sotto la statua di Cristo benedicente è allestita una scrivania dalla quale Francesco pronuncia una lunga lectio magistralis scandita da moniti e raccomandazioni, aneddoti e neologismi, citazioni dell’Iliade, di Shakespeare e Dostojevski, di San Basilio e San Francesco Saverio, San John Henry Newman e San Tommaso Moro, ma anche padre Arrupe e padre Kolvenbach. Presente tutta la comunità accademica e tre cardinali: Gianfranco Ghirlanda, Luis Ladaria Ferrer e José Tolentino de Mendonça.

I saluti del preposito dei gesuiti Sosa e del rettore Lewis

Il primo a prendere la parola è padre Arturo Sosa, vice gran cancelliere della Gregoriana e preposito generale della Compagnia di Gesù, che, nel suo saluto, ribadisce come “la ricerca scientifica nei diversi campi della scienza, della filosofia e della teologia porta alla comprensione più profonda della creazione e contribuisce ad aprire nuovi cammini alla fede che si impegna nella trasformazione della società umana per renderla più giusta, più solidale, e più rispettosa della creazione”.

Da parte sua il rettore padre Mark Lewis sottolinea che la missione della Gregoriana, “università di tanti Papi”, rimane sempre quella di “fornire una solida formazione intellettuale ai futuri ministri della Chiesa”, con particolare attenzione a dignità umana, “dimensione sociale della fede”, cura della casa comune, “apertura” a scienza e cultura, dialogo ecumenico e relazioni con le altre religioni, “tutto in un ambiente internazionale e interculturale che riflette la nostra Chiesa di oggi”. Anche Lewis ricorda la nuova configurazione dell’Ateneo: essa, afferma, “offre un ulteriore esempio del nostro riconoscimento delle nuove realtà e dei bisogni concreti della Chiesa di oggi”.

La nuova configurazione della Gregoriana

E proprio a partire dalla incorporazione di Biblico e Orientale alla Gregoriana si snoda la riflessione di Francesco, che si dice “triste” nel vedere che è stata persa l’occasione di recuperare il titolo voluto da Sant’Ignazio Collegio Romano, il quale “avrebbe permesso di collegarsi alle intenzioni originarie”. “Spero che si possa fare ancora qualcosa”, aggiunge a braccio. Il Papa sottolinea poi di aver accolto tale progetto “confidando che non si trattasse di una semplice ristrutturazione amministrativa”, bensì “una riqualificazione della missione che i Vescovi di Roma nel tempo hanno continuato ad affidare alla Compagnia di Gesù”. Non si può procedere in questa direzione guidati “da un efficientismo senza visione, limitandovi ad accorpamenti, sospensione e chiusure, trascurando invece quanto sta avvenendo nel mondo e nella Chiesa”, afferma.

Quando si cammina preoccupati solo di non inciampare si finisce per andare a sbattere. Ma vi siete posti la domanda su dove state andando e perché fate le cose che state realizzando? È necessario sapere dove si sta andando, non perdendo di vista l’orizzonte che unisce la strada di ciascuno sul fine attuale e ultimo

No alla coca-cola spirituale

Allo stesso modo, rimarca Francesco coniando un nuovo termine, “in un’università la visione e la consapevolezza del fine impediscono la coca-colizzazione della ricerca e dell’insegnamento che porterebbe alla coca-colizzazione spirituale. Sono tanti, purtroppo, i discepoli della coca-cola spirituale!”

La formazione significa cura

Il Papa parla quindi di missione: “È il Signore che la ispira e la sostiene”, ribadisce. Non si tratta, perciò, di “prendere il suo posto con le nostre pretese che rendono burocratico, prepotente, rigido e senza calore il progetto di Dio, spesso sovrapponendo agende e ambizioni ai piani della Provvidenza”.

Questo è un luogo in cui la missione si dovrebbe esprimere attraverso l’azione formativa, ma mettendoci il cuore. Formare è soprattutto cura delle persone e quindi discreta, preziosa, e delicata azione di carità. Altrimenti l’azione formativa si trasforma in arido intellettualismo o perverso narcisismo, una vera e propria concupiscenza spirituale dove gli altri esistono solo come spettatori plaudenti, scatole da riempire con l’ego di chi insegna

L’aneddoto del professore con il grande ego e l’aula vuota

A tal proposito il Papa racconta la “storia interessante” di un professore che una mattina trovò vuota l’aula dove teneva le sue lezioni, accorgendosene solo una volta arrivato alla cattedra. Fuori c’era un cartello: “Aula occupata dall’Ego smisurato. Nessun posto libero”. Uno scherzo degli studenti. “Quando manca il cuore, si vede…”, commenta il Papa.

Istruzione non sia un privilegio

Ed è un’altra iscrizione su una porta che richiama Jorge Mario Bergoglio nel suo discorso, quella fuori dalla casa modesta, dove adesso c’è via d’Ara Coeli, in cui nella metà del ‘500 un gruppo di quindici studenti gesuiti si era stabilito: “Scuola di grammatica, di umanità e dottrina cristiana, gratis”, si leggeva. Era un tempo in cui “l’istruzione era un privilegio, condizione che non si è ancora estinta, e che rende attuali le parole di don Lorenzo Milani sulla scuola ‘ospedale che cura i sani e respinge i malati. Ma perdendo i poveri, si perderebbe la scuola’”, afferma il Papa. Quella iscrizione è oggi “un invito a umanizzare i saperi della fede, e ad accendere e rianimare la scintilla della grazia nell’umano, curando la transdisciplinarità nella ricerca e nell’insegnamento”.

Una domanda en passant: state applicando Evangelii Gaudium? State considerando l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sull’insegnamento, sulla ricerca? Nessun algoritmo potrà sostituire la poesia, l’ironia, e l’amore; e gli studenti hanno bisogno di scoprire la forza della fantasia, del veder germinare l’ispirazione, di prendere contatto con le proprie emozioni, e di sapere esprimere i propri sentimenti

La gratuità che libera da bramosie e manipolazioni

Il Papa insiste sull’invito ad “attualizzare quel gratis nelle relazioni, nei metodi e negli obiettivi”, perché “è la gratuità che rende tutti i servitori senza padroni. Gli uni servi degli altri, tutti riconoscenti la dignità di ciascuno, nessuno escluso”. È la gratuità che “ci apre alle sorprese di Dio, che è misericordia, liberando la libertà dalle bramosie”. Ed è la gratuità a rendere “virtuosi i sapienti e i maestri” ed educare “senza manipolare e legare a sé”. “Serve una università che abbia l’odore di carne del popolo – raccomanda il Papa – che non calpesti le differenze nell’illusione di una unità che solo è omogeneità, che non tema la contaminazione virtuosa e la fantasia che rianima quanto è morente”.

Mondo in fiamme per la guerra

Lo sguardo si sposta sulle sfide odierne, in primis la guerra. “Il mondo è in fiamme, la follia della guerra copre dell’ombra di morte ogni speranza. Cosa possiamo fare? Cosa possiamo sperare?”, domanda Francesco. “La promessa di salvezza è ferita, questa parola ‘salvezza’ non può essere ostaggio di chi alimenta illusione declinandola con vittorie insanguinanti mentre le nostre parole sembrano svuotate della fiducia del Signore che salva”.

Disarmiamo le nostre parole, parole miti per favore! Abbiamo bisogno di recuperare la via di una teologia incarnata…

Toccare la carne dei poveri

Alla Gregoriana il Vescovo di Roma raccomanda allora di “generare sapienze che non possono nascere da idee astratte concepite solo a tavolino ma che guardino e sentano i travagli della storia concreta”, che scaturiscano dal “contatto con la vita dei popoli e con i simboli delle culture, nell’ascolto delle domande nascoste e del grido che si leva dalla carne sofferente dei poveri”. Bisogna toccarla questa carne: “Avere il coraggio di camminare nel fango e di sporcarsi le mani”. Non capiti più, come in passato, che le scienze sacre guardino tutti dall’alto in basso: “Ora è tempo di essere tutti umili, di riconoscere di non sapere, di aver bisogno degli altri, specie di chi non pensa come me….”.

Disarmare sguardi, pensieri e parole

Allora “meno cattedre, più tavole senza gerarchie, uno di fianco all’altro, tutti mendicanti di conoscenza, toccando le ferite della storia”, è l’invito del Pontefice. Secondo questo stile, “il Vangelo potrà convertire il cuore e rispondere alle domande della vita”. Per farlo, però, “è necessario trasformare lo spazio accademico in una casa del cuore”.

Deporre le armi, mettere l’altro sullo stesso piano, per guardarlo negli occhi, disarmarsi, disarmare i pensieri, disarmare le parole, disarmare gli sguardi e poi essere alla stessa altezza per guardarsi negli occhi. Non c’è un dialogo dall’alto in basso. Solo così l’insegnamento diventa un atto di misericordia

Dottrina viva, non rinchiusa in un museo

“Quanta tristezza – aggiunge il Papa – quando si vede che si confida soprattutto nei mezzi umani e si affida ogni cosa oggi al management di turno!”. Da qui un invito ad un “discernimento costante”, “onesto”, “profondo” cercando “quanto unisce” e mai operando per quello che ci separa dall’amore di Cristo e dall’unità del sentire con la Chiesa. Che non dobbiamo limitare alle sole parole della dottrina, afferrandoci alle norme. Il modo in cui usiamo la dottrina non poche volte la riduce ad essere senza tempo, prigioniera dentro un museo, mentre essa va, è viva”.   

L’umorismo e la preghiera di San Tommaso Moro

Con uguale vigore il Papa insiste sul dialogo per creare ponti e su una “diaconia della cultura al servizio della ricomposizione continua dei frammenti di ogni cambiamento d’epoca”. Ancora, richiama all’importanza della preghiera, fondamentale per ogni missione; poi, la citazione della orazione di San Tommaso Moro: “Signore, dammi una buona digestione e qualcosa per digerire”. “Da più di 40 anni io la prego tutti i giorni, e mi fa bene!”, confessa Papa Francesco, invitando a non perdere l’umorismo.

Non dimenticatevi il senso dell’umorismo, una donna, un uomo che non ha il senso dell’umorismo non è umano

Incontro privato con un gruppo di gesuiti

Infine l’esortazione ad aiutare gli studenti a non perdersi in “labirinti intellettualistici” e nell’“accumulo nozionistico”, ma “continuando con il gusto dell’ironia” così da assaporare il mistero. E proprio ad alcuni studenti il Papa, al termine dell’incontro, ha conferito dei Premi accademici per le tre missioni dell’Università. Prima di congedarsi, Francesco ha poi incontrato nell’Aula delle Tesi un gruppo di gesuiti privatamente.