Il Papa: no all’ipocrisia, prioritaria una relazione personale con i malati

Vatican News

Debora Donnini – Città del Vaticano

Stare attenti al rischio dell’ipocrisia, a non essere come quelli che “dicono ma non fanno”, per intraprendere, invece, una relazione personale con i malati fino a farsene carico affinché nessuno si senta “escluso e abbandonato”. È la meta che il Papa indica nel Messaggio per la 29.ma Giornata Mondiale del Malato, che ricorre l’11 febbraio prossimo, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes. “Una società è tanto più umana – ricorda – quanto più sa prendersi cura” dei fragili “con efficienza animata da amore fraterno”. Nel testo, reso noto oggi e che ha come titolo “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (MT 23,8). La relazione di fiducia alla base della cura dei malati”, il pensiero di Francesco va particolarmente a quanti in tutto il mondo patiscono gli effetti del Covid-19, specialmente i più poveri.

Priorità è investire risorse nella cura dei malati

Una pandemia, nota, che “ha fatto emergere tante inadeguatezze dei sistemi sanitari e carenze nell’assistenza alle persone malate”. “Agli anziani, ai più deboli e vulnerabili – rimarca – non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa”. E, sottolinea, “questo dipende dalle scelte politiche”, dall’impegno di chi ha ruoli di responsabilità. “Investire risorse nella cura e nell’assistenza delle persone malate è una priorità legata al principio che la salute è un bene comune primario”, ricorda evidenziando anche la generosità di tanti nel portare cure e conforto in questo tempo, che il Papa definisce “una schiera silenziosa di uomini e donne” che hanno sentito gli altri come prossimi in virtù della “comune appartenenza alla famiglia umana”.

Centrale la relazione interpersonale medico-paziente

Decisivo, dunque, per una buona terapia “l’aspetto relazionale” mediante il quale si può avere “un approccio olistico alla persona malata”, da valorizzare per un percorso di guarigione. Il Papa auspica “un patto tra i bisognosi di cura e coloro che li curano”, fondato sulla fiducia, mettendo al centro la dignità del malato, tutelando la professionalità degli operatori sanitari e anche intrattenendo un buon rapporto con la famiglia del paziente.

Nessuno è immune dal male dell’ipocrisia

La critica che Gesù compie verso coloro che “dicono ma non fanno” – secondo le parole del brano evangelico che ispira il tema di questa Giornata – è salutare “per tutti”, spiega poi il Papa, “perché nessuno è immune dal male dell’ipocrisia” che impedisce di fiorire come “figli dell’unico Padre”, chiamati quindi a vivere una fraternità universale, tema fra l’altro centrale della sua ultima enciclica Fratelli tutti. Papa Francesco punta, dunque, sulla relazione diretta, stando attenti a non ridurre “la fede a sterili esercizi verbali” senza coinvolgersi nelle necessità dell’altro e venendo, così, meno “la coerenza fra il credo professato e il vissuto reale”.

Giobbe e la domanda di senso che la malattia impone

Il Papa evidenzia, infatti, come la vicinanza sia “un balsamo prezioso” che dà consolazione a chi soffre nella malattia, nella quale tra l’altro si sperimenta “in maniera evidente la nostra dipendenza da Dio” perché si vive una condizione di impotenza in quanto la salute non dipende dalle nostre capacità. Il Papa entra, quindi, in una dimensione di riflessione anche esistenziale perché “la malattia – afferma – impone una domanda di senso, che nella fede si rivolge a Dio”. Figura emblematica è Giobbe che precipita in uno stato di abbandono, con la moglie e gli amici che non riescono a accompagnarlo nella sventura e anzi lo accusano amplificando il suo smarrimento. Ma proprio attraverso questa fragilità, Giobbe fa giungere il suo grido insistente a Dio che alla fine risponde. E gli conferma che la sua sofferenza non è “una punizione”, né un segno di uno stato di lontananza da Lui, e così dal cuore di Giobbe sgorga quella dichiarazione: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto».

Prossimità anche a livello comunitario

Una prossimità, da vivere, quindi, come espressione di Gesù, Buon Samaritano, che si è fatto “vicino a ogni uomo ferito dal peccato”. Una vicinanza ai fratelli sofferenti da vivere anche a livello comunitario, esorta il Papa, perché “l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili”. Il servizio guarda, infatti, sempre il “volto dello fratello”, tocca la sua carne e non è, quindi, ideologico perché non serve idee ma persone.

La testimonianza di chi si è santificato nel servire gli infermi

Questa relazione con il malato trova un fonte inesauribile nella “carità di Cristo”, come tra l’altro, nota Francesco, “dimostra la millenaria testimonianza di uomini e donne che si sono santificati nel servire gli infermi”. Dal mistero della sua morte e risurrezione, infatti, scaturisce quell’amore “che è in grado di dare senso pieno sia alla condizione del paziente sia a quella di chi se ne prende cura” come mostra il Vangelo: le guarigioni di Gesù non sono “gesti magici” ma sempre frutto di un incontro in cui, al dono di Dio, corrisponde la fede di chi lo accoglie.

È, in conclusione, a Maria Madre di misericordia e Salute degli infermi che si volge lo sguardo del Papa, affinché dalla grotta di Lourdes e dagli innumerevoli santuari sparsi nel mondo, sostenga la fede e “ci aiuti – afferma – a prenderci cura gli uni degli altri con amore fraterno”.