Antonella Palermo – Città del Vaticano
Un denso discorso sui rischi della guerra e su come costuire la pace: Papa Francesco lo rivolge in Vaticano ai Leaders pour la Paix impegnati nell’attività della Scuola Itinerante di Pace che si tiene in questi giorni alla Pontificia Università Lateranense.
Il pericolo più grave: la mancata volontà di costruire la pace
La preoccupazione per “il momento che stiamo attraversando” dà il tono alle parole del Papa che sottolinea la grande responsabilità di essere un Leader pour la Paix, un leader per la pace. Non si tratta, infatti, solo di un impegno.
Ci siamo accorti che la famiglia umana, minacciata dalla guerra, corre un pericolo più grave: la mancata volontà di costruire la pace, la mancata volontà di costruire la pace. La vostra esperienza vi insegna che, di fronte alla guerra, far tacere le armi è il primo passo da compiere, ma poi sarà da ricostruire il presente e il futuro della convivenza, delle istituzioni, delle strutture e dei servizi. La pace richiede forme di riconciliazione, valori condivisi e – cosa indispensabile – percorsi di educazione e formazione.
Superare gli schemi abituali delle relazioni internazionali
“Costruire la pace ci chiede di essere creativi, di superare, se necessario, gli schemi abituali delle relazioni internazionali”. Il Pontefice invita a “contrastare quanti affidano alla guerra il compito di risolvere le controversie tra gli Stati e negli Stati, o addirittura pensano di realizzare con la forza le condizioni di giustizia necessarie alla coesistenza tra i popoli”. E aggiunge:
Non possiamo dimenticare che il sacrificio di vite umane, le sofferenze della popolazione, la distruzione indiscriminata di strutture civili, la violazione del principio di umanità non sono “effetti collaterali” della guerra, sono crimini internazionali. Questo dobbiamo dirlo, ripeterlo
Superare la categoria del nemico
Ancora il Papa si sofferma sull’uso delle armi per risolvere i conflitti e a questo proposito scandisce che “è segno di debolezza e di fragilità”. Una parola chiave è ‘coraggio’, richiesto per negoziare, procedere nella mediazione e avviare la conciliazione. È il coraggio di non sentirsi superiori agli altri, osserva Francesco, di “affrontare le cause del conflitto, abbandonando interessi e disegni di egemonia; il coraggio di superare la categoria del nemico, per diventare costruttori della fraternità universale, che trova forza nelle diversità e unità nelle aspirazioni comuni ad ogni persona”. Lo sguardo privilegiato è ancora una volta agli ultimi, che pagano il prezzo più alto delle guerre:
Ancora di più è richiesto il coraggio di lavorare insieme di fronte alla ‘sfida degli ultimi’ che domandano non una pace teorica, ma speranza di vita. Costruire la pace significa allora avviare e sostenere processi di sviluppo per eliminare la povertà, sconfiggere la fame, garantire la salute e la cura, custodire la casa comune, promuovere i diritti fondamentali e superare le discriminazioni determinate dalla mobilità umana. Solo allora la pace diventerà sinonimo di dignità per ogni nostro fratello e sorella.