Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Chi è un malato? Uno da scartare, che infastidisce col suo carico di debolezze. Oppure qualcuno che spezza la marcia sicura di chi non ha problemi, “che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse fratelli e sorelle”. È la persona al bivio tra i passanti indifferenti e il buon samaritano del racconto evangelico, in cui l’uomo malmenato e mezzo morto a bordo strada è la pietra d’inciampo tra una “fraternità negata” anche davanti all’evidenza e il moto di compassione di chi sceglie di fermarsi e aiutare e così “genera un mondo più fraterno”. Il Papa torna sulla parabola tante volte citata e la mette al centro, col suo carico di ricadute, del messaggio per la 31.ma Giornata Mondiale del Malato, che si celebrerà il prossimo 11 febbraio.
La sofferenza tra solitudini e cultura
“Abbi cura di lui” è il titolo del messaggio che prende a prestito la raccomandazione del samaritano all’albergatore, invitato a riservare attenzioni all’uomo ferito fino al ritorno del viandante solidale. Parole, scrive il Papa, che “Gesù rilancia anche a ognuno di noi” e che dimostrano – concetto sottolineato anche nella Fratelli tutti – “con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri” e si oppongono a una “società dell’esclusione”. Proprio l’enciclica sulla fraternità, ricorda Francesco, propone una “lettura attualizzata della parabola”, in quanto attenta ai “molti modi” in cui oggi si voltano le spalle a chi soffre. “Il fatto che la persona malmenata e derubata viene abbandonata lungo la strada, rappresenta – nota Francesco – la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto”. Tanti e diversi sono gli “assalti” alla vita e alla dignità umane, dice, e “ogni sofferenza si realizza in una ‘cultura’ e fra le sue contraddizioni”.
Cura organizzata
Quello che salva la persona malata e sofferente dalla solitudine e dall’abbandono che può sperimentare è quell’“attimo di attenzione”, il “movimento interiore della compassione”. Trattando da fratello l’estraneo e sventurato in sui si imbatte, il samaritano, afferma il Papa, “senza nemmeno pensarci, cambia le cose, genera un mondo più fraterno”. Ed è con questo esempio evangelico, prosegue, che la Chiesa deve misurarsi se davvero vuole essere “un valido ospedale da campo”. E nella capacità della Parola di Dio di essere “sempre illuminante e contemporanea” Francesco scorge in che modo “l’esercizio della fraternità”, iniziato come nella parabola “da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata”.
La lezione di Lourdes
Verso la fine del messaggio Francesco torna agli anni della pandemia che, asserisce, “hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca”. E tuttavia da una “così grande tragedia collettiva non basta uscire onorando degli eroi” perché il Covid ha pure “mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti”. Dunque per il Papa occorre che alla gratitudine “corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute”. Da Lourdes, conclude, giunge una “lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità. Non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare”.