Il Papa: le religioni al servizio del bene, non confondere credo e violenza

Vatican News

Francesco, nell’incontro ecumenico e interreligioso a Ulaanbaatar, chiede alle fedi di essere esempio di dialogo e di altruismo in questo tempo “lacerato da lotte e discordie” e di offrire quello in cui credono “nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti”. E poi avverte che “fondamentalismo e forzatura ideologica compromettono la pace”

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Le tradizioni religiose rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della società, e hanno la grande responsabilità, con il loro comportamento, di rappresentare con i fatti ciò che professano, quegli insegnamenti che non possono essere contraddetti per non diventare motivo di scandalo. 

Il terzo discorso del Papa in terra mongola si rivolge ai leader cristiani e di altre fedi, durante l’incontro ecumenico e interreligioso all’Hun Theatre a Ulaanbaatar. L’appello di Francesco è una inequivocabile chiamata all’assunzione di responsabilità delle religioni in un momento in cui la storia presenta “un mondo lacerato da lotte e discordie”, ma è anche una sollecitazione a non creare “confusione tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo” e a non cadere preda del fondamentalismo e della forzatura ideologica che “compromettono la pace”.

Il Papa guarda al cielo e alla vasta terra mongoli che evocano le dimensioni trascendente e terrena, che fanno riflettere sul bisogno che gli uomini hanno “di volgere lo sguardo verso l’alto per trovare la rotta del cammino in terra” e lancia il messaggio dettato dall’ “essere insieme nello stesso luogo”.

Le tradizioni religiose, nella loro originalità e diversità, rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della società. Se chi ha la responsabilità delle nazioni scegliesse la strada dell’incontro e del dialogo con gli altri, contribuirebbe in maniera determinante alla fine dei conflitti che continuano ad arrecare sofferenza a tanti popoli.

Le fedi testimonianza di armonia

Francesco parla del popolo mongolo quale esempio di convivenza tra le religioni e anche testimonianza di antica armonia, una parola, dice, “dal sapore tipicamente asiatico”, che spiega il “rapporto che si viene a creare tra realtà diverse, senza sovrapporle e omologarle, ma nel rispetto delle differenze e a beneficio del vivere comune”. I credenti sono chiamati a lavorare per l’armonia di tutti, ed è il grado di armonia che si diffonde che stabilisce “la valenza sociale della religiosità”, che si misura in base all’altruismo.

L’altruismo costruisce armonia e dove c’è armonia c’è intesa, prosperità, bellezza. Anzi, armonia è forse il sinonimo più appropriato di bellezza. Al contrario, la chiusura, l’imposizione unilaterale, il fondamentalismo e la forzatura ideologica rovinano la fraternità, alimentano tensioni e compromettono la pace.

L’armonia, prosegue Francesco, è “comunitaria, cresce con la gentilezza, con l’ascolto e con l’umiltà” e le religioni sono chiamate a offrirla al mondo, perché il progresso tecnico da solo non può darla. Incontrandosi, quindi, le religioni arricchiscono l’umanità “che nel suo cammino è spesso disorientata da miopi ricerche di profitto e benessere”.

Essa è spesso incapace di trovare il filo: rivolta ai soli interessi terreni, finisce per rovinare la terra stessa, confondendo il progresso con il regresso, come mostrano tante ingiustizie, tanti conflitti, tante devastazioni ambientali, tante persecuzioni, tanto scarto della vita umana.

L’incontro ecumenico e interreligioso

La discreta presenza dei missionari 

La Mongolia ha un “grande patrimonio di sapienza” che Francesco invita a scoprire e valorizzare e che descrive attraverso dieci aspetti: il buon rapporto con la tradizione; il rispetto per gli anziani e gli antenati; la cura per l’ambiente; il valore del silenzio e della vita interiore; un sano senso di frugalità; il valore dell’accoglienza; la capacità di resistere all’attaccamento alle cose; la solidarietà; l’apprezzamento per la semplicità e infine “un certo pragmatismo esistenziale che tende a ricercare con tenacia il bene del singolo e della comunità”. Ancora una volta Francesco guarda alla ger, la casa tradizionale mongola, quale esempio di uno “spazio umano”, che favorisce incontro e dialogo, che è “punto di riferimento concreto” e anche “motivo di speranza per chi ha smarrito la strada”. La ger è un luogo sempre aperto e accogliente, per l’amico e anche per chi non si conosce.

Questa è anche l’esperienza dei missionari cattolici, provenienti da altri Paesi, che qui sono accolti come pellegrini e ospiti, ed entrano in punta di piedi in questo mondo culturale, per offrire l’umile testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo.

L’incontro ecumenico e interreligioso

No alla confusione tra credo e violenza

La ger ha anche una dimensione spirituale, poiché la sua unica apertura verso l’alto, dalla quale entra la luce, evoca “l’essenziale apertura al divino”. Francesco vede quindi nella convivenza all’interno della ger la rappresentazione di una “umanità riconciliata e prospera”, laddove “l’impegno per la giustizia e la pace trovano ispirazione e fondamento nel rapporto col divino”.

Qui, cari fratelli e sorelle, la nostra responsabilità è grande, specialmente in quest’ora della storia, perché il nostro comportamento è chiamato a confermare nei fatti gli insegnamenti che professiamo; non può contraddirli, diventando motivo di scandalo. Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo. La memoria delle sofferenze patite nel passato – penso soprattutto alle comunità buddiste – dia la forza di trasformare le ferite oscure in fonti di luce, l’insipienza della violenza in saggezza di vita, il male che rovina in bene che costruisce.

Offrire quello che si è e quello in cui si crede

È questo l’impegno che Francesco chiede alle diverse fedi, pronte ad offrire la bellezza rappresentata dagli insegnamenti dei “rispettivi maestri spirituali”.

In società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti.

L’impegno della Chiesa cattolica

Questa è la strada che la Chiesa cattolica intende percorrere, è la conferma di Francesco, “credendo fermamente nel dialogo ecumenico, interreligioso e culturale”, offrendo a persone e culture il tesoro rappresentato dalla sua fede e “rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto di quanto le altre tradizioni religiose hanno da offrire”.

Il dialogo, infatti, non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco.

Speranza possibile

Le fedi hanno tutte la stessa dignità e un cammino che va percorso assieme,  il ritrovarsi tutti assieme, prosegue Francesco, è il segno che sperare è possibile.

In un mondo lacerato da lotte e discordie, ciò potrebbe sembrare utopico; eppure, le imprese più grandi iniziano nel nascondimento, con dimensioni quasi impercettibili.

Il Papa si congeda con la richiesta di poter “coltivare la speranza” che gli “sforzi comuni per dialogare e costruire un mondo migliore non sono vani”, e che le preghiere e la fraternità siano testimonianza della “religiosità e del camminare insieme con lo sguardo rivolto verso l’alto, dell’abitare il mondo in armonia, come pellegrini chiamati a custodire l’atmosfera di casa, per tutti”.