Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Il “senso” di un dramma come la pandemia che ha segnato questo anno che si chiude, si può forse trovare nel “suscitare in noi la compassione” e provocare “atteggiamenti e gesti di vicinanza, di cura, di solidarietà”, come è successo e succede a Roma, in questi mesi, con tante persone che, “senza fare rumore, hanno cercato di fare in modo che il peso della prova risultasse più sopportabile” con un impegno quotidiano “animato da amore per il prossimo”. Sono le parole dell’omelia che Papa Francesco ha preparato per la celebrazione dei Primi Vespri della Solennità di Maria Madre di Dio, con il canto di ringraziamento del Te Deum per l’anno trascorso, lette dal cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio Cardinalizio, che ha presieduto il rito al posto del Pontefice, bloccato da una dolorosa sciatalgia. Tra i partecipanti alla celebrazione, tutti distanziati e con mascherina, anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi.
Perchè ringraziare Dio, per un anno segnato dalla pandemia?
Nella celebrazione tenuta all’altare della Cattedra della Basilica di san Pietro, l’ 86.enne cardinale decano compie all’inizio, e ripeterà alla fine del rito, un atto di venerazione a Gesù Bambino, prima di leggere il testo preparato dal Papa per l’occasione. Un’omelia che si apre commentando le prime parole del Te Deum: “Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore…”. Potrebbe sembrare forzato, commenta Francesco, “quasi stridente ringraziare Dio al termine di un anno come questo, segnato dalla pandemia”. E invita a pensare “alle famiglie che hanno perso uno o più membri”, a chi si è ammalato, a chi ha “patito la solitudine” o “ha perso il lavoro”.
A volte qualcuno domanda: qual è il senso di un dramma come questo? Non dobbiamo avere fretta di dare risposta a tale interrogativo. Ai nostri “perché” più angosciosi nemmeno Dio risponde facendo ricorso a “ragioni superiori”. La risposta di Dio percorre la strada dell’incarnazione.
Dio è padre e pastore, mai “cinico e spietato”
Incarnazione cantata nel Magnificat: “Per il grande amore con il quale ci ha amati, Dio mandò il suo Figlio in una carne di peccato»”. Un Dio “che sacrificasse gli esseri umani per un grande disegno – prosegue il Pontefice – fosse pure il migliore possibile, non è certo il Dio che ci ha rivelato Gesù Cristo”.
Dio è padre, «eterno Padre», e se il suo Figlio si è fatto uomo, è per l’immensa compassione del cuore del Padre. Dio è pastore, e quale pastore darebbe per persa anche una sola pecora, pensando che intanto gliene restano molte altre? No, questo dio cinico e spietato non esiste.
Il samaritano “mosso da compassione”, che si cura del fratello
Non è questo il Dio, chiarisce Papa Francesco nell’omelia letta dal cardinale Re, che noi “lodiamo” e “proclamiamo Signore”. E ricorda che “il buon samaritano, quando incontrò quel poveretto mezzo morto sul bordo della strada, non gli fece un discorso per spiegargli il senso di quanto gli era accaduto”, forse anche per convincerlo “che in fondo era per il suo bene”. Ma, scrive l’evangelista Luca, “mosso da compassione, si chinò su quell’estraneo trattandolo come un fratello e si prese cura di lui facendo tutto quanto era nelle sue possibilità”.
Qui, sì, forse possiamo trovare un “senso” di questo dramma che è la pandemia, come di altri flagelli che colpiscono l’umanità: quello di suscitare in noi la compassione e provocare atteggiamenti e gesti di vicinanza, di cura, di solidarietà.
I tanti romani che hanno aiutato chi soffre senza rumore
È ciò che è successo “e succede anche a Roma, in questi mesi”, commenta il Papa, ringraziando Dio “per le cose buone accadute nella nostra città durante il lockdown” e il tempo della pandemia, “che purtroppo non è ancora finito”.
Sono tante le persone che, senza fare rumore, hanno cercato di fare in modo che il peso della prova risultasse più sopportabile. Con il loro impegno quotidiano, animato da amore per il prossimo, hanno realizzato quelle parole dell’inno Te Deum: «Ogni giorno ti benediciamo, lodiamo il tuo nome per sempre». Perché la benedizione e la lode che Dio più gradisce è l’amore fraterno.
Grazie a medici, sacerdoti ma anche a insegnanti e amministratori
Quindi Francesco ricorda “gli operatori sanitari, medici, infermiere, infermieri, volontari” in prima linea, e che per questo sono “sempre nelle nostre preghiere e meritano la nostra riconoscenza”. Ma anche “tanti sacerdoti, religiose e religiosi”. E specialmente ringrazia “tutti coloro che si sforzano ogni giorno di mandare avanti nel modo migliore la propria famiglia e il proprio servizio al bene comune”, come i dirigenti scolastici e gli insegnanti”, che hanno “un ruolo essenziale nella vita sociale e che devono affrontare una situazione molto complessa”. Ma il Pontefice ringrazia anche i “pubblici amministratori che sanno valorizzare tutte le buone risorse presenti nella città e nel territorio, che sono distaccati dagli interessi privati e anche da quelli del loro partito, che cercano davvero il bene di tutti a partire dai più svantaggiati”.
Chi si cura degli altri è spinto dalla “forza di Dio”
Tutto questo, conclude Papa Francesco nella sua omelia, “non può avvenire senza la grazia, senza la misericordia di Dio”. E si chiede come è possibile che, nonostante la tendenza naturale, “nei momenti difficili”, a difendersi e e “a proteggere noi stessi e i nostri cari, a tutelare i nostri interessi”, che tante persone, “senza altra ricompensa che quella di fare il bene, trovino la forza di preoccuparsi degli altri”. Che cosa le spinge – si domanda – a rinunciare ad una parte “della propria comodità, del proprio tempo, dei propri beni, per darlo agli altri?”
In fondo in fondo, anche se loro stesse non ci pensano, le spinge la forza di Dio, che è più potente dei nostri egoismi. Per questo diamo lode a Lui, perché crediamo e sappiamo che tutto il bene che giorno per giorno si compie sulla terra viene, alla fine, da Lui. E guardando al futuro che ci attende, nuovamente imploriamo: “Sia sempre con noi la tua misericordia, in te abbiamo sperato. In te è la nostra fiducia e la nostra speranza”.