Il Papa in Ungheria: la pace guarda allo sviluppo di tutti, oltre i nazionalismi

Vatican News

Nel primo discorso a Budapest, durante l’incontro con le autorità civili ungheresi, Francesco mette in guardia dalla “via nefasta delle colonizzazioni ideologiche” e dal ruggito dei nazionalismi che dimenticano la vita dei popoli. Poi il monito contro “cultura gender” e “diritto all’aborto” e l’invito all’accoglienza di chi fugge da guerre e cambiamenti climatici: “Lavorare a vie sicure e legali, è una sfida epocale che non si arginerà respingendo”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli”. Francesco è a Budapest, città di ponti e di santi, di storia e di memoria, di rivoluzioni e deportazioni, e dall’ex Monastero Carmelitano, sede del Governo ungherese, dove incontra autorità, ambasciatori e membri della società civile, esprime il sogno di un continente che possa superare le guerre e divisioni che oggi ne feriscono il volto e recuperare la sua “anima”, procedendo verso la pace.

In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?

I solisti della guerra 

Il Papa giunge nell’ex Monastero al termine della tappa nel complesso del Palazzo Sándor, dove, accolto dagli applausi e dgli onori militari, incontra la presidente della Repubblica Katalin Novák e il primo ministro Viktor Orbán e firma il Libro d’Onore. In piedi dal palco in legno allestito nella sala, dinanzi a circa 200 persone, eleva il suo ‘grido’ di pace, con voce flebile ma ferma, che riverbera dalla “perla del Danubio” fino ai confini dell’Ucraina, con la quale l’Ungheria condivide 135 km di terra. Il Papa guarda a questa terra da oltre un anno aggredita, ma amplia lo sguardo a tutta l’Europa, richiamandone la storia e la vocazione alla fraternità. “Nel dopoguerra l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le Nazioni prevenisse ulteriori conflitti”.

La passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra.

Il Libro d’onore del Palazzo Sándor firmato dal Papa

Politiche capaci di guardare all’insieme

In generale, secondo il Papa, “sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri”. Anzi, a livello internazionale, “pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico”, afferma Francesco.

Ma la pace non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente.

Il sogno dei fondatori dell’Europa

In questo frangente storico l’Europa è chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: “Unire i distanti”, “accogliere al suo interno i popoli”, “non lasciare nessuno per sempre nemico”. Insomma ritrovare la sua anima, quindi “l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori” che “hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi”. Il Papa nomina Schuman, Adenauer e soprattutto De Gasperi, che cita testualmente: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”.

Francesco con la presidente Novak

Armonia

Tanti i pericoli oggi, pochi invece gli sforzi. Bisogna costruire ponti, insiste il Papa. Gli stessi ponti che uniscono e armonizzano Budapest: “Quest’armonia con l’ambiente mi porta a complimentarmi per la cura ecologica che questo Paese persegue con grande impegno. Ma i ponti, che congiungono realtà diverse, suggeriscono pure di riflettere sull’importanza di un’unità che non significhi uniformità”, osserva Francesco.

C’è bisogno di questa armonia: di un insieme che non appiattisca le parti e di parti che si sentano ben integrate nell’insieme.

Il Papa cita a tal proposito la Costituzione ungherese: “La libertà individuale può svilupparsi solo nella collaborazione con gli altri… Riteniamo che la nostra cultura nazionale sia un ricco contributo alla multicolore unità europea”.

L’eredità di Santo Stefano

Parole che richiamano l’eredità del primo re dell’Ungheria, Santo Stefano, che impregnata delle beatitudini evangeliche e del costante invito alla cura dei deboli, dei poveri e delle minoranze, è profondamente radicata nel comune parlare del popolo ungherese (“Jobb adni mint kapni. È meglio dare che ricevere”, è un esempio) e nella stessa Costituzione. “Adorna il Paese chi vi giunge con lingue e costumi diversi”, diceva il santo sovrano al figlio. “Un Paese che ha una sola lingua e un solo costume è debole e cadente. Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore…”.

Francesco con il primo ministro ungherese Orbán

Il tema dell’accoglienza

Ecco, proprio l’accoglienza, problematica spesso al centro dei dibattiti odierni e delle politiche del governo ungherese, è un tema “sicuramente complesso”, rileva Francesco. L’atteggiamento da adottare è quello di Gesù, “il quale si è identificato nello straniero da accogliere”.

È pensando a Cristo presente in tanti fratelli e sorelle disperati che fuggono da conflitti, povertà e cambiamenti climatici, che occorre far fronte al problema senza scuse e indugi. È tema da affrontare insieme, comunitariamente, anche perché, nel contesto in cui viviamo, le conseguenze prima o poi si ripercuoteranno su tutti.

Perciò “è urgente, come Europa – afferma – lavorare a vie sicure e legali, a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà”.

Sana laicità

Il Papa ringrazia poi le autorità del Paese “per la promozione delle opere caritative ed educative” e “per il sostegno concreto a tanti cristiani provati nel mondo, specialmente in Siria e in Libano”.

 È feconda una proficua collaborazione tra Stato e Chiesa che, per essere tale, necessita però di ben salvaguardare le opportune distinzioni.

Monito del Pontefice ad ogni cristiano è di avere come punto di riferimento costante il Vangelo “per aderire alle scelte libere e liberanti di Gesù e non prestarsi a una sorta di collateralismo con le logiche del potere”. Fa bene, da questo punto di vista, “una sana laicità”

Una sana laicità che non scada nel laicismo diffuso, il quale si mostra allergico ad ogni aspetto sacro per poi immolarsi sugli altari del profitto.

Francesco nella sala dell’ex Monastero carmelitano, sede del governo ungherese

Gender e aborto

Nel discorso del Papa anche una denuncia della “via nefasta delle ‘colonizzazioni ideologiche’”, che – sottolinea – “eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato ‘diritto all’aborto’, che è sempre una tragica sconfitta”. “Abbiamo paesi in Europa con la media di 46-48 anni”, dice a braccio.

Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno.

Solidi legami in Europa

Il Papa si affida ancora a una metafora, quella delle catene, simbolo del ponte più celebre di Budapest, per prefigurare un’Europa “formata da tanti grandi anelli diversi, che trovano la propria saldezza nel formare insieme solidi legami”. In questa visione “la fede cristiana è di aiuto” e l’Ungheria può fare da “pontiere”, avvalendosi del suo specifico carattere ecumenico: “Qui diverse Confessioni convivono senza antagonismi, collaborando rispettosamente, con spirito costruttivo”, dice Papa Bergoglio, richiamando l’Abbazia di Pannonhalma, “luogo di preghiera e ponte di fraternità”.

Autorità politiche e civili all’incontro con il Papa

La testimonianza di santi e beati

Non dimentica, il Pontefice, tutti i santi che con la loro opera e testimonianza hanno scandito la storia della nazione ungherese: oltre al citato re Santo Stefano e a santa Elisabetta, “la cui testimonianza ha raggiunto ogni latitudine”, anche tutti “i grandi confessori della fede della Pannonia Sacra”, come san Ladislao e santa Margherita. Ma anche le “maestose figure del secolo scorso”, come il cardinale József Mindszenty, i beati vescovi martiri Vilmos Apor e Zoltán Meszlényi, il beato László Batthyány-Strattmann. “Sono, insieme a tanti giusti di vari credo, padri e madri della vostra Patria”. A loro il Successore di Pietro affida “l’avvenire di questo Paese”, per il quale assicura la sua preghiera e vicinanza, inviando “un pensiero speciale” per quelli che vivono al di fuori della Patria e per tutti gli ungheresi che incontrato nella vita, in particolare la comunità religiosa assistita a Buenos Aires.

Isten, áldd meg a magyart! [Dio, benedici gli ungheresi!]