Antonella Palermo – Città del Vaticano
“Non possiamo tornare alla falsa sicurezza delle strutture politiche ed economiche che avevamo prima”. E’ uno dei passaggi più significativi della lunga intervista concessa da Papa Francesco a Bernarda Llorente, della principale agenzia di stampa argentina, Télam. Il Pontefice articola le sue riflessioni spaziando dalla pandemia alla cura della casa comune, dai giovani all’impegno nella politica, dalla Chiesa in America latina alla crisi delle istituzioni tornando sul grande tema della guerra e tentando infine un bilancio del proprio pontificato. E’ dunque sulla questione centrale di come si affrontano o non si affrontano le crisi che innanzitutto si muove il Papa, il quale ricorda che se si declina questo compito, queste si trasformano in conflitto. “E il conflitto è qualcosa di chiuso, cerca la soluzione al suo interno e si autodistrugge”.
L’Africa senza vaccini: esempio di cattiva gestione della pandemia
Francesco guarda a un atteggiamento che si sta imponendo di fronte all’epidemia da coronavirus che, confessa, non gli sta piacendo. L’esempio che fa è quello dell’Africa rimasta senza un approvvigionamento di vaccini sufficiente; ravvede, insomma, altri interessi nella gestione, alla luce del fatto che – dice – “qualcosa non ha funzionato”. “Usare la crisi a proprio vantaggio significa uscirne male e, soprattutto, uscirne da soli”, ribadisce. E critica perciò la presunzione che un singolo gruppo possa uscire dalla crisi: si tratta, infatti, secondo il Papa, di una illusione: parla infatti di “salvezza parziale, economica, politica o di alcuni settori del potere”.
La guerra è una mancanza di dialogo
Tra le crisi più drammatiche c’è la guerra, a cui l’intervista dedica un ampio approfondimento nella seconda parte. Il riferimento all’Ucraina è esplicito, il Papa tuttavia ricorda – in un progressivo avvicinamento ai nostri giorni – anche le tragedie del Rwanda, della Siria, del Libano, del Myanmar. “Una guerra, purtroppo, è una crudeltà al giorno. In guerra non si balla il minuetto, si uccide”, evidenzia amaramente il Pontefice mettendo sotto accusa di nuovo la struttura di vendita di armi che la favorisce. Inoltre, torna sul concetto di ‘guerra giusta’: “Ci può essere una guerra giusta, c’è il diritto di difendersi, ma il modo in cui il concetto viene usato oggi deve essere ripensato”, dichiara Francesco che riporta ancora una volta l’attenzione sull’importanza di sapersi ascoltare – anche semplicemente nella vita ordinaria – per poter dialogare e fugare, in questo modo, ogni possibilità di arrivare ai conflitti. A questo proposito, ricorda una sua visita nel cimitero di Redipuglia per il centenario della guerra del 1914, le sue lacrime impossibili da trattenere. E’ capitato anche nel cimitero di Anzio: “Che crudeltà”, commenta. Ripensando allo sbarco in Normandia e ai 30.000 ragazzi rimasti senza vita sulla spiaggia a motivo dei nazisti, si chiede: “È giustificabile, questo?”. E invita a visitare i cimiteri militari in Europa poiché aiuta a rendersene conto.
L’Onu non ha il potere di imporsi per fermare le guerre
Alla luce di queste osservazioni, con la franchezza con cui il Papa è abituato a esprimersi, confessa la disillusione nei confronti dell’operato delle Nazioni Unite che – per quanto contribuiscano a evitare le guerre (il pensiero a Cipro, per esempio) – non riescono a fermarle, “non hanno alcun potere”. Alla sollecitazione della giornalista, il Papa arriva a dire che ci sono alcune “istituzioni benemerite” in crisi (su cui riserva qualche speranza) e altre impegnate invece a risolvere questioni interne. Auspica l’uso di coraggio e creatività nelle istituzioni internazionali per superare quelle che definisce situazioni “mortali”.
Prendere a schiaffi la natura ‘non perdona’
L’altra crisi, quella ambientale – sulla quale pure torna a soffermarsi il Papa, prima di sintetizzare lo stile a cui si è ispirato nel suo Magistero in questi quasi dieci anni di pontificato – non viene trascurata. Francesco parla dell’uso distorto che l’uomo fa della natura che, però, “te la fa pagare”: la usi, lei ti travolge. Prendiamo a schiaffi in continuazione l’universo. “Usiamo male le nostre forze”, afferma il Papa. La preoccupazione per il surriscaldamento del pianeta lo porta a raccontare ancora una volta la genesi dell’enciclica Laudato Si’, e a precisare che la natura non è vendicativa ma “non perdona” se noi mettiamo in moto processi degeneri.
Fiducia nei giovani, anche se sono scoraggiati. Tradizione non è andare indietro
L’universo giovanile occupa una parte consistente dell’intervista. In particolare il Papa si sofferma sul disimpegno politico che sembra emergere inesorabile: “sono scoraggiati”, dice Francesco che annovera gli accordi mafiosi e di corruzione tra le concause del disincanto. Da qui l’invito del Papa a imparare, invece, “la scienza della politica, della convivenza ma anche della lotta politica che ci purifica dagli egoismi e ci fa progredire”. Il Papa mostra tuttavia di riporre fiducia nei giovani, anche se non vanno solitamente a messa: l’importante è aiutarli a crescere e accompagnarli. Citando poi il compositore Mahler, ricorda: “La tradizione è la garanzia del futuro. Non è un pezzo da museo. È ciò che ti dà vita, purché ti faccia crescere. Tutt’altra cosa è andare indietro, il che è un conservatorismo malsano”.
La filosofia dell’alterità per sconfiggere i ‘mali dello specchio’
Francesco si addentra anche a descrivere quelli che ritiene i mali del nostro tempo: narcisismo, scoraggiamento e pessimismo, i mali della cosiddetta psicologia dello specchio. Secondo lui si combattono con il senso dell’umorismo “che rende più umani” e con il confronto, con la filosofia dell’alterità.
Nel 2023, dieci anni di pontificato: ho raccolto quanto emerso nelle riunioni pre-conclave
In vista dei dieci anni dalla elezione, il prossimo anno, gli viene chiesto di tracciare un bilancio della sua attività al Soglio di Pietro. Papa Francesco sottolinea che ha “raccolto tutto ciò che i cardinali avevano detto nelle riunioni pre-conclave”. “Non credo che ci sia nulla di originale da parte mia – ammette – ma ho avviato ciò che avevamo deciso tutti insieme”. E’ in sostanza lo stile che ha prodotto la nuova Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, risultato di otto anni e mezzo di lavoro e consultazioni già in nuce tempo prima. E’ venuta così fuori l’esperienza missionaria della Chiesa. Il Papa insiste nel non volersi intestare l’intera paternità, nel senso che è stato come il catalizzatore di un processo: “Cioè non sono idee mie. Che sia chiaro. Sono le idee di tutto il Collegio Cardinalizio che ha chiesto questo”.
L’impronta latinoamericana
Riconosce, Papa Bergoglio, che c’è un approccio tipicamente latinoamericano nell’essere Chiesa dialogante con il popolo di Dio e che egli ha impresso inevitabilmente nel Magistero. Coglie l’occasione, a questo proposito, di ricordare il fatto che quella Chiesa “è stata snaturata quando il popolo non ha potuto esprimersi e ha finito per essere una Chiesa di caporali, con gli agenti pastorali al comando”. Consiglia di leggere il filosofo argentino Kush “che meglio ha colto cosa sia un popolo”. Francesco precisa che il popolo latinoamericano ha potuto manifestare il suo vero protagonismo proprio in ambito religioso, tuttavia non dimentica di citare i tentativi di ideologizzazione che la stessa Chiesa ha avuto, come lo strumento di analisi marxista della realtà per la Teologia della Liberazione. “È stata una strumentalizzazione ideologica, un percorso di liberazione – mettiamola così – della Chiesa popolare latinoamericana. Ma una cosa sono i popoli, un’altra i populismi”, scandisce.
Far incontrare popolo e sovranità: il lavoro per l’America latina, oltre le ideologie
“La Chiesa latinoamericana presenta in alcuni casi aspetti di sudditanza ideologica – continua il Papa – ci sono stati e continueranno ad esserci, perché questo è un limite umano. Ma è una Chiesa che ha saputo e sa esprimere sempre meglio la sua pietà popolare”. Il pontefice ribadisce l’importanza di guardare il mondo dalle periferie esistenziali e sociali, proprio alla luce del nesso tra queste e il popolo. Da qui l’invito a visitare anziani pensionati, bambini, quartieri, fabbriche, università, “dove si gioca il quotidiano. Ed è lì che si mostra il popolo”. Lo sguardo di Francesco al proprio continente di origine è quello di chi lo vede in lento cammino, di lotta, del sogno di San Martín e Bolívar, per l’unità. “È sempre stata vittima, e lo sarà sempre finché non si libererà del tutto dagli imperialismi sfruttatori”, evidenzia, pur rilevando che tutti i Paesi hanno questo problema. Invita pertanto a lavorare sull’incontro di “tutto il popolo latinoamericano, al di là delle ideologie, con la sovranità, affinché ogni popolo senta di avere la propria identità e, allo stesso tempo, abbia bisogno dell’identità dell’altro. Non è facile”, ammette.
Attenzione alle distorsioni mediatiche della realtà: usare onestà
Quanto all’importanza che la voce di Papa Francesco assume oggi nel mondo a livello sociale e politico, il pontefice precisa la coerenza, tra ciò che sente davanti a Dio e agli altri, che guida il suo agire e le sue affermazioni. E aggiunge di non essere preoccupato se non riusciranno davvero a cambiare le cose, sebbene egli desidera che servano. Riflette sul fatto di dover fare molta attenzione circa il rischio di manipolazione del suo pensiero da parte dei media e fa l’esempio di una controversia nata, nell’ambito delle osservazioni sulla guerra in Ucraina, facendo leva sulla omissione della condanna di Putin. E dice: “La realtà è che lo stato di guerra è qualcosa di molto più universale, più serio, e non ci sono buoni e cattivi. Siamo tutti coinvolti e questo è ciò che dobbiamo imparare”. Più in generale, Francesco mette in guardia dalle tendenze mediatiche che portano alla distorsione della realtà mentre comunicare – osserva – significa “impegnarci bene”. E, a questo proposito, evoca i quattro “peccati della comunicazione”: disinformazione (dire ciò che fa comodo); calunnia (inventare a danno di una persona); diffamazione (attribuire a qualcuno un pensiero nel frattempo cambiato); coprofilia (amore per la sporcizia, il gusto per lo scandalo). “La comunicazione è qualcosa di sacro” e bisogna farla con “onestà e autenticità”, scandisce il Papa che chiede pertanto ai media una sana obiettività, “il che non vuol dire che sia acqua distillata”. “Il comunicatore, per essere un buon comunicatore, deve essere una persona corretta”, afferma.
La vita è bella se si sa aspettare, secondo lo stile di Dio
Nella parte conclusiva dell’intervista Bergoglio fa memoria dei tempi del conclave, dal cambiamento della sua vita dopo l’elezione, ma torna anche a ricordare la sua vita prima di diventare pontefice: “È la storia di una vita che è andata avanti con molti doni di Dio, molte mancanze da parte mia – confessa – molte posizioni non tanto universali. Nella vita si impara a essere universali, a essere caritatevoli, a essere meno cattivi”. Parla di alti e bassi nel suo cammino e ringrazia per tanti amici che lo hanno aiutato, accompagnato tanto da non sentirsi mai solo. E, in una sorta di gioco allo specchio a cui l’intervistatrice lo invita, Francesco dice con una punta di ironia: “Poverino, che cosa ti è toccato! Ma non è così tragico essere papa. Si può essere un buon pastore”. La conversazione si chiude con una sorta di autoanalisi della personalità di Bergoglio da quando è diventato papa: “Nella mia vita ho avuto periodi rigidi, in cui ho preteso troppo. Poi ho capito che non si può seguire quella strada, che bisogna saper guidare. È questa la paternità che ha Dio”. Non si esime dal criticare l’atteggiamento di quando era vescovo in cui riconosce di aver usato una eccessiva severità. Dice che la vita è bella se si sa aspettare, come fa Dio con noi, un tratto dello stile di Dio che lui avrebbe maturato nel tempo. “Avremo Papa Francesco ancora per un po’?”, domanda l’intervistatrice. “Lasciamo che lo dica lui lassù”, chiosa il Papa.