E’ la testimonianza di suor Giuseppina Bakhita l’esempio di zelo apostolico che Francesco presenta all’udienza generale, uno zelo che si fonda sulla volontà di perdonare anche chi le ha fatto del male. Schiava dall’età di sette anni, la santa sudanese ha trovato nella misericordia e nella comprensione degli altri la forza liberatrice della sua vita: lei ci offre una luce di speranza in questi tempi difficili di sfiducia e di diffidenza verso l’altro
Adriana Masotti – Città del Vaticano
“Purtroppo da mesi il Sudan è lacerato da un terribile conflitto armato di cui oggi si parla poco; preghiamo per il popolo sudanese, perché possa vivere in pace!”. Lo ricorda Papa Francesco dando inizio alla sua catechesi nell’udienza generale di oggi in Piazza San Pietro e introducendo così la testimonianza della santa sudanese Giuseppina Bakhita, nata nel Darfur, con cui prosegue il ciclo di riflessioni sullo zelo apostolico.
Nella debolezza degli oppressi si rivela la forza di Dio
Nella sua vita Giuseppina ha conosciuto violenze e umiliazioni, sofferenze fisiche e morali: rapita e fatta schiava quando aveva solo 7 anni, è passata per otto padroni, dice il Papa, che cita le sue parole: “Da schiava non mi sono mai disperata, perché sentivo una forza misteriosa che mi sosteneva”. E si domanda quale fosse il segreto di santa Bakhita:
Sappiamo che spesso la persona ferita ferisce a sua volta; l’oppresso diventa facilmente un oppressore. Invece, la vocazione degli oppressi è quella di liberare sé stessi e gli oppressori diventando restauratori di umanità. Solo nella debolezza degli oppressi si può rivelare la forza dell’amore di Dio che libera entrambi. Santa Bakhita esprime benissimo questa verità.
Bisogna voler bene, bisogna compatire
Un giorno Giuseppina riceve in dono un crocifisso e “guardandolo – afferma Francesco – sperimenta una profonda liberazione interiore”. Si sente amata e di conseguenza capace anche lei di amare. Lo testimonia dicendo: “L’amore di Dio mi ha sempre accompagnato in modo misterioso (…). Bisogna voler bene a tutti… Bisogna compatire!”. Il Papa prosegue:
Davvero, com-patire significa sia patire con le vittime di tanta disumanità presente nel mondo, e anche compatire chi commette errori e ingiustizie, non giustificando, ma umanizzando: questa è la carezza che ci insegna lei, umanizzare. Quando noi entriamo nella logica della lotta, della divisione tra noi, dei sentimenti cattivi, uno contro l’altro, perdiamo umanità. E tante volte pensiamo che abbiamo bisogno di umanità, di essere più umani. Più umani. E questo è il lavoro che ci insegna Santa Bakhita: umanizzare, umanizzare noi stessi e umanizzare gli altri.
Il servizio come dono di sé
Diventata cristiana, suor Bakhita si lascia trasformare dalle parole di Gesù che perdona coloro che l’hanno messo in croce. La sua vita, sottolinea il Papa, “è diventata una parabola esistenziale del perdono”, trovando nell’atto del perdonare la libertà e la gioia. La volontà di perdonare e di amare l’accompagna nella sua esistenza. Il Papa afferma:
Bakhita ha potuto vivere il servizio non come una schiavitù, ma come espressione del dono libero di sé. E questo è molto importante: fatta serva volontariamente – è stata venduta come schiava – forzatamente ha poi scelto liberamente di farsi serva, di portare sulle sue spalle i fardelli degli altri.
Santa Giuseppina ci indica la via per essere liberi
Con il suo esempio suor Giuseppina Bakhita “ci indica la via per essere finalmente liberi dalle nostre schiavitù e paure”.
Ci aiuta a smascherare le nostre ipocrisie e i nostri egoismi, a superare risentimenti e conflittualità. E ci incoraggia sempre.
Il Papa conclude insistendo ancora sul valore del perdono che “non toglie nulla ma aggiunge dignità alla persona”, fa guardare agli altri, fragili come noi, ma “sempre fratelli e sorelle nel Signore”. Lo zelo di santa Bakhita, afferma, si è fatto misericordia “e chiama a una santità umile e gioiosa”.