Il Papa: il cristiano è un apostolo umile non un arrampicatore vanitoso

Vatican News

All’udienza generale Francesco prosegue la catechesi sulla passione di evangelizzare e chiarisce cosa vuol dire essere discepoli oggi: sacerdoti, consacrati e laici hanno compiti diversi ma una chiamata comune alla missione, anche chi occupa i posti più alti nella Chiesa è chiamato a servire

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Essere apostoli “riguarda ogni cristiano”, significa essere inviati per una missione, come i discepoli che sono stati mandati da Gesù nel mondo, ma vuol dire anche rispondere a una chiamata. Lo spiega Francesco, nella settima catechesi del ciclo “La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente”, all’udienza generale, durante la quale si sofferma sul senso dell’apostolato oggi. Il Papa ricorda anzitutto che “Gesù ‘chiamò a sé quelli che voleva’” e “li costituì come gruppo, attribuendo loro il titolo di ‘apostoli’, perché stessero con Lui e per inviarli in missione” e aggiunge che San Paolo nelle sue lettere si presenta come “’chiamato a essere apostolo’, cioè inviato” e “scelto per annunciare il Vangelo di Dio” fra le genti. Quell’esperienza dei Dodici e la testimonianza di Paolo oggi “ci invitano a verificare i nostri atteggiamenti – dice Francesco – a verificare le nostre scelte, le nostre decisioni”.

Tutto dipende da una chiamata gratuita di Dio; Dio ci sceglie anche per servizi che a volte sembrano sovrastare le nostre capacità o non corrispondere alle nostre aspettative; alla chiamata ricevuta come dono gratuito bisogna rispondere gratuitamente.

Il compito di ciascuno nella Chiesa e la pari dignità di tutti

È una chiamata che riguarda tutti, sacerdoti, consacrati e laici, e dunque comune; una chiamata a tutti in cui il tesoro ricevuto con la propria vocazione cristiana si è costretti a darlo, dice il Pontefice, perchè questa “è la dinamicità della vocazione, è la dinamicità della vita”. Una chiamata “che abilita a svolgere in modo attivo e creativo il proprio compito apostolico, in seno a una Chiesa in cui ‘c’è diversità di ministero ma unità di missione’, chiarisce il Papa citando il Decreto Apostolicam actuositatem del Concilio Vaticano II, dove si legge che come “gli apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l’ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità”, così “anche i laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all’interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo”. Si tratta di un compito che ha un suo proprio valore, asserisce Francesco.

Nel quadro dell’unità della missione, la diversità di carismi e di ministeri non deve dar luogo, all’interno del corpo ecclesiale, a categorie privilegiate: qui non c’è una promozione, e quando tu concepisci la vita cristiana come una promozione, che quello che è di sopra comanda gli altri perché è riuscito ad arrampicarsi, questo non è cristianesimo. Questo è paganesimo puro. La vocazione cristiana non è una promozione per andare in su, no! E’ un’altra cosa.

E sebbene “alcuni per volontà di Cristo stesso siano costituiti in un posto più importante, forse, dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri”, aggiunge il Papa attingendo alla Lumen gentium, “vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo”.

Chi ha più dignità, nella Chiesa: il vescovo, il sacerdote? No… tutti siamo cristiani al servizio degli altri. Chi è più importante, nella Chiesa: la suora o la persona comune, battezzata, non battezzata, il bambino, il vescovo …? Tutti sono uguali, siamo uguali e quando una delle parti si crede più importante degli altri e un po’ alza il naso, così, sbaglia. Quella non è la vocazione di Gesù. La vocazione che Gesù dà, a tutti, ma anche a coloro che sembrano essere in posti più alti, è il servizio, servire gli altri, umiliarti.

Francesco rimarca che “la vocazione di Dio è adorazione al Padre, amore alla comunità e servizio” e  precisa che questo “è essere apostoli, questa è la testimonianza degli apostoli”.

Verificare il proprio modo di essere apostoli nella Chiesa

E allora partendo dal presupposto che tutti siamo uguali occorre “ripensare tanti aspetti delle nostre relazioni, che sono decisive per l’evangelizzazione”, considera il Papa, che invita a riflettere su quanto ciascuno con le proprie parole possa “ledere la dignità delle persone, rovinando così le relazioni”, e ancora sulla capacità di dialogare tra credenti e di ascoltare “per comprendere le ragioni dell’altro”.

Ascoltare, umiliarsi, essere al servizio degli altri: questo è servire, questo è essere cristiano, questo è essere apostolo.

Infine Francesco esorta a “fuggire dalla vanità, dalla vanità dei posti” e a verificare il modo in cui si vive la propria vocazione battesimale, e il proprio “modo di essere apostoli in una Chiesa apostolica, che è al servizio degli altri”.