Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Poveri ed “impoveriti” dalla “tempesta” della pandemia, indigenti, profughi e sfollati a causa della guerra in Ucraina, dove “il diretto intervento di una ‘superpotenza’” intende “imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli”. È a tutti costoro che Papa Francesco dedica il Messaggio per la VI Giornata Mondiale dei Poveri, che si celebra il 13 settembre. Un lungo documento nel quale il Papa stigmatizza sin dalle prime righe una delle principali cause di povertà del nostro tempo: la guerra. Una “sciagura”, scrive, che si è affacciata all’orizzonte poco dopo che si era aperto “uno squarcio di sereno” dopo la pandemia. Una tragedia “destinata ad imporre al mondo uno scenario diverso”.
I ricatti dei potenti e la voce dell’umanità
Il conflitto in corso ormai da oltre cento giorni, afferma il Pontefice, è andato “ad aggiungersi alle guerre regionali che in questi anni stanno mietendo morte e distruzione”, ma “il quadro si presenta più complesso”.
Si ripetono scene di tragica memoria e ancora una volta i ricatti reciproci di alcuni potenti coprono la voce dell’umanità che invoca la pace.
Colpiti i deboli e indifesi
“Quanti poveri genera l’insensatezza della guerra!”, esclama Francesco. “Dovunque si volga lo sguardo, si constata come la violenza colpisca le persone indifese e più deboli. Deportazione di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, per sradicarle e imporre loro un’altra identità”.
Sono milioni le donne, i bambini, gli anziani costretti a sfidare il pericolo delle bombe pur di mettersi in salvo cercando rifugio come profughi nei Paesi confinanti. Quanti poi rimangono nelle zone di conflitto, ogni giorno convivono con la paura e la mancanza di cibo, acqua, cure mediche e soprattutto degli affetti
Fatica nei soccorsi
In questi frangenti, “la ragione si oscura e chi ne subisce le conseguenze sono tante persone comuni, che vengono ad aggiungersi al già elevato numero di indigenti”. Non solo: “Più si protrae il conflitto, più si aggravano le conseguenze”, osserva il Papa. Lo slancio, quindi, di “intere popolazioni” che in questi anni hanno aperto le porte per accogliere milioni di profughi da Medio Oriente, Africa e ora Ucraina, come pure l’altruistismo di tante famiglie che “hanno spalancato le loro case per fare spazio ad altre famiglie”, si trova a collidere con la durezza di una realtà fuori controllo:
I popoli che accolgono fanno sempre più fatica a dare continuità al soccorso; le famiglie e le comunità iniziano a sentire il peso di una situazione che va oltre l’emergenza
Tuttavia adesso è “il momento di non cedere e di rinnovare la motivazione iniziale”, incoraggia Francesco, “ciò che abbiamo iniziato ha bisogno di essere portato a compimento con la stessa responsabilità”. La solidarietà è proprio questo: “Condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà”.
Non retorica, ma pratica
Inoltre, scrive il Papa, bisogna considerare che ci sono Paesi dove, in questi decenni, si è attuata una crescita di benessere significativo per tante famiglie che hanno raggiunto uno stato di vita sicuro: “Come membri della società civile, manteniamo vivo il richiamo ai valori di libertà, responsabilità, fratellanza e solidarietà. E come cristiani, ritroviamo sempre nella carità, nella fede e nella speranza il fondamento del nostro essere e del nostro agire”. “Agire” è infatti, per il Pontefice, la parola chiave:
Davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede attraverso il coinvolgimento diretto, che non può essere delegato a nessuno
Cattivo uso del denaro
A volte, invece, sembra subentrare “una forma di rilassatezza, che porta ad assumere comportamenti non coerenti, quale è l’indifferenza nei confronti dei poveri”. Succede “che alcuni cristiani, per un eccessivo attaccamento al denaro, restino impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio. Sono situazioni che manifestano una fede debole e una speranza fiacca e miope”, annota il Papa.
Non è il problema del denaro in sé, che fa parte della vita quotidiana delle persone e dei rapporti sociali, bensì il valore che esso possiede per noi:
Un simile attaccamento impedisce di guardare con realismo alla vita di tutti i giorni e offusca lo sguardo, impedendo di vedere le esigenze degli altri. Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare a una visione della vita effimera e fallimentare
Non è l’attivismo che salva
Quindi, chiosa Francesco, non si tratta di avere verso i poveri “un comportamento assistenzialistico”.
Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto
Nuove politiche sociali
Il Papa rinnova l’invito “urgente” a trovare “nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che unisca i popoli”.
C’è un paradosso che oggi come nel passato è difficile da accettare, perché si scontra con la logica umana: c’è una povertà che rende ricchi… L’esperienza di debolezza e del limite che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, e ora la tragedia di una guerra con ripercussioni globali, devono insegnare qualcosa di decisivo: non siamo al mondo per sopravvivere, ma perché a tutti sia consentita una vita degna e felice
La povertà che uccide
Gesù stesso mostra che c’è “una povertà che umilia e uccide”, e c’è “un’altra povertà, la sua, che libera e rende sereni”. La povertà che uccide è “la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita”.
Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento
La povertà che libera
La povertà che libera, al contrario, è “quella che si pone dinanzi a noi come una scelta responsabile per alleggerirsi della zavorra e puntare sull’essenziale”. “Incontrare i poveri – afferma il Pontefice – permette di mettere fine a tante ansie e paure inconsistenti, per approdare a ciò che veramente conta nella vita e che nessuno può rubarci: l’amore vero e gratuito”. I poveri, dunque, “prima di essere oggetto della nostra elemosina, sono soggetti che aiutano a liberarci dai lacci dell’inquietudine e della superficialità”.