Chiesa Cattolica – Italiana

Il Papa: Gesù non ha timore di avvicinarsi al peccatore, anche il più imperterrito

Esce domani 4 giugno, il nuovo libro del padre gesuita statunitense James Martin dal titolo «Lazzaro, vieni fuori!» (Libreria Editrice Vaticana) con prefazione di Papa Francesco. “In queste pagine – scrive il Pontefice – si scorge una verità del cristianesimo sempre attuale e feconda … Gesù non ha solo parlato di vita eterna, l’ha donata”

Papa Francesco

Dobbiamo essere molto grati a padre James Martin, di cui conosco e apprezzo anche altri scritti, per questo suo nuovo libro dedicato a quello che egli definisce «il più grande miracolo di Gesù»: la vicenda della resurrezione di Lazzaro. I motivi per cui essergli riconoscenti sono diversi, strettamente collegati al modo in cui ha scritto questo testo brillante, appassionante e mai scontato.

Anzitutto, padre James fa parlare il testo biblico: lo esamina con lo sguardo e lo studio di diversi autori che hanno analizzato in profondità questa pagina biblica, cogliendone i vari aspetti, le diverse sottolineature, le differenti interpretazioni. Ma questo studio è sempre “amorevole”, mai distaccato né freddamente scientifico: è lo sguardo di chi è innamorato di quella che è la Parola di Dio, il racconto dei gesti del Figlio di Dio, Gesù. Leggere tutte le argomentazioni e le disamine degli studiosi di Bibbia che padre Martin riporta mi ha interrogato su quanto riusciamo ad avvicinare la Scrittura con la “fame” di chi sa che quella parola è veramente ed effettivamente Parola di Dio.

Che Dio “parli” dovrebbe farci sobbalzare sulla sedia ogni giorno. Perché davvero la Bibbia è il nutrimento di cui abbiamo bisogno per affrontare la nostra vita, rappresenta la “lettera d’amore” che Dio ha fatto arrivare, da secoli, agli uomini e alle donne di ogni tempo e di ogni luogo. Custodire la Parola, amare la Bibbia, portarla ogni giorno con noi con un piccolo Vangelo in tasca, magari anche cercarla sul nostro telefonino quando abbiamo un incontro importante, un appuntamento delicato, un momento di sconforto… tutto questo ci farà cogliere quanto la Scrittura sia un corpo vivo, un libro aperto, una testimonianza pulsante di un Dio che non è morto sepolto negli scaffali impolverati della storia, ma cammina con noi sempre, anche oggi. Anche per te che adesso apri questo libro incuriosito dal racconto di una storia che tanti conoscono, ma che pochi hanno compreso nella sua profonda e completa significanza.

Inoltre, in queste pagine si scorge una verità del cristianesimo sempre attuale e feconda: il Vangelo è eterno e concreto, riguarda il nostro intimo e la nostra vita interiore così come la storia e la vita quotidiana. Gesù non ha solo parlato di vita eterna, l’ha donata. Non ha solo detto «Io sono la resurrezione», ha anche fatto risorgere Lazzaro, morto da tre giorni. La fede cristiana è la compenetrazione sempre attuale dell’eterno e del contingente, del cielo e della terra, del divino e dell’umano. Mai l’uno senza l’altro. Se fosse solo “terreno”, che cosa lo distinguerebbe da una buona filosofia, da un’ideologia strutturata, da un pensiero articolato che resta solamente tale, da una teoria che resta distaccata dal tempo e dalla storia? E se il cristianesimo riguardasse solo il “dopo”, unicamente l’eternità, questo sarebbe il tradimento della scelta che Dio ha compiuto, una volta per tutte, compromettendosi con l’umanità intera. Il Signore non si è incarnato per finta, ma ha scelto di entrare nella storia dell’uomo perché la storia degli uomini e delle donne possa configurarsi come il Regno di Dio, il tempo e il luogo nei quali la pace germoglia, la speranza si sostanzia e l’amore fa vivere.

Lazzaro, infine, siamo tutti noi. Padre Martin, sotto questo aspetto aderente alla tradizione ignaziana, ci fa immedesimare nella vicenda di questo amico di Gesù. Siamo anche noi suoi amici, siamo anche noi, talvolta, “morti” per il nostro peccato, le nostre mancanze e infedeltà, lo scoraggiamento che ci avvilisce e ci annienta l’anima. Ma Gesù non ha paura di venirci vicino, anche quando “puzziamo” come un morto sepolto da tre giorni. No, Gesù non ha paura della nostra morte né del nostro peccato. Lui si ferma solo davanti alla porta chiusa del nostro cuore, quella porta che si apre solo dall’interno e che noi chiudiamo a doppia mandata quando pensiamo che Dio non possa più perdonarci. E invece, leggendo la dettagliata analisi di James Martin, si tocca con mano il significato profondo del gesto di Gesù di fronte a un morto “morto”, che emana cattivo odore, metafora della putrefazione interiore che il peccato genera nella nostra anima. Gesù non ha timore di avvicinarsi al peccatore, a nessun peccatore, anche il più imperterrito e sfacciato. Lui ha solo una preoccupazione: che nessuno si perda, che nessuno perda la possibilità di sentire l’abbraccio amoroso di suo Padre. Uno scrittore americano, deceduto nel 2023, ha lasciato una mirabile descrizione di quello che è “il lavoro di Dio”. Cormac McCarthy, romanziere, in un suo libro ha fatto parlare così un suo personaggio: «Disse che credeva in Dio anche se dubitava della pretesa umana di conoscere i pensieri di Dio. Ma un Dio incapace di perdonare non sarebbe nemmeno stato Dio». Sì, davvero è così: il mestiere di Dio è perdonare.

Infine, le pagine di padre James Martin mi hanno fatto tornare alla mente una frase di uno studioso della Bibbia italiano, Alberto Maggi, il quale, parlando del testo del miracolo di Lazzaro, ha così commentato: «Con questo miracolo Gesù ci ha insegnato non tanto che i morti risorgono, ma che i vivi non muoiono!». Che bella definizione piena di paradosso! Certo che i morti risorgono, ma che verità ricordarci che noi, i vivi, non moriamo! Certamente la morte arriva, la morte ci colpisce, non solo la nostra, ma soprattutto quella dei nostri cari e dei nostri famigliari, di tutte le persone: quanta morte vediamo intorno a noi, ingiusta e dolorosa, perché causata dalle guerre, dalla violenza e dalla prevaricazione di Caino su Abele. Ma l’uomo e la donna sono destinati all’eternità.

Tutti noi lo siamo. Siamo una semiretta, per usare un’immagine geometrica: abbiamo un punto d’inizio, la nostra nascita umana, ma la nostra vita è votata all’infinito. Sì, davvero all’Infinito. E quella che la Scrittura chiama «vita eterna» è quella vita che ci aspetta dopo la morte e che già qui possiamo toccare con mano quando la viviamo non nell’egoismo che ci intristisce, ma nell’amore che ci dilata il cuore. Siamo fatti per l’eternità. Lazzaro, grazie a queste pagine di padre Martin, è nostro amico. E la sua risurrezione ce lo ricorda e attesta.

Città del Vaticano, 11 marzo 2024

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