Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
C’è un test per capire se la politica assolve alla sua missione di “forma più alta e più grande della carità” e per verificare “l’onorabilità di una nazione” ed è la guerra. “Quando mi parlano di come sta la politica nel mondo, io dico: guardate dove ci sono le guerre, lì c’è la sconfitta della politica. Una politica che non è capace di dialogare per evitare una guerra è sconfitta, è finita”. A domanda netta di un giovane di Scholas Occurrentes (“come possono i giovani cambiare la politica?”), Papa Francesco risponde altrettanto nettamente.
“Fa male al cuore vedere preti benedire le armi”
“Il test sulla politica è la guerra, il test sull’onorabilità di una nazione per me è: tu fai le armi? Tu favorisci le guerre? Tu la tua ricchezza la fai perché vendi armi perché altri si ammazzano? E lì sapremo se una nazione è moralmente sana”, dice il Pontefice a braccio, interrogato dai ragazzi, nel corso della sua visita di oggi pomeriggio a Palazzo San Calisto, sede romana di questa rete globale di solidarietà nata in Argentina e divenuta Fondazione pontificia, per volere dello stesso Francesco. “Anche a me – aggiunge – lo dico sinceramente, fa male al cuore quando vedo sacerdoti benedire le armi. Gli strumenti di morte non si benedicono”.
Il dialogo è la chiave della politica
“L’amore è politico, cioè sociale per tutti. E quando manca questa universalità dell’amore la politica cade, si ammala o diventa cattiva. Quando mi parlano di come sta la politica nel mondo, io dico: guardate dove ci sono le guerre, lì c’è la sconfitta della politica”. Lo ha affermato il Papa, invitando al dialogo perché “le opinioni diverse” sono “la chiave nella politica” che deve sempre aspirare ad “unità e armonia”.
“I Parlamenti sono chiave, perché lì si lavorano le cose ma sempre avendo in mente che l’unità è superiore al conflitto. La politica non è un arrivo, no! È un cammino, un avviare processi… La sfiducia nella politica viene perché la si confonde con un’impresa: ‘Questo mi serve, quanto mi dà, quanto non mi dà’. La politica è camminare, anche se nel cammino si brucia il politico, l’importante è arrivare”, ha detto Papa Francesco.
L’accoglienza dei giovani
Canti e applausi hanno accolto l’arrivo del Vescovo di Roma nella sede nel quartiere romano di Trastevere. Alcuni dei ragazzi che partecipano al progetto educativo hanno presentato al Papa dei regali, tra cui una t-shirt con delle stampe. Due giovani italiani, in particolare, hanno chiesto al Pontefice di scegliere tra due regali: un albero della vita e una lira in legno. Francesco ha scelto quest’ultima, abbozzando anche qualche nota, dicendo: “Cantare è poesia”.
Al primo piano, ad attendere il Papa, c’era la first lady argentina, Fabiola Yáñez, coordinatrice del gruppo delle mogli dei presidenti latinoamericani (ALMA) impegnate nel lavoro con Scholas. “Sono molto felice di stare qui”, ha detto. Subito dopo, Papa Francesco ha salutato i ministri italiani Roberto Speranza (Sanità) e Patrizio Bianchi (Istruzione), intervenuti al momento del colloquio. Prima una singolare accoglienza era stata riservata al Vescovo di Roma: la proclamazione dei versi che aprono la Divina Commedia da parte di Franco Nembrini, studioso e tra i massimi esperti di Dante, e la lettura della poesia di un ragazzo sul suo Smartphone. Poi, con un sottofondo musicale, il Papa ha salutato una fila di giovani che “hanno lavorato forte durante la pandemia”, come ha detto il presidente di Scholas. “Che significa lavorare forte?”, ha domandato il Santo Padre. “Non potevamo uscire fisicamente ma siamo usciti con la mente”, ha detto un ragazzo. E il Papa ha esclamato: “Questa è la chiave! Uscire, uscire… perché se si rimane in se stessi ci si corrompe. Come l’acqua che quando corre è pura, quando si ferma, si stagna”.
Una nuova sede di Scholas in Australia
Dopo i filmati registrati dai 5 continenti con giovani tutti intenti a ballare, disegnare, giocare all’aperto, suonare strumenti, Papa Francesco ha inaugurato virtualmente una nuova sede di Scholas in Australia, alla presenza dell’ambasciatrice presso la Santa Sede, Chiara Porro. Poi, in momenti diversi, ha ascoltato due toccanti testimonianze: quella di Valerio, un giovane che dice di essere “rinato” grazie alla famiglia di Scholas: “Ero un ragazzino perso che aveva voglia di ritrovare la sua fanciullezza. Ho messo a nudo i miei sentimenti ed emozioni e Scholas mi ha aiutato a cicatrizzare queste ferite, facendomi capire che queste cicatrici sono bellissime”. Poi, il racconto di Daisy che ha vissuto un profondo momento di crisi a causa anche della malattia del papà. In quei momenti di buio, è stata sostenuta dalla rete di Scholas: “Quando la crepa si fa grande, entra la luce e in me è germogliata la gratitudine alla vita che pensavo di aver perso”.
Il grazie degli insegnanti: “Noi, artigiani di pace”
In videocollegamento, è intervenuto pure un gruppo di docenti italiani che nel periodo più duro della pandemia dello scorso anno, hanno chiesto aiuto a Scholas Occurrentes per studiare “un percorso per giovani, le loro famiglie e altri insegnanti che vivevano un momento di caos”. Stefania Macaluso, dalla Sicilia, ha ringraziato la Fondazione per questa “esperienza formativa”, grazie alla quale, in un momento gravoso, si è riusciti ad “attivare le energie vitali negli alunni” e a “ripensarsi, noi insegnanti, come artigiani di pace con ingegno e audacia”.
Speranza: “Nessuno dev’essere lasciato solo”
Nel suo intervento, Roberto Speranza ha ricordato l’esperienza della pandemia come “una lezione durissima” per tutti. “Le ferite sono ancora sulla pelle ma anche grazie a questo, dobbiamo costruire il mondo e l’Italia del futuro”. “Sulla salute pubblica, c’è un punto fondamentale: nessuno deve essere lasciato solo”, ha aggiunto, “se una persona sta male non contano i soldi, il colore della pelle, da dove vieni, hai diritto di essere curato. Dentro la pandemia le persone hanno capito questo messaggio vitale”.
Bianchi: “Uscire dalla pandemia non solo fisica, ma dell’anima”
Da parte sua, Patrizio Bianchi ha detto al Papa che si sta “lavorando molto sulla scuola dopo la pandemia. Non solo la pandemia sanitaria ma anche la pandemia dell’individualismo, del populismo, dell’idea che possiamo crescere solo se siamo gli uni contro gli altri”. Il ministro italiano dell’Istruzione ha annunciato anche un incontro internazionale a Roma, a novembre o dicembre, con i membri della rete di Scholas, perché “dobbiamo uscire dalla quarantena non solo fisica, ma anche da quella degli animi che significa andare verso gli altri”. Infine, ha ribadito la piena disponibilità del governo italiano al Patto educativo globale, lanciato proprio dallo stesso Francesco: “Vorremmo essere di supporto e aiuto a questa idea. Il mondo può trovare pace soltanto lavorando su educazione e scuola”.
L’importanza della storia e delle radici
Dallo stadio di Valencia, infine, Quico Catalán, presidente della squadra calcistica del Levante, ha salutato il Papa insieme all’arcivescovo Antonio Cañizares e al presidente della Generalitat valenciana, Ximo Puig. “Speriamo in una sua visita a Valencia”, hanno detto al Pontefice, per poi offrirgli – seppur virtualmente – un pallone di stoffa, come quelli con cui giocavano i bambini di una volta. Un regalo che è stato spunto di riflessione per Francesco: “Avere una palla di pezza è ricordare un tempo in cui lo sport, il gioco, la gratuità del gioco era molto meglio della sofisticazione esterna”, ha detto. “Il gioco era meglio della ricchezza e della povertà. Era la gratuità di incontrarsi…Nello sport e nella vita, se dimentichiamo la gratuità, perdiamo la partita. Ecco perché è così importante”.
“Riscopriamo sempre la nostra identità e la facciamo crescere in questa riscoperta”, ha aggiunto ancora il Papa, in spagnolo. “Una persona che dimentica da dove viene è una persona che amputa la sua storia. Lui o lei la sta tagliando o la sta lasciando andare in malora. La storia è un capitale. La storia è nata in un momento, in un’origine e quell’origine, in qualche modo, ha il suo significato in tutta la vita”.
Scavare un pozzo, simbolo di rinascita
Tutti i presenti intervenuti durante l’incontro hanno scavato simbolicamente un pozzo in un vaso di terra, sistemato nell’aula. Un simbolo di rinascita, di ripartenza e anche di “rischio”. Perché, ha detto Papa Francesco prima di impartire la benedizione conclusiva, anche rischiare è importante: “Scholas non può essere compresa senza questo atteggiamento di rischio”.