Nel ciclo di catechesi sulla passione di evangelizzare e sullo zelo apostolico, avviato la scorsa settimana, Francesco riflette su Gesù e sul suo cuore che non lascia che nessuno “si arrangi”: il cristiano imiti i sentimenti del Padre per testimoniare il suo amore che non dimentica nessuno
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
“Cristo non solo ha parole di vita, ma fa della sua vita una Parola”. All’udienza generale, nell’aula Paolo VI; il Papa ricorda che nelle giornate di Gesù “al primo posto c’è l’intimità con il Padre, la preghiera”. “Lui è in missione per noi, inviato dal Padre a noi”. Francesco indica un’immagine” con cui rappresentare lo stile di vita di Cristo.
Gesù stesso ce la offre, lo abbiamo sentito, parlando di sé come del buon Pastore, colui che – dice – «dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11), questo è Gesù. Infatti, fare il pastore non era solo un lavoro, che richiedeva del tempo e molto impegno; era un vero e proprio modo di vivere: ventiquattrore al giorno, vivendo con il gregge, accompagnandolo al pascolo, dormendo tra le pecore, prendendosi cura di quelle più deboli. Gesù, in altre parole, non fa qualcosa per noi, ma dà tutto, dà la vita per noi. Il suo è un cuore pastorale (cfr Ez 34,15). Fa il pastore con tutti noi.
Il buon Pastore
Per riassumere in una parola l’azione della Chiesa, ricorda il Pontefice, si usa spesso proprio il termine “pastorale”. Per valutare la nostra pastorale, “dobbiamo confrontarci con il modello, confrontarsi con Gesù, Gesù buon Pastore”.
Anzitutto possiamo chiederci: lo imitiamo abbeverandoci alle fonti della preghiera, perché il nostro cuore sia in sintonia con il suo? L’intimità con Lui è, come suggeriva il bel volume dell’abate Chautard, «l’anima di ogni apostolato». Gesù stesso l’ha detto chiaramente ai suoi discepoli: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Se si sta con Gesù si scopre che il suo cuore pastorale palpita sempre per chi è smarrito, perduto, lontano. E il nostro? Quante volte il nostro atteggiamento viene, con gente che è un po’ difficile o che è un po’ difficoltosa per noi: “Ma è un problema suo, che si arrangi…”. Ma Gesù mai ha detto questo, mai. E’ andato Lui a trovarlo. Con tutti, con tutti gli emarginati, con i peccatori. Era accusato di quello: stare con i peccatori, perché portava proprio ai peccatori la salvezza di Dio.
Lo zelo di Dio
Il Buon Pastore ama tutti e vuole salvare chi si smarrisce. Papa Francesco sottolinea che “Dio non sta a contemplare il recinto delle sue pecore e nemmeno le minaccia perché non se ne vadano. Piuttosto, se una esce e si perde, non la abbandona, ma la cerca”.
Dio soffre per chi se ne va e, mentre lo piange, lo ama ancora di più. Il Signore soffre quando ci distanziamo dal suo cuore. Soffre per quanti non conoscono la bellezza del suo amore e il calore del suo abbraccio. Ma, in risposta a questa sofferenza, non si chiude, bensì rischia: lascia le novantanove pecore che sono al sicuro e si avventura per l’unica dispersa, facendo così qualcosa di azzardato e pure di irrazionale, ma consono al suo cuore pastorale, che ha nostalgia di chi se n’è andato, la nostalgia di coloro che se ne sono andati, questo Gesù è continuo in Lui e quando sentiamo che qualcuno ha lasciato la Chiesa cosa ci viene di dire? “Che si arrangi”, no: Gesù ci insegna la nostalgia di coloro che se ne sono andati; Gesù non (ha) rabbia o risentimento, ma un’irriducibile nostalgia di noi. Gesù ha nostalgia di noi e questo È lo zelo di Dio.
Fare proselitismo è una cosa pagana
E noi – chiede Francesco – abbiamo sentimenti simili? Magari vediamo come avversari o nemici quelli che hanno lasciato il gregge. Incontrandoli a scuola, al lavoro, nelle vie della città, perché non pensare invece che abbiamo una bella occasione di testimoniare loro la gioia di un Padre che li ama e che non li ha mai dimenticati?
Non per fare proselitismo, no! Ma che gli arrivi la Parola del Padre, per camminare insieme. Evangelizzare non è fare proselitismo: fare proselitismo è una cosa pagane non è religiosa né evangelica.
“C’è una parola buona per loro e a portarla abbiamo l’onore e l’onere di essere noi. Perché la Parola, Gesù, questo ci chiede”.
Magari seguiamo e amiamo Gesù da tanto tempo e non ci siamo mai chiesti se ne condividiamo i sentimenti, se soffriamo e rischiamo in sintonia con il cuore di Gesù, con questo il suo cuore pastorale, vicino al cuore di Gesù pastorale! Non si tratta di fare proselitismo, l’ho detto, perché gli altri siano “dei nostri”, no, questo non è cristiano: si tratta ma di amare perché siano figli felici di Dio. Chiediamo nella preghiera la grazia di un cuore pastorale, aperto, di essere vicino a tutti, per portare il messaggio del Signore e anche sentire (per) loro la nostalgia di Cristo.
Un cuore pastorale è aperto all’altro e vicino a tutti. “Senza questo amore che soffre e rischia – conclude il Papa – rischiamo di pascere solo noi stessi”, non il gregge. “La nostra vita senza questo amore che soffre e rischia, non va”.