Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Vivere la fede da liberi”. Liberi dalla schiavitù di spazi e privilegi. Liberi da “calcoli di convenienza” e “legami politici” che possono ostacolare il cammino ecumenico e la riscoperta delle radici cristiane di un’Europa già impregnata di “ideologie”. Liberi di condividere, quando non ancora la mensa eucaristica, almeno il tavolo con i poveri, perché quello sarà segno eloquente per la società per comprendere “che solo stando dalla parte dei più deboli usciremo davvero tutti dalla pandemia”. È un lungo discorso innervato da citazioni di Dostoevskij e del poeta slovacco Samo Chalupka, di Giovanni Paolo II e dei santi Cirillo e Metodio, quello che Papa Francesco rivolge al Consiglio Ecumenico delle Chiese della Slovacchia.
La fede germe di unità e fraternità
Al suo primo appuntamento pubblico a Bratislava, Francesco incontra i membri del Consiglio che conta undici Chiese, in rappresentanza di quasi tutte le Chiese non cattoliche del Paese (luterani, ortodossi, metodisti, hussiti, battisti, riformati). L’incontro si svolge nel grande salone della Nunziatura apostolica e si apre con le parole di saluto del metropolita ortodosso Ratislav, presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che esorta tutti i cristiani a “benedirci l’uno con l’altro e guardarci con benevolenza”: “Oggi non possiamo più rallegrarci di seguire le crisi e i conflitti delle Chiese… Questo ci tira tutti giù. Gioiamo della crescita e del progresso degli altri. Dalla benedizione spirituale di una Chiesa, possono trarne beneficio anche altri di altre Chiese”.
“Vi ringrazio per essermi venuti incontro”, esordisce invece il Papa: “Io pellegrino in Slovacchia, voi graditi ospiti in Nunziatura!”. È il segno “che la fede cristiana è – e vuole essere – in questo Paese germe di unità e lievito di fraternità”.
Vivere la fede da liberi
Il Papa ribadisce subito l’invito, da sempre espresso, “a camminare insieme per passare dal conflitto alla comunione”. A proseguire, quindi, quel cammino ripartito “dopo gli anni della persecuzione ateista, quando la libertà religiosa era impedita o messa a dura prova”. Una strada snodatasi in molteplici vie, lungo la quale c’è però un tratto percorso in comune, “bello” ma “difficile”: “Vivere la fede da liberi”.
La libertà dell’uomo
Proprio questo è il messaggio che il Papa lascia ai leader ecumenici della Slovacchia. Un messaggio corroborato dalle parole di Dostoevskij nel celebre racconto la Leggenda del Grande Inquisitore, in cui, immaginando una nuova prigionia di Gesù in un suo ipotetico ritorno sulla Terra, lancia l’accusa di aver dato troppa importanza alla libertà degli uomini.
Nulla è mai stato più intollerabile della libertà per l’uomo
Parole “sferzanti”, che Francesco cita testualmente. “Gli uomini – afferma, richiamando ancora l’amato scrittore russo – sono disposti a barattare volentieri la loro libertà con una schiavitù più comoda, quella di assoggettarsi a qualcuno che decida per loro, pur di avere pane e sicurezze”.
La trappola di accontentarsi di pane e sicurezze
Attenzione che “non ci accada questo”, raccomanda:
È un rischio che sopraggiunge quando “la situazione si normalizza, ci siamo stabilizzati e ci adagiamo ambendo a mantenere il quieto vivere”. È lì che si inizia ad aspirare non più alla “libertà” di Cristo, bensì all’“ottenere spazi e privilegi”.
Liberi per il Vangelo o per le comfort zone?
Dal cuore dell’Europa, il vescovo di Roma pone allora una domanda:
Noi cristiani abbiamo un po’ smarrito l’ardore dell’annuncio e la profezia della testimonianza? È la verità del Vangelo a farci liberi oppure ci sentiamo liberi quando ricaviamo comfort zone che ci permettono di gestirci e di andare avanti tranquilli senza particolari contraccolpi? E ancora, accontentandoci di pane e sicurezze, abbiamo forse perso lo slancio nella ricerca dell’unità implorata da Gesù, unità che certamente richiede la libertà matura di scelte forti, rinunce e sacrifici, ma è la premessa perché il mondo creda?
Un’Europa libera da ideologie
L’invito è ad ampliare lo sguardo e a non interessarsi solo di quello che può giovare alle singole comunità: “La libertà del fratello e della sorella è anche la nostra libertà”. L’evangelizzazione in queste terre è nata proprio in questo modo “fraterno”, grazie ai santi fratelli Cirillo e Metodi e alla loro testimonianza di “una cristianità ancora unita e infuocata dall’ardore dell’annuncio”. Siano loro esempio e guida per “proseguire nel cammino coltivando la comunione fraterna tra di noi”.
Come possiamo auspicare un’Europa che ritrovi le proprie radici cristiane se siamo noi per primi sradicati dalla piena comunione? Come possiamo sognare un’Europa libera da ideologie, se non abbiamo il coraggio di anteporre la libertà di Gesù alle necessità dei singoli gruppi dei credenti? È difficile esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza avere cura gli uni degli altri. Calcoli di convenienza, ragioni storiche e legami politici non possono essere ostacoli irremovibili sul nostro cammino.
Contemplazione e azione
Il Papa offre quindi due consigli. Il primo, la contemplazione: “Aiutatevi a coltivare questa tradizione spirituale, di cui l’Europa ha tanto bisogno”, in particolare “l’importanza di non concepire la comunità di fede anzitutto sulla base di un’efficienza programmatica e funzionale”. Il secondo, l’azione, perché “l’unità non si ottiene tanto con i buoni propositi e con l’adesione a qualche valore comune, ma facendo qualcosa insieme per quanti ci avvicinano maggiormente al Signore”.
Nei poveri la presenza di Cristo
Sono, questi, “i poveri”. In loro Gesù è presente: “Condividere la carità apre orizzonti più ampi e aiuta a camminare più spediti, superando pregiudizi e fraintendimenti”.
Il Papa cita i versi di Chalupka nella poesia Mor ho!, che tutti i bambini slovacchi imparano a scuola:
“Il dono di Dio sia presente sulle tavole di ciascuno perché, mentre ancora non siamo in grado di condividere la stessa mensa eucaristica, possiamo ospitare insieme Gesù servendolo nei poveri”, dice il Papa. Sarà, questo, “un segno più evocativo di molte parole” che aiuterà la società a comprendere, specialmente in un periodo sofferto come quello attuale, “che solo stando dalla parte dei più deboli usciremo davvero tutti dalla pandemia”.
La recita comune di un Salmo
L’incontro ecumenico si conclude con la recita del Salmo 130 nella traduzione interconfessionale corrente. In dono al Papa viene consegnato un quadro che raffigura la nascita della Chiesa universale, parte dell’antica storia del protestantesimo in Slovacchia. “Un dono modesto da parte nostra”, spiegano i membri del Consiglio, che regalano al Papa anche un manuale con la spiegazione dell’opera. In esso è riportato una frase significativa: “Nel bene di uno, è nascosto il bene di tutti”.
Sempre nei locali della Nunziatura, il Papa – come consuetudine di ogni viaggio apostolico – incontrerà i suoi confratelli gesuiti slovacchi per un colloquio privato.