Il Papa concede diritto di voto alle donne nel Sinodo: una breccia in un muro maschiocentrico

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Neanche quattro mesi dopo la scomparsa di Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, papa Francesco concede il diritto di voto alle donne nelle assemblee del prossimo Sinodo mondiale dedicato alla Chiesa nel XXI secolo.

E’ una svolta storica. Dopo secoli di subordinazione della donna nella gerarchia clericale, le credenti accedono – intanto nel voto – alla pari dignità decisionale con i maschi e in special modo con i vescovi.

Scriveva san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi che le “donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea”.

Qualunque siano le interpretazioni più moderne delle Lettere dell’apostolo Paolo, la ripetizione sistematica di questo ed altri brani dei testi sacri ha contribuito secolo dopo secolo a costruire la struttura gerarchica cattolica nella sua forma patriarcale e maschilista.

Per quanto Giovanni Paolo II e altre personalità ecclesiastiche abbiano esaltato il “genio femminile” e le varie forme di corresponsabilità delle donne nella Chiesa, fino alla decisione di Francesco – resa nota il 26 aprile – il mondo femminile non aveva accesso con diritto decisionale ad uno dei momenti cruciali della vita ecclesiale successiva al concilio Vaticano II: il Sinodo, l’assemblea dei vescovi che affronta i problemi della comunità cattolica e formula proposte da sottoporre al pontefice.

Una nota della Segreteria del Sinodo introduce la novità. Saranno membri del Sinodo a pieno titolo 70 “non vescovi” (preti, diaconi, religiosi e religiose, laici e laiche), di cui la metà dovranno essere necessariamente donne. Francesco sceglierà tra 140 nomi proposti dalle riunioni continentali preparatorie del Sinodo, che si svolgerà in due tappe mondiali: autunno 2023 e autunno 2024.
Inoltre parteciperanno sempre con diritto di voto altre cinque donne, scelte dall’organizzazione che riunisce tutti gli ordini religiosi femminili.

Infine spetta al pontefice indicare personalmente un certo numero di personalità a sua scelta, fra cui certamente donne. In altre parole, nelle prossime assemblee sinodali mondiali entreranno sulla scena con pari diritti tra le 40 e le 50 donne.

La decisione papale è una “breccia di Porta Pia” nel muro maschiocentrico della Chiesa cattolica. Le parole hanno un senso. Prete viene da presbitero (anziano, in greco) e riprende la cultura ebraica antica in cui gli ”anziani di Israele” erano la guida della comunità. Acanto agli “anziani” c’erano i sacerdoti: concetto che il cristianesimo ha ripreso dall’ebraismo.

Ma vescovo e diocesi sono parole che il cristianesimo formatosi nell’impero romano ha mutuato dal linguaggio amministrativo. Vescovo, episkopos, è l’“ispettore” e diocesi era una specie di circoscrizione simile ad una nostra provincia o regione. In altre parole la Chiesa nei suoi primi secoli ha costruito la sua struttura di potere ricalcando i poteri amministrativi dell’impero: strettamente riservati ai maschi.

Il potere clericale nasce e prospera così, per di più sacralizzato.
Papa Bergoglio con la sua decisione inizia a de-clericalizzare il potere decisionale nella Chiesa. E’ bene dire che dietro le quinte c’è una gran massa di vescovi e sacerdoti totalmente contrari a questa svolta. La “Chiesa profonda”, tradizionale, cercherà come può di contrastare la “Chiesa dei credenti”, la Chiesa sinodale che il Papa sta cominciando a costruire.

Bergoglio è tenace. E quando incontra ostacoli attua la strategia-della-tartaruga. Lenta e costante. Appena eletto, ha dichiarato in una intervista alle riviste dei gesuiti che le donne dovevano occupare nei vari ambiti della Chiesa posti “dove si esercita l’autorità”. Nel 2016 ha istituito una commissione di studio sul diaconato femminile. La commissione si è rivelata totalmente spaccata tra innovatori e conservatori e quindi si è conclusa con un nulla di fatto. Una seconda commissione non ha prodotto finora niente.

Di fronte all’ostacolo Francesco ha iniziato allora a intervenire sul governo centrale della Chiesa: la curia romana. Parecchie donne sono state nominate sottosegretarie in vari dicasteri, compresa la Segreteria di Stato. Donne sono state inserite nel consiglio di amministrazione della banca vaticana e nel Consiglio per l’economia. Una donna, suor Raffaella Petrini, è diventata segretario generale del Governatorato dello Stato Città del Vaticano. Una donna, la domenicana inglese Helen Alford, è stata appena nominata presidente dell’Accademia pontificia delle Scienze Sociali. Altre donne sono diventate rettrici di università pontificie.

Nel 2021 Francesco ha compiuto un altro passo in avanti: ha nominato la suora francese Nathalie Becquart sottosegretario al Sinodo dei vescovi, carica che dà automaticamente diritto di voto alle assemblee sinodali.

Adesso il nuovo passo, che apre la porta alla piena partecipazione femminile ai Sinodi ed è destinato a cambiare a cascata anche la composizione delle assemblee delle conferenze episcopali nazionali. E’ un muoversi, nella visione di Francesco, verso la Chiesa “popolo di Dio” come la definì il concilio Vaticano II. Non più la Chiesa del potere clericale.

Da questo punto di vista non è detto che le richieste del Sinodo dell’Amazzonia relative alla possibilità che siano ordinati sacerdoti – in situazioni di emergenza – anche diaconi sposati con famiglia debbano rimanere inascoltate. Francesco le ha messe in naftalina in seguito alla furiosa opposizione del fronte conservatore (a cui si unì anche l’ex pontefice Ratzinger), ma non si può escludere che prima o poi il papa argentino non riprenda in mano la questione.