Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
E’ necessaria “una nuova alleanza” tra i giovani di Economy of Francesco, che ad Assisi hanno scritto e firmato “un Patto per migliorare il sistema economico globale” e “voi dirigenti d’azienda e imprenditori maturi e di successo”, per dare forma insieme a “una nuova economia per il bene comune”. E’ l’invito che Papa Francesco rivolge ai 850 partecipanti al 27.mo congresso mondiale Uniapac, l’Unione internazionale cristiana di dirigenti d’azienda, in corso a Roma, incontrati questa mattina in Aula Paolo VI.
Dopo il saluto del presidente di Uniapac Bruno Bobone, il Papa ha definito il tema scelto per il congresso, iniziato il 20 ottobre per chiudersi il 22, “Creare una nuova economia per il bene comune”, una “grande sfida” per voi e molti altri attori del mondo imprenditoriale”. Francesco definisce quella dell’imprenditore, citando l’Enciclica Laudato si, una “nobile vocazione” di imprenditori, ricordando “che tutte le nostre capacità, incluso il successo negli affari, sono doni di Dio” e come scrive nella Fratelli tutti, “dovrebbero essere orientate chiaramente allo sviluppo degli altri e alla eliminazione della povertà, specialmente attraverso la creazione di opportunità di lavoro diversificate”.
Si augura allora che i dirigenti cristiani abbiano il coraggio “di saper riconoscere la grazia” e la sapienza di Dio nelle loro vite, permettendo a queste “di guidare e dirigere le vostre relazioni nel mondo degli affari e con quanti lavorano per voi”. Siamo infatti “chiamati ad essere creativi nel fare il bene, – chiarisce ripetendo quanto detto all’Angelus del 18 settembre 2022 – usando i beni di questo mondo” inclusi “tutti i doni che abbiamo ricevuto dal Signore”, non “per arricchire noi stessi, ma per generare amore fraterno e amicizia sociale”.
Guardando agli elementi costitutivi di un “economia diversa”, il Pontefice ribadisce quanto detto ai partecipanti ad Economy of Francesco nel 2019, ricordando che “fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda”. Inoltre, come si legge nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, “tutti hanno il diritto di partecipare alla vita economica e il dovere di contribuire, secondo le proprie capacità, al progresso del proprio Paese e dell’intera famiglia umana” e questo “è dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l’intera umanità”.
Pertanto, qualsiasi “nuova economia per il bene comune” dev’essere inclusiva. Troppo spesso lo slogan “non lasciare indietro nessuno” viene pronunciato senza alcuna intenzione di offrire il sacrificio e lo sforzo per trasformare veramente queste parole in realtà.
Qui Papa Francesco guarda all’ Enciclica Populorum progressio di san Paolo VI, che definiva lo sviluppo integrale l’unico possibile, “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”. I dirigenti d’azienda e imprenditori, sono così “chiamati a fungere da lievito per garantire che lo sviluppo raggiunga tutte le persone, ma soprattutto quelle più emarginate e bisognose, affinché l’economia possa contribuire sempre a una crescita umana integrale”.
Il Papa chiede così di non dimenticare i lavoratori informali, a giornata, poco qualificati e spesso ai “margini del mercato del lavoro”, quelli del lavoro “pericoloso, sporco e degradante”, spesso migranti e rifugiati, che durante la pandemia e i lockdown “hanno assicurato la fornitura e la consegna dei beni necessari per la vita quotidiana e la cura dei nostri cari più fragili, e hanno mantenuto le attività economiche di base, nonostante l’interruzione di molte attività formali”.
Perché l’inclusione dei poveri e degli emarginati, chiarisce Francesco, non può essere soddisfatta “dai nostri sforzi per fornire assistenza finanziaria e materiale”.
Come è scritto nella Laudato si’, «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte alle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro». Difatti, la porta alla dignità di un uomo è il lavoro.
Il lavoro che per l’uomo è “parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale” dovrebbe essere ben integrato in una economia di cura, intesa come “prendersi cura delle persone e della natura, offrendo prodotti e servizi per la crescita del bene comune”.
Un’economia che ha cura del lavoro, creando opportunità di impiego che non sfruttano il lavoratore attraverso condizioni di lavoro degradanti e orari estenuanti». «La cura va oltre, deve essere una dimensione di ogni lavoro. Un lavoro che non si prende cura, che distrugge la creazione, che mette in pericolo la sopravvivenza delle generazioni future, non è rispettoso della dignità dei lavoratori e non si può considerare dignitoso.
Il Pontefice condivide quindi con i membri di Uniapac la “buona notizia” uscita dall’incontro di Economy of Francesco a fine settembre ad Assisi, dove “mille giovani economisti e imprenditori hanno ragionato sulla creazione di una nuova economia e hanno scritto e firmato un Patto per migliorare il sistema economico globale al fine di migliorare la vita di tutte le persone”. Per una nuova economia del bene comune, questi giovani hanno proposto una “economia del Vangelo”, ricorda Papa Francesco.
E cita alcuni punti del Patto, per “un’economia di pace e non di guerra, che si prende cura del creato e non lo depreda, a servizio della persona, della famiglia e della vita, rispettosa di ogni donna, uomo, bambino, anziano e soprattutto dei più fragili e vulnerabili”. E poi “un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza, che non lascia indietro nessuno, per costruire una società in cui le pietre scartate dalla mentalità dominante diventano pietre angolari; che riconosce e tutela il lavoro dignitoso e sicuro per tutti; in cui la finanza sia amica e alleata dell’economia reale e del lavoro, non contro di loro. Perché la finanza ha il pericolo di fare liquida l’economia, anzi gassosa, e va avanti con questo ritmo di liquidità e gassosità e finisce come la catena di sant’Antonio”.
Oggi, conclude il Papa, “ci sono centinaia, migliaia, milioni e forse miliardi di giovani che lottano per accedere ai sistemi economici formali, o anche solo per avere accesso al loro primo lavoro retribuito dove mettere in pratica le conoscenze accademiche, le competenze acquisite, l’energia e l’entusiasmo”.
Vorrei incoraggiare voi, dirigenti d’azienda e imprenditori maturi e di successo, a considerare una nuova alleanza con i giovani che hanno creato e che si sono impegnati in questo Patto. E’ vero che i giovani sempre ti portano dei problemi ma hanno il fiuto di far vedere la vera strada. Per camminare con loro, insegnare loro e imparare da loro, insegnare loro, pure; e, insieme, dare forma a “una nuova economia per il bene comune”. Grazie di quello che fate, grazie per essere qui.
L’Uniapac è nata come Conferenza Internazionale delle Associazioni di Imprenditori Cattolici, costituita dalle associazioni di Olanda, Belgio, Francia, nel quarantesimo anniversario della “Rerum novarum”, con l’intento di raggruppare imprenditori e quadri che, per l’adempimento dei propri compiti e doveri professionali, si ispirano all’insegnamento sociale cristiano. Dopo la Seconda guerra mondiale, si è diffusa in altri Paesi europei e in America Latina. Negli anni Sessanta l’Unione è diventata un’associazione ecumenica ed ha assunto la denominazione attuale (Unione internazionale cristiana di dirigenti d’azienda).