Francesco riceve in udienza una rappresentanza di “Uniamo”, associazione della Federazione Italiana Malattie Rare. Il discorso viene interrotto dai bambini e altri malati che si avvicinano al Papa per salutarlo e ricevere un Rosario, il Pontefice mette da parte il discorso scritto: “La vera predica è stata quella che ci anno fatto vedere loro, con le loro limitazioni, con le loro malattie, ma ci hanno fatto capire che sempre c’è una possibilità di andare avanti”
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Battersi”, usa proprio questa parola Papa Francesco per invitare le associazioni che si occupano della tutela e difesa delle persone con malattia rara a proseguire il loro impegno perché “nessuno sia escluso dal servizio sanitario, nessuno sia discriminato, nessuno penalizzato”. In udienza dal Pontefice, nel Palazzo Apostolico, c’è oggi una delegazione di Uniamo, realtà parte della Federazione Italiana Malattie Rare. Più di una volta, specialmente in occasione della Giornata delle Malattie Rare del 28 febbraio, Francesco aveva menzionato l’associazione durante l’Angelus. Adesso avviene l’incontro dal vivo con una parte dei membri di questo ente che da oltre 20 anni si occupa di difendere e salvaguardare i diritti di uomini e donne affetti da malattie rare e delle loro famiglie. Ha oltre 150 associazioni affiliate in continua crescita.
Condividere, una necessità
“Uniamo… Uniamo le esperienze, uniamo le forze, uniamo le speranze”, dice il Papa ai membri dell’associazione, soffermandosi sul nome e sul motto. “Condividere”. Proprio la condivisione, in un ambito di tale fragilità e sofferenza come quello delle malattie rare, “all’inizio è una necessità, poi diventa una scelta”.
Quando un papà e una mamma scoprono che il bambino ha una malattia rara, hanno bisogno di conoscere altri genitori che hanno vissuto e vivono la stessa esperienza. È una necessità…
Via d’uscita per l’angoscia
E poiché la patologia è rara, “diventa indispensabile riferirsi a un’associazione che mette insieme persone che ogni giorno hanno a che fare con quella malattia: conoscono i sintomi, le terapie, i centri di cura e così via”, sottolinea il Papa. “Una strada obbligata”, dunque, “una via d’uscita dall’angoscia di trovarsi da soli e disarmati di fronte al nemico”.
L’abbraccio dei bambini e dei malati
Mentre pronuncia il suo discorso, il Papa viene interrotto da una bambina che si avvicina a lui e gli consegna un regalo: “Vieni, vieni, vieni: eh, brava! Questo è per me? E sei brava: brava! Questa è la innocenza creativa dei bambini: sono come sono e fanno”. Poi un’altra bimba la segue e altri e altri ancora, finché il Papa è circondato da piccoli: “Vieni tu da me, vieni anche tu: un’altra brava … E possiamo dare loro questi due rosari, portate due rosari bianchi, due bianchi”, dice, aggiungendo: “È meglio questo del discorso, eh? Questo è il vostro discorso, questa spontaneità…”. Francesco si intrattiene quindi con i piccoli, a cui si aggiungono altri adulti malati. Chiede loro i nomi – Emanuele, Samuel, Carla, Dario -, consegna i Rosari, distribuisce carezze e benedizioni. Come a una donna che dice: “Le chiedo una preghiera per la mia diagnosi, che ancora non abbiamo trovato”.
Una predica vivente
“Questa è stata la predica oggi, per noi”, esclama il Papa, dinanzi a questa scena così spontanea. “Per questo ho pensato, io: continuare io a parlare, dopo questa predica vivente, non ha senso”.
Alle volte, noi prepariamo le cose da dire, e tutte le idee, ma la realtà parla meglio delle idee, e il vero discorso l’hanno fatto loro, oggi, avvicinandosi con tutta naturalizza, dando il meglio di sé stessi, un sorriso, una curiosità, tendere la mano per prendere il Rosario
Papa Francesco consegna quindi il discorso scritto alla presidente: “Questo è il testo che io volevo dire, ma la vera predica è stata quella che ci anno fatto vedere loro, con le loro limitazioni, con le loro malattie, ma ci hanno fatto capire che sempre c’è una possibilità per crescere e per andare avanti”.
Un contributo per il bene comune
Nel discorso scritto il Papa si soffermava sulle “potenzialità” di una realtà associativa come Uniamo, capace di dare “un contributo decisivo al bene comune”, più specificatamente “di migliorare la qualità del servizio sanitario di un Paese, di una regione, di un territorio”.
La buona politica dipende anche dall’apporto delle associazioni, che, su questioni specifiche, hanno le conoscenze necessarie e l’attenzione verso persone che rischiano di essere trascurate.
Ecco il punto decisivo, afferma il Papa: “Non si tratta di rivendicare favori per la propria categoria, non è questa la buona politica; ma si tratta di battersi perché nessuno sia escluso dal servizio sanitario, nessuno sia discriminato, nessuno penalizzato”.
Superare le barriere
Un valore “importante” per un’esperienza come Uniamo – “fortemente a rischio di emarginazione”, annota il Papa nel discorso scritto – è l’effetto che essa può avere su “un piano sociale e anche politico”.
Faccio un esempio: realtà come la vostra possono fare pressione perché si superino le barriere nazionali e commerciali per condividere i risultati delle ricerche scientifiche, così da poter raggiungere obiettivi che oggi appaiono molto distanti.
Dare voce a chi, da solo, non può farsi sentire
Certo, “è difficile impegnarsi per tutti quando già si fa fatica ad affrontare il proprio problema”, ammette il Pontefice. Ma proprio qui sta la forza dell’associazione e ancor più della federazione: “La capacità di dare voce a tanti che, da soli, non potrebbero farsi sentire, e così rappresentare un bisogno”. In questo senso, per il Papa, sarebbe importante “coinvolgere e ascoltare i rappresentanti dei pazienti fin dalle prime fasi dei processi decisionali”.
Nel relazionarvi con le istituzioni, ai vari livelli, voi non solo chiedete, ma anche date: conoscenze, contatti, e soprattutto persone, persone che possono dare una mano per il bene comune, se operano con spirito di servizio e senso civico.