All’udienza generale Francesco riflette su una “malattia dell’anima” che può insinuarsi e prostrare una persona fino ad abbatterla: questo “demone subdolo” va combattuto pensando a Gesù che “ci porta la gioia della risurrezione”
Adriana Masotti – Città del Vaticano
La tristezza intesa come “un abbattimento dell’animo, un’afflizione costante che impedisce all’uomo di provare gioia”, è il tema a cui Papa Francesco dedica la catechesi di oggi in Aula Paolo VI, proseguendo il ciclo sui vizi e le virtù.
Una tristezza amica e una che viene dal Maligno
E subito è necessario fare una distinzione tra due diversi generi di tristezza: quella che fa parte del cammino di conversione del cristiano e che la grazia di Dio trasforma in gioia, e quella che “si insinua nell’anima e che la prostra in uno stato di abbattimento“. E’ questa tristezza che va combattuta, afferma il Papa.
C’è dunque una tristezza amica, che ci porta alla salvezza. Pensiamo al figlio prodigo della parabola: quando tocca il fondo della sua degenerazione prova grande amarezza, e questa lo spinge a rientrare in sé stesso e a decidere di tornare a casa di suo padre. È una grazia gemere sui propri peccati, ricordarsi dello stato di grazia da cui siamo decaduti, piangere perché abbiamo perduto la purezza in cui Dio ci ha sognati.
La malinconia che incancrenisce il cuore
Il secondo tipo di tristezza, invece, è “una malattia dell’anima”. E Francesco spiega che è legata all’esperienza di una perdita, che nasce nel cuore dallo svanire di un desiderio, di un sogno, di una speranza. Papa Francesco cita l’episodio dei discepoli di Emmaus che camminano verso Gesrusalemme ” con il cuore deluso”, e osserva:
Quando questo capita, è come se il cuore dell’uomo cadesse in un precipizio, e i sentimenti che prova sono scoraggiamento, debolezza di spirito, depressione, angoscia. Tutti attraversiamo prove che generano in noi tristezza, perché la vita ci fa concepire sogni che poi vanno in frantumi. In questa situazione, qualcuno, dopo un tempo di turbamento, si affida alla speranza; ma altri si crogiolano nella malinconia, permettendo che essa incancrenisca il cuore.
Attenzione alla tristezza che porta all’egoismo
Francesco definisce questo tipo di tristezza come “il piacere del non piacere”, è “essere contento che questo non sia successo, è come prendere una caramella amara, amara, amara senza zucchero, brutta e succhiare quella caramella”. E fa alcuni esempi: “certi lutti protratti”, osserva, come pure “certe amarezze rancorose” che portano la persona a vivere perennemente uno stato d’animo rivendicativo o di vittimismo che non produce una vita sana, n’è tanto meno cristiana. Da emozione naturale, avverte, la tristezza diventa allora qualcosa di malvagio. “È un demone subdolo, quello della tristezza”, afferma, e a braccio conclude:
Dobbiamo stare attenti a questa tristezza e pensare che Gesù ci porta la gioia della risurrezione. Ma cosa devo fare quando sono triste? Fermarti e vedere: questa è una tristezza buona? È una tristezza non buona? E reagire secondo la natura della tristezza. Non dimenticatevi che la tristezza può essere una cosa molto brutta che ci porta al pessimismo, ci porta a un egoismo che difficilmente guarisce.