Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
San Giuseppe, impegnato in un mestiere duro come quello del falegname e carpentiere nella Palestina ai tempi di Gesù, e suo figlio che impara da lui il lavoro, fanno riflettere Papa Francesco, nella catechesi dell’udienza generale di questo mercoledì, sul dramma di chi non ha un’occupazione che gli “permetta di vivere serenamente”. Ma anche di chi fa mestieri usuranti, in nero, chi muore lavorando, i bambini costretti a lavorare. Per loro il lavoro, più che “un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale”. Così Francesco invita tutta la Chiesa a domandarsi cosa fare “per recuperare il valore del lavoro” e perché “sia ricattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità”. E chiede ai governanti di “dare a tutti la possibilità di guadagnare il pane, perchè questo guadagno dà loro la dignità”.
Il falegname e carpentiere, un mestiere duro
Nella settima catechesi dedicata alla figura di san Giuseppe, Francesco guarda al suo lavoro di “falegname” che nella Palestina di quegli anni voleva dire anche preparare il legno per costruire case e spesso impegnarsi “in attività legate all’edilizia”. Mestiere duro, che “non assicurava grandi guadagni”, sottolinea il Pontefice, e che non era considerato certo nobile dalla gente di Nazaret. Che si stupisce e si scandalizza quando Gesù, “il figlio del falegname” comincia a predicare e insegnare nella sinagoga, e parla “come un dottore della legge” . “Da dove gli vengono – si chiedono nel Vangelo di Matteo letto in Aula Paolo VI – questa sapienza e i prodigi?”.
Da Giuseppe e Gesù a tutti i lavoratori del mondo
Papa Francesco sottolinea anche che i pochi guadagni di Giuseppe si deducono dal fatto che quando con Maria presenta Gesù nel Tempio, insieme “offrirono solo una coppia di tortore o di colombi, come prescriveva la Legge per i poveri”. Parlare della vita di Giuseppe e Gesù, porta il Papa a pensare “a tutti i lavoratori del mondo”, in modo particolare “a quelli che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche; a coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero; alle vittime del lavoro; ai bambini che sono costretti a lavorare e a quelli che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare…”.
La piaga del lavoro in nero
E ripete per rafforzare il messaggio, ricordando che i lavori in nero, “danno lo stipendio di contrabbando, di nascosto, senza la pensione, senza niente. E se non lavori, tu, non hai alcuna sicurezza”. Oggi ce n’è tanto, di lavoro in nero, aggiunge. Francesco torna sui bambini “che nell’età del gioco, devono giocare, costretti a lavorare come persone adulte! “. Ma pensa anche “a chi è senza lavoro; a quanti si sentono giustamente feriti nella loro dignità perché non trovano un lavoro”.
Quanta gente va a bussare alle porte delle fabbriche, delle imprese: “Ma, c’è qualcosa da fare?” – “No, non c’è, non c’è …”. Tornano a casa: “E? Hai trovato qualcosa?” – “ No, niente … sono passato dalla Caritas e porto il pane”. Quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa. Tu puoi prenderlo dalla Caritas: no, questo non ti dà dignità. Quello che ti dà dignità è guadagnare il pane, e se noi non diamo alla nostra gente, ai nostri uomini e alle nostre donne, la capacità di guadagnare il pane, questa è un’ingiustizia sociale in quel posto, in quella nazione, in quel continente.
L’appello ai governi e il dramma dei suicidi dei senza lavoro
Per questo il Pontefice ribadisce il suo appello, lasciando il discorso preparato:
I governanti devono dare a tutti la possibilità di guadagnare il pane, perché questo guadagno dà loro la dignità. E’ un’unzione di dignità, il lavoro. E questo è importante. Molti giovani, molti padri e molte madri vivono il dramma di non avere un lavoro che permetta loro di vivere serenamente. E tante volte la ricerca di esso diventa così drammatica da portarli fino al punto di perdere ogni speranza e desiderio di vita. In questi tempi di pandemia tante persone hanno perso il lavoro e alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. Vorrei oggi ricordare ognuno di loro e le loro famiglie.
Qui Papa Francesco chiede a tutti di ricordare in silenzio “quegli uomini, quelle donne disperati perché non trovano lavoro”.
Il lavoro essenziale anche nel cammino di santificazione
Il Pontefice sottolinea quindi che oggi “non si tiene abbastanza conto del fatto che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana, e anche nel cammino di santificazione”. Perché “lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo”.
Purtroppo però il lavoro è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale. Tante volte mi domando: con che spirito noi facciamo il nostro lavoro quotidiano? Come affrontiamo la fatica? Vediamo la nostra attività legata solo al nostro destino oppure anche al destino degli altri?
Riscattare il lavoro dalla logica del profitto
Infatti, conclude Papa Francesco, “il lavoro è un modo di esprimere la nostra personalità, che è per sua natura relazionale”, ed anche “un modo per esprimere la nostra creatività” perchè ognuno fa il lavoro “a suo modo” con il suo stile. Ed è bello “pensare che Gesù stesso abbia lavorato e che abbia appreso quest’arte proprio da San Giuseppe”.
Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità.
La preghiera di san Paolo VI per il primo maggio
In conclusione il Pontefice invita a recitare, come nelle precedenti catechesi sul patrono della Chiesa universale, una preghiera, in questo caso non composta personalmente, ma elevata da san Paolo VI a san Giuseppe il 1° maggio 1969.
O San Giuseppe, Patrono della Chiesa, tu che, accanto al Verbo incarnato, lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e di faticare; tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: tu che irradii oggi, l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini ma grandissima davanti a Dio, proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo; e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen.O San Giuseppe, Patrono della Chiesa, tu che, accanto al Verbo incarnato, lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e di faticare; tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: tu che irradii oggi, l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini ma grandissima davanti a Dio, proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo; e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen.