Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Le popolazioni indigene hanno tanto da insegnarci sulla salvaguardia del creato e sulla custodia e la tutela della famiglia. Alla Citadelle de Québec, incontrando le autorità civili, i rappresentanti delle popolazioni indigene e il corpo diplomatico, Francesco invita ad attingere alla sapienza, alla cultura e alla laboriosità dei popoli autoctoni per recuperare un’armoniosa visione del creato e sane relazioni sociali. È denso e ricco di contenuti il discorso del Papa, e tocca anche il tema delle colonizzazioni odierne.
Se un tempo la mentalità colonialista trascurò la vita concreta della gente, imponendo modelli culturali prestabiliti, anche oggi non mancano colonizzazioni ideologiche che contrastano la realtà dell’esistenza, soffocano il naturale attaccamento ai valori dei popoli, tentando di sradicarne le tradizioni, la storia e i legami religiosi.
No alla “cancel culture”
Tutto questo porta ad una “cancel culture”, sottolinea Francesco, la quale “valuta il passato solo in base a certe categorie attuali”. Si fa spazio, così, “una moda culturale che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze”, si concentra solo sul presente, “sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i doveri nei riguardi dei più deboli”. Ossia i poveri, i migranti, gli anziani, gli ammalati, i nascituri, “dimenticati nelle società del benessere” e scartati “nell’indifferenza generale”.
Le comunità umane siano aperte e inclusive
E prende spunto dagli elementi che la natura offre in Canada, il Papa, per proporre efficaci immagini che parlano all’uomo contemporaneo. Sicché quegli alberi d’acero, che sono diventati simbolo del Paese, con le loro “ricche chiome multicolori” ricordano “l’importanza dell’insieme, di portare avanti comunità umane non omologatrici, ma realmente aperte e inclusive. E come ogni foglia è fondamentale per arricchire le fronde, così ogni famiglia, cellula essenziale della società, va valorizzata”. E invece a minacciarla oggi sono “violenza domestica, frenesia lavorativa, mentalità individualistica, carrierismi sfrenati, disoccupazione, solitudine dei giovani”, abbandono dei più fragili. Eppure, nelle famiglie indigene, “già da bambini si impara a riconoscere che cosa è giusto e che cosa sbagliato”, osserva il Pontefice, “a dire la verità, a condividere, a correggere i torti, a ricominciare, a rincuorarsi, a riconciliarsi”.
Il male sofferto dai popoli indigeni di cui oggi ci vergogniamo ci serva oggi da monito, affinché la cura e i diritti della famiglia non vengano messi da parte in nome di eventuali esigenze produttive e interessi individuali.
C’è bisogno di ascoltare Dio, le persone e la natura
A proposito della salvaguardia della terra, Francesco richiama l’armoniosa visione del creato delle popolazioni indigene, dalla quale imparare a “porsi in ascolto di Dio, delle persone, della natura”. Un ascolto di cui c’è particolarmente bisogno “nella vorticosa frenesia del mondo odierno”, aggiunge il Papa, dove è “arduo uno sviluppo realmente umano, sostenibile e integrale” e si genera una “‘società della stanchezza e della disillusione’ che fatica a ritrovare il gusto della contemplazione, il sapore genuino delle relazioni, la mistica dell’insieme”.
Quanto bisogno abbiamo di ascoltarci e di dialogare, per allontanarci dall’individualismo imperante, dai giudizi affrettati, dall’aggressività dilagante, dalla tentazione di dividere il mondo in buoni e cattivi!
Il deprecabile sistema delle politiche di assimilazione e affrancamento
Per il Pontefice i “salutari valori presenti nelle culture indigene” possono essere d’ispirazione per chiunque “e possono contribuire a risanare le nocive abitudini di sfruttare il creato, le relazioni e il tempo, e di basarsi solo sull’utile e il profitto. Ma tali insegnamenti “sono stati violentemente avversati in passato”, soprattutto dalle “politiche di assimilazione e di affrancamento” e dal “sistema scolastico residenziale, che ha danneggiato molte famiglie indigene, minandone la lingua, la cultura e la visione del mondo”. Un “sistema deprecabile”, lo definisce Francesco, che, “promosso dalle autorità governative dell’epoca”, “ha separato tanti bambini dalle loro famiglie”, con il coinvolgimento di “diverse istituzioni cattoliche locali”.
Per questo esprimo vergogna e dolore e, insieme ai Vescovi di questo Paese, rinnovo la mia richiesta di perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene. È tragico quando dei credenti, come accaduto in quel periodo storico, si adeguano alle convenienze del mondo piuttosto che al Vangelo.
Ora è tempo di “impegnarsi insieme”, rimarca il Papa, per “promuovere i legittimi diritti delle popolazioni native e favorire processi di guarigione e di riconciliazione tra loro e i non indigeni del Paese”. Da qui l’invito alle autorità civili “a rispondere in modo adeguato agli appelli della Commissione per la verità e la riconciliazione”.
Il contributo della Santa Sede nella promozione delle culture indigene
Francesco assicura, che, da parte della Santa Sede e delle comunità cattoliche locali, c’è “la concreta volontà di promuovere le culture indigene, con cammini spirituali appositi”, nel rispetto delle tradizioni culturali, delle usanze, delle lingue e dei processi educativi propri e nello “spirito della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni”.
È nostro desiderio rinnovare il rapporto tra la Chiesa e le popolazioni indigene del Canada, un rapporto segnato sia da un amore che ha portato ottimi frutti, sia, purtroppo, da ferite che ci stiamo impegnando a comprendere e sanare.
E grato per gli incontri dei mesi scorsi con vari rappresentanti delle popolazioni indigene e per il dialogo istauratosi, il Pontefice confida che quei momenti hanno lasciato in lui un’impronta e “il fermo desiderio” di portare avanti “un cammino fraterno e paziente, da intraprendere con tutti i canadesi secondo verità e giustizia”, sempre proiettato alla guarigione e alla riconciliazione.
Necessarie politiche creative e lungimiranti per rispondere alle sfide globali
Alle riflessioni sul doloroso passato delle popolazioni indigene, il Papa affianca, poi, lo sguardo sul presente e sull’“insensata follia della guerra”, di fronte alla quale c’è “bisogno di lenire gli estremismi della contrapposizione e di curare le ferite dell’odio”. Cita Edith Bruck – “la pace ha un suo segreto: non odiare mai nessuno. Se si vuole vivere non si deve mai odiare.” – e spiega che pace e sicurezza non si raggiungono con una corsa agli armamenti e strategie di deterrenza.
Non c’è bisogno di chiedersi come proseguire le guerre, ma come fermarle. E di impedire che i popoli siano tenuti nuovamente in ostaggio dalla morsa di spaventose guerre fredde allargate. C’è bisogno di politiche creative e lungimiranti, che sappiano uscire dagli schemi delle parti per dare risposte alle sfide globali.
Le problematiche del mondo contemporaneo
Poi Francesco parla delle “grandi sfide di oggi”, la pace, i cambiamenti climatici, gli effetti pandemici e le migrazioni internazionali, che “sono globali, riguardano tutti”. Per questo “la politica non può rimanere prigioniera di interessi di parte”. Bisogna, invece, volgersi alle generazioni future prosegue il Papa, “non alle convenienze immediate, alle scadenze elettorali, al sostegno delle lobby”. E occorre anche “valorizzare i desideri di fraternità, giustizia e pace” dei giovani.
Essi meritano un futuro migliore di quello che stiamo loro preparando, meritano di essere coinvolti nelle scelte per la costruzione dell’oggi e del domani, in particolare per la salvaguardia della casa comune, per la quale sono preziosi i valori e gli insegnamenti delle popolazioni indigene.
Il multiculturalismo
Infine il Pontefice, guardando alla società di oggi rileva che una sfida permanente è il multiculturalismo, quell’“accogliere e abbracciare le diverse componenti presenti, rispettando, al contempo, la diversità delle loro tradizioni e culture, senza pensare che il processo sia compiuto una volta per tutte”. Esprime il suo apprezzamento per l’ospitalità offerta dai canadesi a numerosi migranti ucraini e afghani e incoraggia a “lavorare per superare la retorica della paura nei confronti degli immigrati” e per dare loro, secondo le possibilità del Paese, l’opportunità “di essere coinvolti responsabilmente nella società”.
La cura dei più deboli
Concludendo il suo discorso, Francesco non dimentica gli ultimi, “i senzatetto che si affidano alle chiese e ai banchi alimentari per ricevere aiuti e conforti”, non pochi anche in Canada. Fratelli e sorelle, che ci portano a considerare “l’urgenza di adoperarci per porre rimedio alla radicale ingiustizia che inquina il nostro mondo”. Nel Paese nordamericano, termina il Papa, anche “tra i nativi si registrino spesso molti tassi di povertà”, un “basso indice di scolarizzazione” e “il non facile accesso alla casa e all’assistenza sanitaria”. Da qui l’esortazione del Pontefice a compiere “scelte economiche e sociali volte alla condivisione e alla cura dei bisognosi”.