Chiesa Cattolica – Italiana

Il Papa alle Chiese orientali: auguri per un Natale di pace

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Oggi le Chiese orientali, che seguono il Calendario giuliano, festeggiano il Natale. A tutte loro è giunto il sentito saluto del Papa. “Rivolgo con affetto i migliori auguri di pace e di ogni bene – scrive Francesco sull’account ‘@pontifex’ – ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali, sia cattoliche sia ortodosse, che celebrano il Natale del Signore: Cristo, nato dalla Vergine Maria, illumini le vostre famiglie e le vostre comunità!
 

Un altro Natale in tempo di pandemia

Particolarmente sentita quest’anno la festività del Natale per le Chiese orientali, sia cattoliche che ortodosse. Le difficoltà imposte dalla pandemia richiedono oggi la riscoperta del senso dell’unità, della comunione che la nascita di Gesù evoca. Lo afferma, nell’intervista a Radio Vaticana-Vatican News, il padre salesiano di rito greco-cattolico, don Maksym Ryabukha. In questo Natale, afferma, bisogna rafforzare il senso di fratellanza.

Don Maksym il Natale delle Chiese che seguono il Calendario giuliano è sempre più un momento di fraternità tra tutte le realtà cristiane. Qual è il significato oggi della Nascita del Signore?

E’ il senso di una grande unità, unita in Dio che nasce per tutti noi, nasce cercando i più poveri, i più dimenticati, i più sfiduciati, la gente che sta vivendo momenti difficili. Queste persone erano tanto numerose al tempo della Nascita di Gesù, più di duemila anni fa, ma anche oggi nel nostro mondo. Eppure, nonostante tutto, il Natale porta una un senso del tutto speciale, un clima che quasi cambia l’aria che respiriamo, perché il Natale in Oriente è anche una festa di grande unità, di grande familiarità, che raduna tutti sotto il tetto della casa paterna, che ti riporta nel grembo della vita. Riportandoti all’unione, ti dà anche una visione di speranza, una prospettiva nuova a cui dare guardare non da solo, ma tutti insieme. Il Natale vuol dire non solo stare insieme alla gente che ti vive al fianco, ma anche guardare insieme il mondo con occhi nuovi, occhi pieni di fiducia e di speranza, pieni di quella visione del futuro anche Celeste ma anche rivolto al nostro quotidiano.

E’ un Natale che ancora una volta si celebra in tempo di pandemia. Quali le speranze che questa solennità ci può offrire oggi?

Prima di tutto la speranza del ritorno a una vita più aperta. Questi ultimi anni hanno creato un senso un po’ di paura, di diffidenza, di stanchezza, di tristezza, eppure il Natale ci fa ancora respirare il clima dell’unità tra la gente. Io, come salesiano, opero nel campo dell’educazione dei giovani e mi accorgo quanto in questo periodo i ragazzi siano diventati maggiormente “ricercatori di comunicazione”, di una comunicazione più reale, fatta di rapporti veri e non virtuali. La gente oggi cerca l’uomo vero e la speranza del Natale è quella di ritornare a credere nella persona umana, nonostante tutte le paure che possono nascere nell’ambito sanitario a causa del Covid. La speranza e la fiducia sono più forti di tutte le cose che ci possono dividere.

Il Signore è venuto tra noi facendosi umile, piccolo, indifeso: un messaggio forte in questa festività è quello dell’accoglienza, che non deve mai mancare, nei confronti di coloro che sono meno fortunati?

Sì: una cosa molto bella, che si pratica già da più di un anno, è l’attenzione proprio alle persone che sono senza casa. Essi rappresentano una nuova categoria di poveri, i profughi causati da questi ultimi anni di guerra in alcune zone dell’Ucraina. Si cerca di essere molto attenti alle esigenze e ai bisogni e alle difficoltà che vivono queste persone, creando sia centri di accoglienza e di sostegno, per il cibo e per il lavoro. E durante il Natale si fa molto di più, perché è il periodo che in Oriente si festeggia anche San Nicola, che è il protettore dei bambini e di tutti i bisognosi. E allora il fare dei regali, avere pensieri speciali, l’essere attento ai bisogni e alle necessità dei più poveri è molto più forte in questo periodo. Il Natale ci porta a pensare a quelli che sono in difficoltà. Gli anni in cui viviamo ci riservano molte più difficoltà rispetto a quelli prima del coronavirus e della guerra. Contemporaneamente sopravvive la speranza vera in Dio, che sa scrivere diritto anche nelle righe storte della storia che viviamo e in cui Lui sa portare a compimento le sue promesse, nonostante gli atteggiamenti a volte distruttivi degli uomini.

E’ necessario anche guardare ai migranti, quelli che vengono da molto lontano in cerca di un futuro migliore…

Certo, perché, alla fine dei conti, molti di noi hanno avuto l’esperienza di essere migranti, di andare oltre i propri confini alla ricerca di una vita più degna. E allora, quando vediamo qualcuno che viene da lontano, dobbiamo dentro il nostro cuore sentire le sue le sue difficoltà, la speranza che muove la vita.

Don Maksym, lei si trova in Ucraina. Il Paese da anni sta vivendo momenti difficili a causa del conflitto nel Donbass. Questo Natale è il momento di chiedere il dono della pace?

Si, è un dono che va chiesto sempre. Sono stato fortunato di essere per un periodo il traduttore del nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Claudio Gugerotti, e con lui ho avuto la possibilità di viaggiare e di essere anche, per le feste di Natale e di Pasqua, tra le comunità di questo conflitto nei territori ucraini. La gente ha molta speranza che non sia dimenticata e questa unità, questa comunione si rende viva attraverso il Signore anche nonostante i confini visibili. Ci tengono tanto a non essere abbandonati ed esclusi dal mondo reale, da quella vita che viviamo tutti noi. Tutti dobbiamo sperare nella pace vera, che può farci tornare su quel cammino ordinario nella nostra vita terrena, per potere arrivare anche al Cielo.

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