Paolo Ondarza – Città del Vaticano
“Ogni giubileo, secondo l’antica tradizione biblica, ci ricorda che siamo pellegrini in questo mondo: che non siamo ‘padroni’ della terra – e tanto meno del cielo – ma siamo incaricati di coltivare e custodire questo ‘giardino’ nel quale Dio ci ha posti”. Francesco lo ha detto ai circa 500 membri dell’Aeronautica Militare riuniti nella Basilica di San Pietro a conclusione del Giubileo Lauretano, a cento anni della proclamazione da parte di Benedetto XV, il 24 marzo 1920, della Madonna di Loreto Patrona di tutti gli aeronauti.
Piccoli e pensati da Dio
Un Giubileo, ha spiegato il Papa, che “ci ha ricordato che Dio ha creato per noi anche il cielo. Contemplare il cielo ci apre agli spazi sconfinati; ci fa sentire piccoli e nello stesso tempo ‘pensati’, ‘ricordati’ da Colui che ha creato l’universo”. “Il cielo ci ricorda che siamo fatti anche per volare, non tanto nel senso materiale, ma soprattutto in quello spirituale”, ha aggiunto Francesco. “Siamo figli di un Padre che ci dice: ‘Siate santi perché io sono santo'”.
È come dire: volate alto! Non seguite il vostro egoismo che vi porta a chiudervi; apritevi a Dio e agli altri, date spazio alla gratuità, al servizio, alla magnanimità, e la vostra vita prenderà il volo
La casa e la Madre
Francesco ha esortato i militari dell’Aeronautica a “volare alto”, divenendo “operatori di pace” a servizio della pace sia nelle missioni in volo che nei servizi a terra, in patria come nelle zone di conflitto. “La Santa Casa – ha detto – ci ricorda che, dovunque siamo, abbiamo una casa che custodisce le nostre radici cristiane; e abbiamo una Madre che veglia su di noi”
“La casa è la Chiesa e la Madre è Maria. Da lei impariamo soprattutto l’umiltà, che è la via che conduce al Cielo”
I festeggiamenti del Giubileo Lauretano, iniziati l’8 dicembre 2019 e prorogati a causa della pandemia, si concluderanno questo pomeriggio nella Basilica della Santa Casa con una messa presieduta dal cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin.
Il Giubileo e la pandemia
Nell’omelia durante la messa che ha preceduto il saluto del Papa l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, Santo Marcianò, ricordando come l’emergenza della pandemia abbia segnato l’anno giubilare, ha sottolineato l’impegno straordinario dei militari: “Una missione faticosa, pericolosa, nuova, rispetto alla quale, a tratti, avete potuto avvertire un senso di inadeguatezza, come accade a chi opera con grande senso di responsabilità. È stato più impegnativo il trasferimento di malati o, talora, il trasporto delle salme; l’accompagnamento di connazionali nel rientro da Paesi esteri, il trasporto di medicinali e, da un anno a questa parte, l’accurato deposito e la puntuale consegna dei vaccini”.
“Il vostro – ha aggiunto Marcianò – è un mandato che deve e vuole ‘dare sicurezza’ alla gente, ‘comunicare sicurezza’: per questo non bastano gli strumenti né le tecnologie, occorrono le persone; occorre la disponibilità alla relazione e la capacità di prendersi cura dell’altro”.