Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La dichiarazione di nullità matrimoniale non è un freddo atto di sola “decisione giuridica”, perché tocca la vita di una comunità di persone, coniugi e figli, che si identifica con il “bene della famiglia”, anche quanto questa si è sgretolata. Come giudici del Tribunale della Rota Romana non potete quindi “restare inerti davanti agli effetti disastrosi che una decisione” sulla verità di un matrimonio può comportare, sul “bene dei figli, la loro pace o, al contrario, la perdita della gioia davanti alla separazione”.
Le dolorose conseguenze su una famiglia che si disgrega
Papa Francesco ricorda così, con grande sensibilità, le dolorose conseguenze, su una famiglia che si disgrega, delle decisioni, “seppur giuste e legittime”, di nullità matrimoniale, nel tradizionale incontro con i membri del Tribunale della Rota Romana, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. E al termine, ringraziando il decano monsignor Pio Vito Pinto – che tra qualche mese, quando compirà 80 anni, lascerà l’incarico – racconta di resistenze alla riforma del “processo breve” nelle cause di nullità matrimoniali, di notai che hanno perso soldi e vicari giudiziali “un certo potere”.
Unioni non illuminate dalla fede
Collegandosi al discorso tenuto nella stessa occasione lo scorso anno, il Papa sottolinea in apertura i temi che toccano “buona parte delle decisioni rotali nei tempi recenti”, “una carenza di fede, che non illumina come dovrebbe l’unione coniugale”, come aveva già denunciato per ben tre volte anche Benedetto XVI, ma anche “gli aspetti fondamentali di questa unione che, oltre al connubio tra l’uomo e la donna, comprendono la nascita e il dono dei figli e la loro crescita”.
Il bene dei figli non si estingue con la nullità
Il magistero dei Papi e la giurisprudenza della Rota Romana, spiega Francesco, hanno chiarito che il bonum familiae, il bene della famiglia, “va ben al di là del riferimento ai capi di nullità”. Il bene dei figli, “frutto benedetto del patto coniugale”, chiarisce, “non può estinguersi in toto con la dichiarazione di nullità”, in quanto l’esser famiglia “è frutto del progetto divino, almeno per la prole generata”.
Che ne sarà del coniuge che non accetta la nullità?
L’importante questione da considerare, per il Pontefice, è allora: “Che ne sarà dei figli e della parte che non accetta la dichiarazione di nullità?”. Tenuto conto che “la famiglia è la base della società e continua ad essere la struttura più adeguata per assicurare alle persone il bene integrale necessario per il loro sviluppo permanente”, bisogna domandarsi come questo bene integrale delle persone può avverarsi “nelle molteplici situazioni in cui vengono a trovarsi i figli”.
La nuova unione “fonte di pace” solo per chi l’ha cercata
Infatti, prosegue Papa Francesco, “la nuova unione sacramentale” instaurata dopo la dichiarazione di nullità, “sarà di certo fonte di pace per il coniuge che l’ha domandata”. Ma come spiegare ai figli “che – ad esempio – la loro mamma, abbandonata dal loro padre e spesso non intenzionata a stabilire un altro vincolo matrimoniale, riceve con loro l’Eucaristia domenicale, mentre il padre, convivente o in attesa della dichiarazione di nullità del matrimonio, non può partecipare alla mensa eucaristica?”
Amoris laetitia: i figli non diventino mezzo di ricatto
Sono domande che anche i padri sinodali, nelle due assemblee, la straordinaria del 2014 e l’ordinaria del 2015, si sono posti, pur consapevoli, ricorda il Papa, “che è difficile, a volte impossibile, offrire risposte”. Ma le loro preoccupazioni hanno portato alla realizzazione dell’esortazione apostolica “Amoris laetitia”, nella quale Francesco, soprattutto al punto 241, offre “chiare indicazioni affinché nessuno, soprattutto i piccoli e i sofferenti, sia lasciato solo o trattato come mezzo di ricatto tra i genitori divisi!”. Nell’“Anno della Famiglia Amoris laetitia” che si apre il 19 marzo, il Pontefice sottolinea che i membri della Rota Romana potranno dare, col loro lavoro, un prezioso contributo “a questo cammino ecclesiale con le famiglie per la famiglia”.
Preoccupazione pastorale per le vittime delle rotture
Per questo Papa Francesco invita i giudici rotali a testimoniare, nelle loro sentenze, “questa ansia apostolica della Chiesa”, considerando che “il bene integrale delle persone richiede di non restare inerti davanti agli effetti disastrosi che una decisione sulla nullità matrimoniale può comportare”. Se quindi sempre nella Amoris laetitia, al Tribunale della Rota Romana, come anche agli altri Tribunali della Chiesa, viene chiesto che di rendere più accessibili, e “possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità”, il Papa chiede ai giudici di aprirsi “agli orizzonti di questa pastorale difficile, ma non impossibile, che riguarda la preoccupazione per i figli, quali vittime innocenti di tante situazioni di rottura, divorzio o di nuove unioni civili”.
La famiglia: un bene da tutelare anche se sgretolata
Serve quindi “senso pastorale”, per Francesco, anche “nella delicata decisione sulla nullità o meno dell’unione coniugale”, perché “le sentenze del giudice ecclesiastico non possono prescindere dalla memoria, fatta di luci e di ombre, che hanno segnato una vita, non solo dei due coniugi ma anche dei figli”. Che “costituiscono una comunità di persone” da identificare “sempre e certamente col bene della famiglia, anche quando essa si è sgretolata”.
Una famiglia che si divide e un’altra che viene creata
L’indispensabile “attenzione e cura” alla famiglia e al matrimonio cristiano chiede che i giudici non dimentichino gli effetti delle loro decisioni “sulla verità del matrimonio”. “Innanzitutto il bene dei figli, la loro pace o, al contrario, la perdita della gioia davanti alla separazione”. Questa è la realtà, sottolinea il Pontefice, spesso sofferente: “Una famiglia che si divide e un’altra che, di conseguenza, viene costituita pregiudicando quell’unità che faceva la gioia dei figli nella precedente unione”.
Vescovi e parroci: cura per il coniuge abbandonato e i figli
La sfida per ogni vescovo, prosegue Papa Francesco, è realizzare “un necessario cammino ecclesiologico e pastorale”, per “non lasciare al solo intervento delle autorità civili i fedeli sofferenti per giudizi non accettati e subiti”. Serve “fantasia della carità” di fronte “alle tragedie familiari i cui protagonisti non possono essere dimenticati”. L’invito del Papa è che “i collaboratori del vescovo, in particolare il vicario giudiziale, gli operatori della pastorale familiare e soprattutto i parroci, si sforzino di esercitare quella diaconia di tutela, cura e accompagnamento del coniuge abbandonato ed eventualmente dei figli, che subiscono le decisioni, seppur giuste e legittime, di nullità matrimoniale”.
Al servizio del disegno divino su matrimonio e famiglia
Francesco si dice quindi fiducioso che “il Tribunale della Rota Romana, autorevole manifestazione della sapienza giuridica della Chiesa, continuerà a svolgere con coerenza” il non facile incarico “a servizio del disegno divino sul matrimonio e la famiglia”.
Il “grazie” al decano monsignor Pinto, presto in pensione
E prima della benedizione, il Pontefice ringrazia il decano monsignor Pinto per la tenacia avuta “per portare avanti la riforma dei processi matrimoniali. Una sola sentenza, poi il processo breve, che è stato come una novità, ma era naturale perché il vescovo è il giudice”. Racconta la telefonata di un vescovo, poco dopo la promulgazione del processo breve” che gli chiedeva se era da annullare il matrimonio di una ragazza “costretta a sposarsi perché era incinta” con la testimonianza a favore dei due padri. “Firma. Tu sei il giudice, senza tante storie”, è stata la sua risposta.
Le resistenze alla riforma del processo breve
Una riforma, però, quella del processo breve, che “ha avuto e ha tante resistenze”. “Io vi confesso – prosegue “a braccio” Papa Francesco – dopo questa promulgazione ho ricevuto lettere, tante… quasi tutti notai che perdevano la clientela”. “E’ il problema dei soldi”, commenta, aggiungendo di aver visto con dolore, in alcune diocesi, “la resistenza di qualche vicario giudiziale che con questa riforma perdeva – non so… – un certo potere, perché si accorgeva che il giudice non era lui, ma il vescovo”.
Il giudice è il vescovo: “Questa è la verità evangelica”
“Il giudice è il vescovo – conclude il Papa – va aiutato dal vicario giudiziale, va aiutato dal promotore di giustizia. Ma lui è il giudice, non può lavarsene le mani. E tornare a questo che è la verità evangelica”. E grazie a monsignor Pinto che “gira il mondo insegnando questo”.