Chiesa Cattolica – Italiana

Il Papa al popolo timorese: avete il “buon profumo” di chi insegna ai figli a sorridere

Nell’omelia della Messa celebrata nella spianata di Taçi Tolu a Dili, davanti a 600 mila persone, Francesco invita a guardare alla tenerezza e semplicità dei bambini: attraverso di loro Dio si fa vicino, attenzione ai “coccodrilli che vogliono cambiare la vostra cultura e la vostra storia

Lorena Leonardi – Città del Vaticano

A Timor-Leste “è bello, perché ci sono tanti bambini”, “in ogni angolo si sente esplodere la vita. E questo è un dono grande” ma anche “un segno” per “fare spazio ai bambini” e “farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri”. L’invito di Papa Francesco attraversa tutta la spianata raggiungendo i circa 600 mila fedeli riuniti a Taçi Tolu, un’area protetta sulla costa timorese, a meno di dieci chilometri dalla capitale Díli.

Questo stesso luogo visitò nel 1989 San Giovanni Paolo II durante il suo viaggio nel Paese. E qui, in una zona caratterizzata da paesaggi pittoreschi e una ricca biodiversità, si è recato anche il Papa per celebrare la Messa nel pomeriggio di oggi, 10 settembre – mattina in Italia – dopo aver incontrato in privato i membri della Compagnia di Gesù nella nunziatura apostolica.

L’arrivo del Papa 

All’inizio l’emozione in attesa del passaggio del Santo Padre è palpabile: nel tragitto che da quest’ultima conduce alla spianata folla di uomini e donne assiepati ai lati delle strade, in molti sui tetti delle case e sulle macchine. Ad accogliere il Papa nella grande radura, una distesa umana di ombrelli bianchi e gialli distribuiti per l’occasione: molti fedeli sono qui dall’alba dopo avere affrontato ore di viaggio provenendo anche da regioni vicine, il sole è cocente e solo poco prima dell’inizio della celebrazione i parasole si chiudono rivelando il volto entusiasta di migliaia di persone.

Francesco nel tragitto fino al palco viene fermato più volte per dei saluti dalla macchina coperta, scatta una foto con alcuni vescovi e riceve in dono un ritratto da parte di un ragazzo. Dopo avere indossato i paramenti in sacrestia, il Pontefice prende posto sul grande altare allestito per l’occasione, accnto a lui i concelebranti, il cardinale Virgílio do Carmo da Silva, arcivescovo di Díli, e monsignor Norberto Do Amaral, vescovo di Maliana, presidente della conferenza episcopale di Timor-Leste.

La folla in attesa del Papa nella spianata

Un dono per sognare

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”, scandisce nella sua omelia in spagnolo il Papa, ripetendo le parole del profeta Isaia proclamate nella prima Lettura: in una Gerusalemme prospera, ma in un momento di grande decadenza morale, “Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio”. La nascita di un bambino, riflette Francesco, è un “momento luminoso, di gioia e di festa”, che suscita “desideri buoni”, di “ritorno alla purezza e alla semplicità”. Di fronte a un neonato, “anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza”.

La vicinanza di Dio è attraverso di un bambino, Dio si fa bambino, e non è solo per stupirci e farci commuovere, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarci modellare da Lui. Da lui, affinché possa curare le nostre ferite, appianare le nostre divergenze, porre in ordine l’esistenza.

Farsi piccoli per fare cose grandi

Sottolineando la presenza gioiosa di numerosi bambini nel giovane Paese del Sudest asiatico, Francesco evidenzia che solo “facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi”, come Maria, “che oggi veneriamo come Regina”, cioè “come la madre di un Re che ha voluto nascere piccolo, farsi nostro fratello”, spiega facendo riferimento al brano evangelico di Luca ascoltato poco prima in portoghese.

Maria (…) ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto.

Da qui il monito del Papa a non avere paura “di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi”, di ridimensionare i nostri progetti, “non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri”.

Il grande altare

Carità e misericordia

Tutto questo è simboleggiato molto bene, secondo Francesco, da due monili tradizionali timoresi, il Kaibauk e il Belak: il primo raffigura le corna del bufalo e la luce del sole, si mette a ornamento della fronte o sulla sommità delle abitazioni e rappresenta “la potenza di Dio, che dona la vita” rammentandoci che “anche noi possiamo cooperare con le nostre azioni al grande disegno della redenzione”. Complementare al Kaibauk è il Belak, che si indossa sul petto, rimanda al chiarore delicato della luna e alla tenerezza della madre e rende ciò che tocca “luminoso della stessa luce che riceve da Dio”.

Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così il Signore manifesta la sua regalità, fatta di carità e di misericordia.

Infine, la proposta del Papa di chiedere insieme, “ciascuno di noi, come donne e uomini, come Chiesa, come società”, di saper riflettere nel mondo “la luce forte, la luce tenera” del Dio dell’amore.

Profumo di sandalo e Vangelo

Al termine della celebrazione eucaristica ha preso la parola l’arcivescovo di Díli, il cardinale Virgílio do Carmo da Silva: “Oggi, questo luogo di Taçi Tolu è di nuovo l’epicentro di un evento storico per il popolo timorese”. Se la visita del Papa San Giovanni Paolo II ha segnato “il passo decisivo per il nostro processo di autodeterminazione” – ha detto riferendosi alla conquista dell’indipendenza – oggi la presenza di Papa Francesco contrassegna “un passo fondamentale nel processo di costruzione del Paese, della sua identità e cultura”. In passato, ha ricordato il porporato, esploratori e navigatori sono stati attirati nell’isola di Timor dal profumo del sandalo, che “a un certo punto della storia si è incrociato con quello del Vangelo”, persistente fino a oggi grazie all’impegno continuo dei missionari.

Francesco ha dunque aggiunto a braccio che non solo il sandalo, ma anche l’intero popolo di Timor-Leste ha un buon “profumo”: qui i bambini sorridono molto, e “un popolo che insegna ai suoi figli a sorridere e ad amare è un popolo che guarda al futuro”. Richiamando con una battuta i coccodrilli che popolano alcune zone del Paese, il Papa ha messo in guardia dai “coccodrilli che vogliono cambiare la cultura, la storia, perché mordono forte”. “Io desidero la pace”, ha detto, citando ancora il sorriso dei bambini e gli anziani, “la memoria di questa bella terra”, prima di concludere, tra gli applausi, con un invito a guardare avanti e a farlo con speranza.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti