Nell’omelia della Messa celebrata al Sir John Guise Stadium, Francesco sottolinea l’importanza di aprirsi a Dio, ai fratelli e al Vangelo. Esorta poi i fedeli, circa 35mila, a non sentirsi lontani dagli uomini e dal Signore. La sordità interiore e il mutismo del cuore, sottolinea il Papa, ci allontana dalla gioia di vivere
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Un palco bianco con sprazzi di colore dei simboli tribali che adornano le colonne che lo sorreggono, la veste verde di Papa Francesco che negli occhi ha il giallo, il rosso, il beige dei costumi piumati di tanti, espressione della variegata “armonia delle differenze” che si vive in Papua Nuova Guinea. Il suono dei tamburi e il canto ritmato dai passi scandiscono un corteo che si ferma vicino all’altare allestito presso il Sir John Guise Stadium, dove si celebra la Messa in lingua inglese, alla quale partecipano 35mila persone collocate tra lo stadio e gli spazi attigui. Alcune di loro hanno atteso il Papa dalle 2 di ieri notte, vivendo vissuto una sorta di veglia insieme ad alcuni sacerdoti della arcidiocesi di Port Moresby. Il clima di festa lascia il passo al raccoglimento della celebrazione. Le letture sono in lingua tok pisin, una delle oltre 820 lingue locali, una miscellanza di lingua creola basata sull’inglese parlata nella parte settentrionale del Paese.
Coraggio
È un messaggio di incoraggiamento e speranza quello che il successore di Pietro, 30 anni dopo san Giovanni Paolo II, porta in una “terra così lontana”, nell’Oceano Pacifico, in cui ci si può sentire separati dagli uomini e anche dal Signore ma – spiega il Papa nell’omelia – “voi siete uniti nello Spirito Santo, uniti nel Signore”.
Anche a voi oggi il Signore dice: “Coraggio, non temere, popolo papuano! Apriti! Apriti alla gioia del Vangelo, apriti all’incontro con Dio, apriti all’amore dei fratelli”. Che nessuno di noi rimanga sordo e muto dinanzi a questo invito.
Il cuore bloccato
Il sordomuto del Vangelo di Marco può essere l’uomo di oggi perché incapace di ascoltare e vedere, di confrontarsi con gli altri perché ha come unico riferimento il proprio ego. Papa Francesco lo sottolinea, esortando a guardare alla “periferia” nella quale si trovava l’uomo della Decapoli, oltre il Giordano, lontano da Dio, dagli uomini, “prigioniero della sua sordità e del suo mutismo”. Ma il Pontefice mette in guardia da un’altra immobilità che è quella del cuore:
Ci sono una sordità interiore e un mutismo del cuore che dipendono da tutto ciò che ci chiude in noi stessi, ci chiude a Dio, ci chiude agli altri: l’egoismo, l’indifferenza, la paura di rischiare e di metterci in gioco, il risentimento, l’odio, e l’elenco potrebbe continuare. Tutto ciò ci allontana: da Dio, ci allontana dai fratelli e anche da noi stessi; ci allontana dalla gioia di vivere.
La vicinanza
“A questa lontananza- spiega il Papa – Dio risponde con il contrario, con la vicinanza di Gesù” che si fa prossimo.
Egli è il Dio vicino, il Dio compassionevole, che si prende cura della nostra vita, che supera tutte le distanze.
La bussola
È Gesù che guarisce il mutismo e la sordità dell’uomo. “Quando infatti ci sentiamo lontani, oppure scegliamo di tenerci a distanza – a distanza da Dio, a distanza dai fratelli, a distanza da chi è diverso da noi – allora – spiega Francesco – ci chiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi e finiamo per ruotare solo intorno al nostro io, sordi alla Parola di Dio e al grido del prossimo e perciò incapaci di parlare con Dio e col prossimo”.
Apriti!”. Questa è la cosa più importante: aprirci a Dio, aprirci ai fratelli, aprirci al Vangelo e farlo diventare la bussola della nostra vita.
L’invito è anche di fare questo cammino guardando all’esperienza del Beato Giovanni Mazzucconi, missionario del Pime, ucciso in odio alla fede con un colpo di scure. Un religioso che “tra tanti disagi e ostilità, egli ha portato Cristo in mezzo a voi, perché nessuno restasse sordo dinanzi al gioioso Messaggio della salvezza, e a tutti si potesse sciogliere la lingua per cantare l’amore di Dio”.
Una Chiesa che rende grazie ai missionari
Anche il cardinale John Ribat, arcivescovo di Port Moresby, al termine della Messa ha voluto ricordare i tanti martiri che hanno dato la vita per la Chiesa in Papua Nuova Guinea. “Ci sono stati momenti molto difficili e duri, con violenze, omicidi, distruzione di proprietà e disastri naturali – ha affermato – che hanno causato la perdita di vite umane. Preghiamo sempre per la pace, il progresso, la guarigione e le benedizioni”. Infine il ringraziamento al Papa per la sua visita che “ci porta benedizioni, pace e incoraggiamento e approfondisce la nostra fede” in unità con la Chiesa di Roma.