Francesco incontra i rappresentanti dei Movimenti Popolari a San Calisto, sede del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, in occasione dei dieci anni dal primo incontro in Vaticano. Incoraggia la loro lotta contro le ingiustizie sociali, esorta a dare voce ai poveri dai quali “tutti dipendiamo” e rilancia la proposta di un Salario Base Universale e anche di più tasse per i miliardari. Infine esprime il desiderio di lasciare alle nuove generazioni un mondo migliore di quello attuale
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Francesco arriva in sordina a palazzo San Calisto, nel cuore di Trastevere, dove ha sede il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che oggi, 20 settembre, ospita l’evento “Piantare una bandiera di fronte alla disumanizzazione”, nel decimo anniversario del primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (EMMP) con Papa Francesco svoltosi a Roma. L’”Incontro”, spazio di fratellanza tra organizzazioni di base dei cinque continenti che ha una piattaforma volta a promuove la cultura dell’incontro a favore delle 3T (techo, tierra y trabajo, ovvero tetto, terra e lavoro), attraverso questa iniziativa si propone di dialogare e riflettere sul cammino percorso dal 2014 per affrontare le sfide attuali a favore della giustizia sociale e della pace nella casa comune. E il Papa, quando giunge al tavolo dei partecipanti, resta ad ascoltarlo il dialogo fra quanti in questi anni si sono impegnati perché nessuna famiglia sia senza casa, “nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che deriva dal lavoro”, come recita il motto dell’EMMP.
È un lungo discorso quello del Papa, pronunciato in spagnolo e intervallato da diverse parentesi a braccio, che tocca i temi della giustizia sociale, che invita ad avere cura degli ultimi, degli anziani e dei bambini, ad avere “com-passione”, ossia “soffrire con”, essere al fianco degli altri, essere voce di chi una voce non ce l’ha, perché ai margini della società o è ignorato. Ma Francesco invita anche le persone facoltose a mettere a disposizione i loro beni, perché “le ricchezze sono fatte per essere condivise, per creare, per promuovere la fratellanza”, ricorda che “senza l’amore siamo nulla” e che bisogna fare in modo che questo amore sia effettivo in tutte le relazioni, perché tutto va fatto con amore e che bisogna insistere perché ci sia giustizia, proprio come ha fatto la vedova del Vangelo, senza violenza,
Richiama, anzitutto, quanto scritto, all’inizio del suo pontificato, nella Evangelii gaudium, il Pontefice, ribadendo che fino a quando “non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema”. Perché “dipendiamo tutti dai poveri, tutti, anche i ricchi”. Confida che c’è chi gli dice di parlare molto dei poveri e poco della classe media” e si scusa per questo, ma rimarca che non si può negare la centralità dei poveri nel Vangelo, e che dunque non è il Papa che li pone al centro dell’attenzione, ma Gesù, perciò “è una questione della nostra fede e non può essere negoziata”. Se non ci sono “buone politiche, politiche razionali ed eque che rafforzano la giustizia sociale in modo che tutti abbiano terra, tetto, lavoro, perché tutti abbiano un salario giusto e diritti sociali adeguati – dice – la logica dello scarto materiale e dello scarto umano si diffonderà, lasciando spazio alla violenza e alla desolazione”.
Purtroppo, molte volte sono proprio i più ricchi ad opporsi alla realizzazione della giustizia sociale o dell’ecologia integrale per pura avidità. Mascherano, sì, questa avidità con l’ideologia, ma è la vecchia e conosciuta avarizia. Fanno pressione sui governi affinché sostengano politiche sbagliate che li favoriscano economicamente.
L’auspicio del Papa è che le persone “economicamente potenti escano dall’isolamento, rifiutino la falsa sicurezza del denaro e si aprano alla condivisione dei beni, che hanno un destino universale perché derivano tutti dalla Creazione”. Le ricchezze vanno condivise, insiste il Pontefice, “non come elemosina”, ma “fraternamente”. E perché i poveri vengano aiutati il suo invito ai movimenti popolari è di chiedere, gridare, lottare, sollecitare le coscienze, perché “avanza un modo perverso di vedere la realtà”, che “esalta l’accumulo di ricchezza come se fosse una virtù”, e invece si tratta di un vizio.
Accumulare non è virtuoso, non è virtuoso, distribuire lo è. Gesù non accumulava, moltiplicava, ma moltiplicava e i suoi discepoli distribuivano. Ricordate che Gesù ci ha detto: “Non accumulate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine li consumano, e i ladri sfondano le pareti e li rubano. Accumulate, invece, tesori nel cielo, dove non c’è tignola né ruggine che li consumino, né ladri che scassinano e rubano. Dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore”.
Competere ciecamente “per avere sempre più denaro non è una forza creativa, ma un atteggiamento malsano, un cammino verso la perdizione”, aggiunge Francesco, che ritiene questo comportamento “irresponsabile, immorale e irrazionale”, perché “distrugge la creazione e divide le persone”, e ciò non si deve smettere di denunciarlo, poiché “il grido degli esclusi può anche risvegliare le coscienze assopite di tanti leader politici”, cui spetta “far rispettare i diritti economici, sociali e culturali”, i quali sono “riconosciuti da quasi tutti i Paesi, dalle Nazioni Unite, dalla dottrina sociale di tutte le religioni, ma che spesso non si manifestano nella realtà socioeconomica”.
E poi la giustizia sociale deve essere accompagnata dalla compassione, che “significa soffrire con l’altro, condividere gli altrui sentimenti” e “non consiste nel fare l’elemosina” ai bisognosi, “guardandoli dall’alto in basso, vedendoli dalle proprie sicurezze e dai propri privilegi”, “compassione significa avvicinarsi gli uni agli altri”, la compassione è carnale, fraterna, profonda.
Sia che condividiamo le stesse sofferenze, sia che ci commuoviamo davanti alla sofferenza degli altri. La vera compassione costruisce l’unità delle persone e la bellezza del mondo.
Il Papa denuncia anche “la ‘cultura del vincitore’ che è un aspetto della ‘cultura dello scarto’”, quella pratica, da parte di chi, forte “di certi successi mondani” – spesso “frutto dello sfruttamento delle persone e del saccheggio della natura” o prodotti “della speculazione finanziaria o dell’evasione fiscale”, o della “corruzione o criminalità organizzata” – si sente “in diritto di disprezzare con arroganza i ‘perdenti’”. Ma “questo atteggiamento altezzoso”, l’“esultare della propria supremazia su chi sta peggio”, che “è l’opposto della compassione”, “non capita solo ai più ricchi, molte persone cadono in questa tentazione”, mette in guardia Francesco. Questo “guardare da lontano, dall’alto, con indifferenza, con disprezzo, con odio”, genera violenza, genera “silenzio indifferente”. E “il silenzio di fronte all’ingiustizia apre la strada alla divisione sociale, la divisione sociale apre la strada alla violenza verbale, la violenza verbale apre la strada alla violenza fisica, la violenza fisica alla guerra di tutti contro tutti” sottolinea Francesco, aggiungendo solo quando si deve aiutare una persona ad alzarsi la si può guardare dall’alto in basso.
Ci vuole amore, è in sintesi la riflessione di Francesco. Questo amore è quello visto giorni fa dal Pontefice a Dili, nella scuola “Irmãs Alma” che accoglie bambini portatori di handicap o con malformazioni. “Senza amore questo non si capisce”, confida di aver pensato il Papa visitando la struttura. “Se si elimina l’amore come categoria teologica, categoria etica, economica e politica, si perde la strada”, per cui “la giustizia sociale, e anche l’ecologia integrale, possono essere comprese solo attraverso l’amore”, perché “senza amore siamo nulla”, ripete. E questo amore va vissuto nella vita quotidiana, nelle relazioni familiari e in ogni spazio comunitario.
Nell’avida matematica della convenienza e dell’individualismo, prende infatti il sopravvento una qualche forma di «darwinismo sociale», la «legge del più forte» che giustifica prima l’indifferenza, poi la crudeltà e, infine, «lo sterminio». Tutto questo «viene dal Maligno».
Ancora, il Papa esorta a non farsi rubare la memoria storica e richiama l’immagine a lui cara del «poliedro», la famiglia umana e la casa comune, reso splendente dai valori universali maturati dalle radici di ogni popolo. «Ricordiamolo: globale ma non universale», dice. Oggi che si cercano di «standardizzare e sottomettere tutto», bisogna fare attenzione. Attenzione ai «coccodrilli» che si mimetizzano, arrivano a riva «saltando come canguri» e poi mordono.
In ultimo, Papa Bergoglio si sofferma su un tema che lo preoccupa molto: le tante forme di criminalità organizzata che «crescono sulla terra arata dalla miseria e dall’esclusione»: «Traffico di droga, prostituzione minorile, tratta di esseri umani, violenza brutale di quartiere». Bisogna affrontare tale dramma: «So che non siete poliziotti, so che non potete affrontare direttamente le bande criminali», dice ai Movimenti Popolari, ma «continuate a combattere l’economia criminale con l’economia popolare. Non mollate… Nessuna persona, soprattutto nessun bambino, può essere una merce nelle mani dei trafficanti di morte, gli stessi che poi riciclano il denaro insanguinato e cenano come rispettabili gentiluomini nei migliori ristoranti».
Non dimentica, il Papa, in questo tragico contesto, la piaga delle scommesse online: «È una dipendenza… Significa mettere le mani nelle tasche delle persone, soprattutto dei lavoratori e dei poveri. Ciò distrugge intere famiglie». Di mezzo ci sono infatti malattie mentali, disperazione, suicidi causati dall’«avere un casinò in ogni casa tramite cellulare». Un appello il Pontefice lo rivolge quindi a imprenditori di informatica e intelligenza artificiale: «Smettetela con l’arroganza di credervi al di sopra della legge». E pure, aggiunge, prevenite la diffusione di odio, violenza, fake news, razzismo, e impedite che le reti siano utilizzate per diffondere pornografia infantile o altri crimini.
A conclusione del suo lungo discorso il Papa rilancia la proposta di un Salario Base Universale affinché, «nessuno sia escluso dai beni primari necessari alla sussistenza». Poi, esprime un auspicio personale: «Come vorrei che le nuove generazioni trovassero un mondo molto migliore di quello che abbiamo ricevuto!». Un mondo, cioè, che non sia insanguinato da guerre e violenze, ferito dalle disuguaglianze, devastato dal saccheggio della natura, da modalità di comunicazione disumanizzate, con poche utopie ed enormi minacce. La realtà racconta il contrario, ma bisogna sempre sperare. «La speranza – assicura il Papa – è la virtù più debole, ma non delude». Mai.