L’importanza della testimonianza, il dono della tenerezza, il dialogo tra le generazioni. Sono alcuni dei temi attorno ai quali si è snodata la riflessione che Francesco ha avuto alla fine del mese scorso a Budapest nell’incontro con i confratelli della Compagnia di Gesù, durante il suo 41.mo viaggio apostolico. Il colloquio integrale pubblicato sul sito de “La Civiltà Cattolica”
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
“Ai giovani bisogna parlare da adulti, non da bambini”, perché hanno bisogno di “testimonianza e autenticità”. Occorre, anche nella Chiesa, contrastare “l’indietrismo, la reazione contro il moderno”, che risulta essere “una malattia nostalgica”. Sono queste alcune delle riflessioni che il Papa ha avuto nell’incontro privato con i gesuiti dell’Ungheria, avvenuto in nunziatura a Budapest nella giornata di sabato 29 aprile, all’indomani del suo arrivo nella capitale magiara. La conversazione del Vescovo di Roma con i gesuiti è stata riportata in un articolo della rivista La Civiltà Cattolica, a firma del direttore padre Antonio Spadaro.
Coerenza di vita
Francesco ha risposto a sette domande poste da alcuni dei 32 gesuiti presenti. Tra loro anche il provinciale, padre Attila Andras. La prima questione ha riguardato i giovani, in particolare la pastorale loro dedicata e il modo in cui comportarsi con questi fedeli. Il Papa ha suggerito una parola, “testimonianza”, che “significa coerenza di vita”, altrimenti “si finisce – ha osservato – come quella canzone di Mina, parole, parole, parole”, ma “senza testimonianza non si fa nulla”. Testimonianza dunque vuol dire anche “coerenza, perché i giovani non tollerano il doppio linguaggio” e “con i giovani in formazione bisogna parlare da adulti, come si parla a uomini, non a bambini”. Quindi il Pontefice ha sottolineato l’importanza del dialogo tra giovani e anziani, perché “la profezia di un giovane è quella che nasce dal rapporto tenero con i vecchi”.
Il viaggio in Ungheria
Uno dei padri gesuiti ha poi chiesto a Francesco cosa l’abbia spinto a tornare a Budapest. “La ragione – è stata la risposta – sta nel fatto che la prima volta dovevo andare in Slovacchia, ma a Budapest c’era il Congresso eucaristico. Allora sono venuto qui per poche ore. Ma ho fatto la promessa di tornare, e sono tornato”. Nel parlare ancora dei giovani, l’attenzione è andata poi a due parole: autenticità e tenerezza. Quest’ultima “è una delle parole chiave di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è lo stile di Dio”. Poi lasciare ai giovani la libertà di essere autentici, “che dicano – ha chiesto il Papa – quel che sentono”.
Gli abusi e le condanne
Al Papa è stato poi chiesto come sia possibile amare come fratelli anche chi ha commesso abusi sessuali, offrendo la compassione che il Vangelo chiede per tutti anche a chi è stato condannato. “Non è affatto facile, la tua domanda è molto forte”, ha risposto Francesco, spiegando come “l’abusatore va condannato, ma come fratello”. In tal senso “condannarlo è da intendere come atto di carità”, perché “c’è una logica, una forma di amare il nemico che si esprime anche così”, pur non essendo “facile da capire e da vivere”. “Anche loro – ha proseguito – sono figli di Dio. E ci vuole una pastorale. Meritano una punizione, ma insieme anche una cura pastorale”.
La drammatica storia di padre Jálics
Al Papa viene anche chiesto di parlare del suo rapporto con padre Ferenc Jálics, il gesuita che nel 1976, in Argentina, fu rinchiuso nelle segrete della Esma, uno dei maggiori centri di prigionia, tortura e sterminio della dittatura argentina. Il regime militare cercò di coinvolgere l’allora provinciale padre Bergoglio che invece si prodigò per salvarlo. “Jálics è venuto subito da me e abbiamo parlato”, ha raccontato il Papa ricordando la sua liberazione, avvenuta dopo aver subito “minacce e torture”. “Io gli ho consigliato di andare da sua madre negli Stati Uniti. La situazione era davvero troppo confusa e incerta. Poi – ha proseguito – si è sviluppata la leggenda che sarei stato io a consegnarli perché fossero imprigionati. Sappiate che un mese fa la Conferenza episcopale argentina ha pubblicato due volumi dei tre previsti con tutti i documenti relativi a quanto accaduto tra la Chiesa e i militari. Trovate tutto lì”. Francesco ha ricordato poi anche l’altro gesuita arrestato, Orlando Yorio. “Voglio aggiungere che quando Jálics e Yorio sono stati presi dai militari, la situazione che si viveva in Argentina era confusa e non era per nulla chiaro che cosa si dovesse fare. Io ho fatto quel che sentivo di fare per difenderli. È stata – ha detto – una vicenda molto dolorosa”.
Il pericolo dell’indietrismo
Infine una domanda è stata posta sul Concilio Vaticano II e in particolare sul modo in cui trovare la voce di Dio amando il proprio tempo. “Il Concilio è ancora in via di applicazione e – ha affermato Francesco – so che le resistenze sono terribili. C’è un restaurazionismo incredibile”. Da qui l’invito a non aver paura di cambiare, perché “andando indietro non si conserva la vita, mai. Si deve cambiare”, mentre oggi “il pericolo è l’indietrismo, la reazione contro il moderno”, e questa è “una malattia nostalgica”. “Questo è il motivo – ha spiegato – per cui ho deciso che ora è obbligatorio ottenere la concessione di celebrare secondo il Messale romano del 1962 per tutti i nuovi preti appena consacrati.. Dopo tutte le consultazioni necessarie, l’ho deciso perché ho visto che quella misura pastorale ben fatta da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI veniva usata in modo ideologico, per tornare indietro”.