Nella prima Messa del suo viaggio in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, davanti a più di un milione di fedeli, Francesco parla della pace donata da Gesù dopo la Risurrezione: a chi si dice cristiano ma commette violenze Cristo dice: “Deponi le armi, abbraccia la misericordia”. L’invito a essere tutti fratelli e sorelle al di là di differenze etniche, sociali e religiose
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Pace a voi!”. Come Gesù risorto ha salutato i discepoli nel cenacolo, così Papa Francesco si rivolge al milione e oltre di fedeli entusiasti arrivati all’aeroporto di N’dolo, nella zona nord di Kinshasa, anche dai Paesi confinanti con la Repubblica Democratica del Congo. Nell’omelia della prima Messa celebrata in Africa, per la pace e la giustizia, nel secondo giorno del viaggio apostolico che lo porterà anche in Sud Sudan, il Papa chiede ai cristiani congolesi di dire al mondo “scoraggiato per la violenza e la guerra” questo annuncio “insperato e profetico di pace”. Parla direttamente a te “che in questo Paese ti dici cristiano ma commetti violenze; a te il Signore dice: ‘Deponi le armi, abbraccia la misericordia’.
Il Crocifisso sul cuore e “Pace a voi!” sulle magliette
A tutti Francesco chiede di portare vicino al cuore il Crocifisso che hanno al collo, in tasca o in casa, e poi propone di “scrivere nelle vostre stanze, sui vostri abiti, fuori dalle vostre case” le parole del Risorto: “Pace a voi!”. “Mostratele – è il suo appello – saranno una profezia per il Paese, la benedizione del Signore su chi incontrate. Pace a voi: lasciamoci perdonare da Dio e perdoniamoci tra di noi!”. E infine invita tutti ad “essere missionari di pace, e questo ci darà pace”. Scegliere di “fare posto a tutti nel cuore”, credere “che le differenze etniche, regionali, sociali e religiose vengono dopo e non sono ostacoli; che gli altri sono fratelli e sorelle, membri della stessa comunità umana; che ognuno è destinatario della pace portata nel mondo da Gesù”.
L’abbraccio in papamobile: più di un milione di fedeli
In una grande festa di popolo, accompagnato dai canti del grande coro e dalle voci e i balli delle centinaia di migliaia di persone raccolte nella spianata, il Pontefice arriva sulla papamobile nello scalo civile del comune di Barumbu. Seduto accanto a lui, l’arcivescovo di Kinshasa, il cardinale Fridolin Ambongo Besungu. La liturgia e i canti della celebrazione sono in francese, per il Papa, e in lingala, lingua parlata dai bantu Bangala diventata lingua franca nel nord-ovest della Repubblica Democratica del Congo, nel Congo-Brazzaville, oltre che in alcune zone dell’Angola, della Repubblica Centrafricana e anche del Sud Sudan. Le preghiere dei fedeli sono anche in tshiluba, in swahili e in kikongo.
La “consegna” di pace di Gesù risorto ai discepoli
E in lingua locale Papa Francesco saluta con le parole “pace” “fraternità” e “gioia”, all’inizia dell’omelia. Le parole di Gesù ai discepoli nel Cenacolo, dal Vangelo di Giovanni, “Pace a voi!”, sono più di un saluto, sono “una consegna”. Perché la pace annunciata dagli angeli nella notte di Betlemme, la stessa “che Gesù ha promesso di lasciare ai suoi, ora, per la prima volta, viene consegnata solennemente ai discepoli”.
La pace di Gesù, che viene consegnata anche a noi in ogni Messa, è pasquale: arriva con la risurrezione, perché prima il Signore doveva sconfiggere i nostri nemici, il peccato e la morte, e riconciliare il mondo al Padre; doveva provare la nostra solitudine e il nostro abbandono, i nostri inferi, abbracciare e colmare le distanze che ci separavano dalla vita e dalla speranza.
Gesù proclama la pace nel cuore ferito dei suoi
Il Papa invita quindi a mettersi dalla parte dei discepoli, che quel giorno “erano completamente tramortiti dallo scandalo della croce, feriti dentro per aver abbandonato Gesù dandosi alla fuga” delusi per la fine della vicenda e timorosi di finire come Cristo. Ebbene, “Gesù proclama la pace mentre nel cuore dei discepoli ci sono le macerie, annuncia la vita mentre loro sentono dentro la morte”…
la pace di Gesù arriva nel momento in cui tutto per loro sembrava finito, nel momento più inatteso e insperato, quando non c’erano spiragli di pace. Così fa il Signore: ci stupisce, ci tende la mano quando stiamo per sprofondare, ci rialza quando tocchiamo il fondo.
Annuncio di pace ad un mondo scoraggiato
Questo perché, spiega Francesco, “con Gesù il male non ha mai la meglio, non ha mai l’ultima parola”. E noi “che siamo di Gesù” non possiamo far prevalere la tristezza, la rassegnazione e il fatalismo:
in un mondo scoraggiato per la violenza e la guerra, i cristiani fanno come Gesù. Lui, quasi insistendo, ha ripetuto ai discepoli: Pace a voi! e noi siamo chiamati a fare nostro e dire al mondo questo annuncio insperato e profetico di pace.
Il perdono, prima sorgente della pace di Gesù
Il Pontefice spiega quindi che Gesù stesso indica “tre sorgenti di pace, tre fonti per continuare ad alimentarla”: il perdono, la comunità e la missione. Riguardo alla prima, ricorda che Gesù prima di dare agli apostoli “il potere di perdonare, li perdona; non a parole, ma con un gesto”, mostrare le sue ferite alle mani e al fianco. Perché “il perdono nasce dalle ferite” , quando queste “non lasciano cicatrici d’odio, ma diventano il luogo in cui fare posto agli altri e accoglierne le debolezze”. Non si tratta, chiarisce Papa Francesco, “di lasciarsi tutto alle spalle come se niente fosse, ma di aprire agli altri il proprio cuore con amore”. Come fa Gesù “davanti alla miseria di chi lo ha rinnegato e abbandonato”. Così, quando la colpa e la tristezza ci opprimono, guardiamo “alle piaghe di Gesù, pronto a perdonarci con il suo amore ferito e infinito”.
Lui conosce le tue ferite, conosce le ferite del tuo Paese, del tuo popolo, della tua terra! Sono ferite che bruciano, continuamente infettate dall’odio e dalla violenza, mentre la medicina della giustizia e il balsamo della speranza sembrano non arrivare mai.
Tu che ti dici cristiano “deponi le armi”
E Gesù vede “le ferite che porti dentro e desidera consolarti e guarirti, porgendoti il suo Cuore ferito”. Con Gesù, afferma con forza il Papa “c’è sempre la possibilità di essere perdonati e ricominciare, e pure la forza di perdonare sé stessi, gli altri e la storia!”. Lui desidera “darci la pace e il coraggio di perdonare”, di “compiere una grande amnistia del cuore”. E’ il momento per “ripulire il cuore dalla rabbia, dai rimorsi, da ogni rancore e livore!”, per “accogliere e vivere il perdono di Gesù”.
Scrivete “Pace a voi!” sui vostri abiti e case
E a tutti i feriti e gli oppressi di questo popolo, prosegue Francesco, Gesù dice: “Non temete di mettere le vostre ferite nelle mie, le vostre piaghe nelle mie piaghe”. “Facciamolo!” è il suo invito, con il suggerimento di “togliere il Crocifisso dal collo e dalle tasche, di prenderlo tra le mani e di portarlo vicino al cuore per condividere le vostre ferite con quelle di Gesù”. Abbracciare il Crocifisso di casa, dando così a Cristo “la possibilità di risanarci il cuore, gettiamo in Lui il passato, ogni paura e affanno”.
E perché non scrivere nelle vostre stanze, sui vostri abiti, fuori dalle vostre case, le sue parole: Pace a voi? Mostratele, saranno una profezia per il Paese, la benedizione del Signore su chi incontrate. Pace a voi: lasciamoci perdonare da Dio e perdoniamoci tra di noi!
La comunità, seconda sorgente di pace
Guardando poi alla seconda sorgente della pace, la comunità, il Pontefice ricorda che Gesù consegna al sua pace” alla prima comunità dei discepoli. Uomini che prima di Pasqua ragionavano in modo troppo umano, parlando di un “Messia conquistatore” che avrebbe cacciato i nemici e aumentato il loro prestigio. Desideri mondani che “hanno tolto pace alla comunità, generando discussioni e opposizioni”. Rischio che abbiamo anche noi: “stare insieme ma andare avanti da soli, ricercando nella società, ma anche nella Chiesa, il potere, la carriera, le ambizioni…”. ma così “si finisce come quei discepoli: chiusi in casa, vuoti di speranza e pieni di paura e delusione”. A Pasqua però “ritrovano la via della pace grazie a Gesù” che dona loro lo Spirito Santo, grazie al quale “non guarderanno più a ciò che li divide, ma a ciò che li unisce; andranno nel mondo non più per sé stessi, ma per gli altri”.
Evitare la tentazione del potere: guardare i poveri
La via “per non cadere nei trabocchetti del potere e del denaro”, per non cedere alle divisioni, “alle false illusioni del piacere e della stregoneria”, ricorda Papa Francesco, è stare “con gli oppressi e gli umiliati” come suggerisce il Signore attraverso il profeta Isaia…
La via è condividere con i poveri: ecco l’antidoto migliore contro la tentazione di dividerci e mondanizzarci. Avere il coraggio di guardare i poveri e ascoltarli, perché sono membri della nostra comunità e non estranei da cancellare dalla vista e dalla coscienza. Aprire il cuore agli altri, invece di chiuderlo sui propri problemi o sulle proprie vanità.
La missione, terza sorgente di pace
L’invito del Papa è quindi di ripartire dai poveri, per scoprire “che tutti condividiamo la povertà interiore”, e che la fraternità è la vera ricchezza del cristiano. Per edificare “una Chiesa vuota di spirito mondano e piena di Spirito Santo, libera da ricchezze per sé stessi e colma di amore fraterno!”. Parlando infine della terza sorgente della pace, la missione, Francesco ricorda che il Padre ha mandato Gesù “per tutti: non solo per i giusti, ma per tutti” ai lontani, anzitutto, “e ai vicini: non solo ai ‘nostri’, ma a tutti”.
Siamo chiamati a essere missionari di pace, e questo ci darà pace. È una scelta: è fare posto a tutti nel cuore, è credere che le differenze etniche, regionali, sociali e religiose vengono dopo e non sono ostacoli; che gli altri sono fratelli e sorelle, membri della stessa comunità umana; che ognuno è destinatario della pace portata nel mondo da Gesù.
I cristiani siano “cosienza di pace del mondo”
La scelta, conclude il Pontefice, di credere “che noi cristiani siamo chiamati a collaborare con tutti, a spezzare il circolo della violenza, a smontare le trame dell’odio”. Perché i cristiani “sono chiamati per definizione a essere coscienza di pace del mondo”, testimoni di amore, che non rivendicano i propri diritti, ma quelli del Vangelo, “che sono la fraternità, l’amore e il perdono”. Non ricercano i propri interessi, ma sono “missionari del folle amore che Dio ha per ciascun essere umano”.
Pace a voi, dice Gesù oggi a ogni famiglia, comunità, etnia, quartiere e città di questo grande Paese. Pace a voi: lasciamo che risuonino nel cuore, in silenzio, queste parole del nostro Signore. Sentiamole rivolte a noi e scegliamo di essere testimoni di perdono, protagonisti nella comunità, gente in missione di pace nel mondo.
Ambongo: ci dona speranza, avremo “una pace vera e duratura”
Nel suo saluto al termine della celebrazione, il cardinale Ambongo ringrazia il Papa per l’affetto per il popolo congolese, “per la nostra terra e la nostra cultura”. “Una così grande vicinanza spirituale – spiega – ci commuove profondamente”. Sono sicuro, conclude l’arcivescovo di Kinshasa, “che l’Eucaristia che Lei ha presieduto ci consacrerà sempre più a Cristo e ci otterrà la grazia di una pace vera e duratura, tanto desiderata dal nostro Paese”. Sicuramente questo incontro “ci ridona la speranza in un futuro migliore e radioso. Noi continuiamo a pregare per Lei”. Le prime stime delle forze dell’ordine, parlano di più di un milione di fedeli, circa 3mila preti, 9mila volontari, 2500 medici e infermieri, 7500 poliziotti in tutta l’area dell’evento.