Il Papa agli indigeni: giorni intensi con voi, mi sento parte della vostra famiglia

Vatican News

Gabriella Ceraso – Città del Vaticano

Deve ancora compiere l’ultimo tratto del suo lungo “pellegrinaggio penitenziale” che lo porterà oggi nell’estremo nord del Canada a Iqualit, ma Francesco ha già il cuore traboccante di un “tesoro impareggiabile”, “fatto di persone e popolazioni”, “volti, sorrisi e parole” che lo hanno segnato in questi giorni e che lo accompagneranno sempre.

“Mi sento anch’io parte della vostra famiglia”.

È quanto confessa il Papa alla delegazione di indigeni del Québec che lo visita poco prima delle 11 presso l’Arcivescovado, dove è stato ospite e che lascerà per raggiungere l’aeroporto e volare verso Iqaluit quando in Italia saranno quasi le ore 19.

Nel suo saluto Francesco ripercorre idealmente ogni tappa vissuta fino ad oggi: dall’arrivo ad Edmonton, col primo bacio alle mani degli indigeni all’hangar dell’aeroporto, alle parole ascoltate, ai volti fissati, alle tombe sfiorate a Maskwacis, e poi i tamburi, i passi, la preghiera, i silenzi condivisi sul lago Sant’ Anna. Tutto scorre davanti ai nostri occhi attraverso le parole del Pontefice: il pellegrino, l’amico, il fratello è diventato parte della famiglia indigena.

Vi ringrazio per essere venuti qui da diversi luoghi. La vastità di questa terra fa pensare alla lunghezza del percorso di guarigione e riconciliazione che stiamo affrontando insieme.

Amico, fratello e pellegrino

Un “Camminare Insieme”, come recita il motto del viaggio, che ha mosso sul suolo canadese i primi passi veramente da vicino, con spirito penitenziale  e nonostate “limitate possibilità fisiche”:

Sono venuto in Canada come amico per incontrarvi, per vedere, ascoltare, imparare e apprezzare come vivono le popolazioni indigene di questo Paese. Sono venuto come fratello, a scoprire in prima persona i frutti buoni e cattivi prodotti dai membri della famiglia cattolica locale nel corso degli anni. Sono venuto in spirito penitenziale, per esprimervi il dolore che porto nel cuore per il male che non pochi cattolici vi hanno arrecato appoggiando politiche oppressive e ingiuste nei vostri riguardi.

Un donarsi, quello di Francesco pellegrino, affinchè insieme “si prosegua nella ricerca della verità, si progredisca nel promuovere percorsi di guarigione e nella riconciliazione”, e perché si vada avanti – rimarca – a seminare speranza tra chi, indigeno o no, desidera ”vivere insieme fraternamente, in armonia”. Poi la confessione: il viaggio intrapreso, da dono offerto si è trasformato in dono ricevuto.

Se sono venuto animato da questi desideri, ritorno a casa molto più arricchito, perché porto nel cuore il tesoro impareggiabile fatto di persone e di popolazioni che mi hanno segnato; di volti, sorrisi e parole che rimangono dentro; di storie e luoghi che non potrò dimenticare; di suoni, colori ed emozioni che vibrano forti in me.

Onorato da realtà che sono entrate nell’animo 

E la ricchezza è nel cuore e nell’animo del Pontefice che da visitatore, si sente ora “visitato” dalle realtà vissute e in un legame fraterno, familiare e indissolubile:

Sono state le vostre realtà, le realtà indigene di questa terra, a visitare il mio animo: mi sono entrate dentro e mi accompagneranno sempre. Oso dire, se me lo permettete, che ora, in un certo senso, mi sento anch’io parte della vostra famiglia, e ne sono onorato.

Una genuinità che il mondo di oggi non conosce

In pochi tratti, il Papa, torna ai valori di questi popoli incontrati. Ricorda la festa di Sant’Anna impressa nella memoria in modo indelebile: quanto è prezioso – fa notare ancora una volta – nell’individualismo del mondo di oggi il vostro “genuino” “senso di familiarità e di comunità” e quanto è “importante “coltivare bene il legame tra i giovani e gli anziani, e custodire un rapporto sano e armonioso con l’intero creato”.

Le donne sanno custodire ciò che conta

E prima di congedarsi, a suggellare l’importanza del “percorso di guarigione e riconciliazione”, che da Roma in primavera fino ad oggi in Canada Francesco e i popoli indigeni stanno affrontando insieme, c’è un atto di affidamento tutto al femminile che il Papa compie. “Camminare insieme” è un “progetto”, una “grande opera gradita a Dio”, dice, e allora il pensiero va alla protezione e all’aiuto di chi “sa custodire ciò che nella vita conta”. Sono le donne, tre donne in particolare.

Kateri Tekakwitha pazienza e dolcezza eredità degli indigeni

Sant’ Anna, afferma il Papa, tenera e protettiva, venerata in questi giorni proprio insieme al popolo indigeno, la Santa Madre di Dio, “pellegrina” per eccellenza, anche oggi “in cammino  tra Cielo e Terra” per prendersi cura di noi per conto di Dio. E poi Kateri Tekakwitha, la prima indigena nordamericana a essere proclamata santa dieci anni fa da Benedetto XVI. Una vita difficile la sua: sfigurata e menomata dal vaiolo di fine “600 orfana e vessata dalla famiglia che la voleva forzatamente sposa, Kateri riuscì a scappare e fu battezzata laddove oggi le sue spoglie riposano, ad Albany, grazie ai missionari francesi.

La mia preghiera e il mio pensiero sono andati spesso in questi giorni a una terza donna dalla presenza mite che ci ha accompagnati, e i cui resti sono conservati non lontano da qui: mi riferisco a santa Kateri Tekakwitha. La veneriamo per la sua vita santa, ma non potremmo pensare che la sua santità di vita, connotata da una dedizione esemplare nella preghiera e nel lavoro, nonché dalla capacità di sopportare con pazienza e dolcezza tante prove, sia stata resa possibile anche da certi tratti nobili e virtuosi ereditati dalla sua comunità e dall’ambiente indigeno in cui crebbe?

Tre donne capaci di tessere la riconciliazione 

Perché loro dunque? “Possono aiutare – spiega Francesco – a mettere insieme, a tornare a tessere una riconciliazione che garantisca i diritti dei più vulnerabili e sappia guardare la storia senza rancori né dimenticanze”. In particolare infatti Maria e Santa Kateri possono intercedere in quanto hanno detto “sì” a Dio in modo coraggioso, hanno avverato il sogno di Dio su di loro “ senza domandare ad alcun uomo”.  Avvenga così anche per chi conduce il percorso di guarigione e riconciliazione:

Hanno ricevuto da Dio un progetto di vita e, senza domandare ad alcun uomo, hanno dato il loro “sì” con coraggio. Queste donne avrebbero potuto rispondere male a tutti coloro che si opponevano a quel progetto, oppure rimanere soggette alle norme patriarcali del tempo e rassegnarsi, senza lottare per i sogni che Dio stesso aveva impresso nelle loro anime. Non fecero questa scelta, ma con mansuetudine e fermezza, con parole profetiche e gesti decisi si aprirono la strada e adempirono ciò a cui erano state chiamate. Che esse benedicano il nostro cammino comune, intercedano per noi e per questa grande opera di guarigione e riconciliazione tanto gradita a Dio.