Francesco riceve in Vaticano i partecipanti alla seconda edizione della “Cattedra dell’accoglienza” che si chiude oggi a Sacrofano. L’invito che rivolge è di non incorrere nel rischio di ridurre il servizio ai più fragili a un tema “politicamente corretto” o una “mera organizzazione di pratiche, per quanto buone”. Bisogna restare ben ancorati al Vangelo, considerando i vulnerabili protagonisti, non oggetto, dell’annuncio di Dio
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Far “reagire” l’accoglienza con la vulnerabilità. Questo è quanto, dal 27 febbraio, hanno voluto realizzare i promotori della seconda edizione della Cattedra dell’accoglienza, nella Fraterna Domus di Sacrofano, in provincia di Roma, approfondendo, come occasione di formazione, il tema del rapporto tra vulnerabilità e comunità nell’ottica di potenziare uno stile di inclusione. Il Papa riceve in udienza i partecipanti, ai quali dice di sentirsi ancora raffreddato e affida pertanto la lettura del discorso preparato a monsignor Filippo Ciampanelli, della Segreteria di Stato.
Sentirsi vulnerabili
L’iniziativa della Cattedra viene subito elogiata perché “tipicamente evangelica”. Restare in Dio, come tralci nella vite, così si porterà frutto. Lo rimarca Francesco come primo suggerimento per agire al meglio nel vasto campo dell’accoglienza.
Per accogliere i fratelli e le sorelle vulnerabili bisogna che io mi senta vulnerabile e accolto come tale da Cristo. Sempre Lui ci precede: si è fatto vulnerabile, fino alla Passione; ha accolto la nostra fragilità perché, grazie a Lui, noi possiamo fare altrettanto.
Ancorarsi al Vangelo
Ancorarsi al Vangelo, a Gesù, è il modo per evitare un operativismo che non mostra la matrice cristiana di farsi prossimo ai poveri. Gesù “non ha insegnato ai suoi discepoli a pianificare un’assistenza dei malati e dei poveri. Gesù ha voluto formare i discepoli a uno stile di vita stando a contatto con i vulnerabili, in mezzo a loro”, ricorda ancora il Pontefice.
Per noi la vulnerabilità non può essere un tema “politicamente corretto”, o una mera organizzazione di pratiche, per quanto buone. Lo dico perché purtroppo il rischio c’è, è sempre in agguato, malgrado tutta la buona volontà. Specialmente nelle realtà più grandi e strutturate, ma anche in quelle piccole, la vulnerabilità può diventare una categoria, le persone individui senza volto, il servizio una “prestazione” e così via.
Guardare ai testimoni nascosti
“Nel Vangelo – ricorda Francesco – i poveri, i vulnerabili, non sono oggetti, sono soggetti, sono protagonisti insieme con Gesù dell’annuncio del Regno di Dio”. Il Papa dunque sottolinea l’importanza in comunità di “condividere in semplicità e gratitudine” le storie dei testimoni nascosti del Vangelo. E fa l’esempio di Bartimeo, il cieco di Gerico, ma anche della Maddalena. Solo alcuni esempi biblici tra i tanti che si potrebbero fare per evidenziare come si partecipa alla gioia della Resurrezione.
Le persone vulnerabili, incontrate e accolte con la grazia di Cristo e con il suo stile, possono essere una presenza di Vangelo nella comunità credente e nella società.