Adriana Masotti – Città del Vaticano
Ritornare all’essenziale della fede che consiste nella relazione con Gesù e nell’annuncio gioioso del Vangelo, ricordando che l’amore a Dio passa attraverso l’amore al fratello. E’ l’esortazione al centro dell’omelia che Papa Francesco pronuncia nell’Incontro di preghiera al Santuario nazionale di Ta’ Pinu nell’isola di Gozo in cui non si stanca di ripetere a quanti lo ascoltano “che la gioia della Chiesa è evangelizzare”.
Il Papa approda sull’isola intorno alle 17.30 – dopo una lenta circumnavigazione della costa a bordo di un catamarano dalla cui cima ha potuto ammirare lo splendido panorama – accompagnato dal cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, e dall’arcivescovo di Malta, monsignor Charles Scicluna. In papamobile, lungo strade imbandierate e affollate, Francesco si dirige all’entrata laterale della Basilica per recarsi nella cappella, qui recita tre Ave Maria, rispettando la tradizione legata al Santuario, e saluta alcuni fedeli. Poi, nel grande piazzale dove l’attendono circa 3.000 persone, l’Incontro si apre con le parole di saluto del vescovo di Gozo, monsignor Anthony Teuma.
Dalla morte in croce di Gesù un nuovo inizio
Le testimonianze di Sandi, Domenico, Jennifer, Francesco Pio Attard, precedono la proclamazione del Vangelo.
Sotto la croce di Gesù “tutto sembra perduto, tutto sembra finito per sempre”, commenta il Papa dando inizio all’omelia. Perfino Gesù vive il sentimento dell’abbandono.
Eppure, l’ora di Gesù – che nel Vangelo di Giovanni è l’ora della morte sulla croce – non rappresenta la conclusione della storia, ma segna l’inizio di una vita nuova. Presso la croce, infatti, contempliamo l’amore misericordioso di Cristo, che spalanca le braccia verso di noi e, attraverso la sua morte, ci apre alla gioia della vita eterna. Dall’ora della fine si dischiude una vita che comincia; da quell’ora della morte inizia un’altra ora piena di vita: è il tempo della Chiesa che nasce.
Evangelizzare è la gioia della Chiesa
L’invito del Papa è di tornare a quell’inizio e spiega che tornare alle origini significa riscoprire l’essenziale della fede:
Tornare alla Chiesa delle origini non significa guardare all’indietro per copiare il modello ecclesiale della prima comunità cristiana. Non possiamo “saltare la storia”, come se il Signore non avesse parlato e operato grandi cose anche nella vita della Chiesa dei secoli successivi. Non significa nemmeno essere troppo idealisti, immaginando che in quella comunità non ci fossero difficoltà. (…) Piuttosto, tornare alle origini significa recuperare lo spirito della prima comunità cristiana, cioè ritornare al cuore e riscoprire il centro della fede: la relazione con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo al mondo intero. Questo è l’essenziale! Questa è la gioia della Chiesa: evangelizzare.
La Chiesa, un “futuro da costruire”
Il dolore dei primi discepoli davanti alla croce “si trasforma nella gioia dell’annuncio”, prosegue Francesco, la loro preoccupazione non era il “prestigio della comunità” o “la ricercatezza del culto”, ma dare testimonianza del Vangelo. La vita della Chiesa, osserva, è “un grande futuro da costruire”:
Non può bastarci una fede fatta di usanze tramandate, di solenni celebrazioni, belle occasioni popolari, momenti forti ed emozionanti; abbiamo bisogno di una fede che si fonda e si rinnova nell’incontro personale con Cristo, nell’ascolto quotidiano della sua Parola, nella partecipazione attiva alla vita della Chiesa, nell’anima della pietà popolare.
Papa Francesco sottolinea ancora che non sempre la bellezza del culto e le pratiche religiose esprimono una fede viva, aperta. Occorre, dunque, tornare all’inizio per essere una Chiesa che abbia al centro “la testimonianza e non qualche usanza religiosa; una Chiesa che desidera andare incontro a tutti con la lampada accesa del Vangelo e non essere un circolo chiuso”. E esorta a non temere di “intraprendere, come già fate, percorsi nuovi, magari anche rischiosi, di evangelizzazione e di annuncio, che toccano la vita, perchè la gioia della Chiesa è evangelizzare”.
Sviluppare l’arte dell’accoglienza
Guardando all’immagine di Maria e Giovanni sotto la croce e al gesto di reciproco affidamento compiuto nei loro confronti da Gesù, il Papa afferma che ritornare all’inizio è anche “sviluppare l’arte dell’accoglienza”. Quella di Gesù, dice, è “un’indicazione concreta” su come vivere il comandamento dell’amore. “Il culto a Dio passa per la vicinanza al fratello”.
Quanto è importante nella Chiesa l’amore tra i fratelli e l’accoglienza del prossimo! Il Signore ce lo ricorda nell’ora della croce, nella reciproca accoglienza di Maria e Giovanni, esortando la comunità cristiana di ogni tempo a non smarrire questa priorità. «Ecco tuo figlio», «ecco tua madre»; è come dire: siete salvati dallo stesso sangue, siete un’unica famiglia, dunque accoglietevi a vicenda, amatevi gli uni gli altri, curate le ferite gli uni degli altri. Senza sospetti, divisioni, dicerie, chiacchiere e diffidenze.
Nel volto dei poveri è Cristo che si presenta a voi
L’accoglienza reciproca è una sfida innanzitutto per le nostre relazioni ecclesiali, prosegue il Papa, perché portare frutto dipende dalla nostra comunione fraterna, ma “è anche la cartina di tornasole per verificare quanto effettivamente la Chiesa è permeata dallo spirito del Vangelo”. L’accoglienza, avverte, non può esercitarsi solo tra noi:
Non possiamo accoglierci solo tra di noi, all’ombra delle nostre belle Chiese, mentre fuori tanti fratelli e sorelle soffrono e sono crocifissi dal dolore, dalla miseria, dalla povertà e dalla violenza. Vi trovate in una posizione geografica cruciale, che si affaccia sul Mediterraneo come polo di attrazione e approdo di salvezza per tante persone sballottate dalle tempeste della vita che, per motivi diversi, arrivano sulle vostre sponde. Nel volto di questi poveri è Cristo stesso che si presenta a voi.
Accendere fuochi di tenerezza nel mondo
Compito della Chiesa è, dunque, “accendere fuochi di tenerezza quando il freddo della vita incombe su coloro che soffrono”. Il Papa pensa con gratitudine ai tanti missionari, sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli che hanno continuato a diffondere il Vangelo annunciato qui dall’apostolo Paolo e conclude rinnovando l’invito a tornare all’essenziale, all’amore di Dio, che “ci fa uscire” e percorrere con gioia “le strade del mondo”, e “all’accoglienza che è la nostra testimonianza più semplice e bella nel mondo”.