Il nunzio in Ungheria: c’è una comunità in festa per l’arrivo di Francesco

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A due giorni dall’arrivo del Papa a Budapest, monsignor Michael Banach racconta l’attesa dei fedeli, sottolineando i buoni rapporti esistenti tra il Paese e la Santa Sede

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

Una Chiesa “verde, attenta alla cura del Creato” e capace di accogliere, perché “il popolo ungherese ha un cuore grande”. Lo si vede dal sostegno dato ai rifugiati ucraini, “fin dai primi giorni della guerra”, ma anche “nell’attenzione per le persone più anziane”. Il Paese è certamente cambiato rispetto a trent’anni fa, quando in Ungheria si recò in visita Giovanni Paolo II, ma “la fierezza della comunità cattolica è la stessa”. Si esprime così alla vigilia del viaggio apostolico di Papa Francesco a Budapest il nunzio apostolico in nel Paese europeo, l’arcivescovo Michael Banach, che ricopre questo incarico dallo scorso anno.

Ascolta l’intervista a monsignor Michael Banach

Monsignor Banach, come è cambiata l’Ungheria rispetto alla fine dello scorso secolo, quando il Paese accolse per due volte Giovanni Paolo II?

Partirei dal parallelismo tra le due visite di Giovanni Paolo II e le due visite di Papa Francesco. Molti cattolici ne parlano con fierezza in Ungheria, sottolineando come questo Paese abbia ospitato per due volte due Papi. C’è grande emozione nel popolo ungherese per questo. Cosa è cambiato in questi decenni? La prima visita di Giovanni Paolo II ha avuto luogo subito dopo il crollo del muro di Berlino, era il momento in cui si scopriva una nuova libertà. In quell’epoca c’era molto entusiasmo, molta speranza per il futuro. Con il passare degli anni, la realtà ha mostrato comunque le sue difficoltà e oggi Francesco arriva in un Paese che è certamente cambiato rispetto a trent’anni fa. L’Ungheria è più sviluppata, grazie alle riforme economiche. C’è però una costante: ad accoglierlo ci sarà una comunità fiera di essere cattolica, in comunione con il Papa.

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, il Papa si avvicinerà come mai prima d’ora, da un punto di vista geografico, a Kyiv. Una vicinanza, quella al popolo ucraino, che Francesco ha espresso innumerevoli volte in questi mesi. In che modo il conflitto in Ucraina ha caratterizzato la missione della Chiesa ungherese?

L’Ungheria condivide una frontiera con l’Ucraina, seppur non particolarmente ampia. Senz’altro c’è un elemento geografico. Credo che la guerra abbia influito in senso molto positivo nella Chiesa, che qui in Ungheria ha fatto del bene accogliendo i rifugiati ucraini. Questo è accaduto fin dai primi giorni della guerra: la Caritas, le diocesi erano presenti alla frontiera, nelle ferrovie, ovunque. Erano lì per rispondere ai bisogni quotidiani di queste persone, dal cibo alle coperte e molto altro ancora. Registrare tutto questo è stato molto bello, ma non dobbiamo essere sorpresi perché questa è la tradizione della Chiesa ungherese. Penso a Santa Elisabetta d’Ungheria, la grande santa della carità. L’accoglienza, la carità è nel cuore degli ungheresi.

Qual è, nella storia, il rapporto tra Ungheria e Santa Sede?

Parliamo di rapporti che risalgono, in un certo senso, al primo re, Santo Stefano, che abbracciò il cristianesimo. Dedicò il Paese alla Vergine Maria, invitando la popolazione a chiamarla Magna Domina, la Grande Signora. Già da quel momento le concezioni, la mentalità cristiana sono entrate nel sangue del popolo ungherese, così come nei documenti giuridici, comprese diverse costituzioni. Voglio ricordare un mio predecessore, monsignor Angelo Rotta, nunzio apostolico a Budapest dal 1930 al 1945. Durante il conflitto mondiale, lui ha fatto moltissimo per salvare tanti ebrei ed è stato nominato un Giusto delle Nazioni. La sua memoria è ancora viva e questo è un altro collegamento tra la Santa Sede e l’Ungheria. Nei tempi recenti, dopo la ripresa dei rapporti diplomatici, emergono le due visite di Giovanni Paolo II ed ora questo viaggio apostolico di Papa Francesco, eventi che testimoniano i buoni rapporti diplomatici esistenti.

Il Papa ha chiesto più volte in questi dieci anni di pontificato di combattere la cultura dello scarto. Il riferimento è ai rifugiati, ma anche agli anziani, ai malati. In che modo la Chiesa ungherese risponde a questa richiesta?

Mi piace rispondere alla sua domanda partendo dal fatto che qui la Chiesa è “verde”. Nelle scuole cattoliche si studia l’enciclica Laudato si’, io non ho mai incontrato questa attenzione in altri posti. La città di Budapest, che quest’anno celebra il suo 150.mo anniversario, è fiera di essere una città verde. Certo, le sfide non mancano, ma si vede la cura con cui gli abitanti e i loro rappresentanti politici prendono sul serio la questione ambientale. Anche la Chiesa fa questo. La cultura dello scarto si combatte poi avendo cura degli anziani, sono molte le case di riposo. Tutto questo avviene non solo a livello istituzionale, ma personale. È davvero bello registrare questo rispetto dell’altro in Ungheria, un rispetto che io ho vissuto appena arrivato nel Paese.