Chiesa Cattolica – Italiana

Il nunzio in Ucraina: la guerra è dolore e distruzione, la pace è un miracolo di Dio

Ad un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas, rappresentante pontificio nel Paese, racconta ai media vaticani le sofferenze e le speranze di un popolo

Svitlana Dukhovych

Oggi ricorre il primo anniversario dell’aggressione russa contro l’Ucraina: il 24 febbraio di un anno fa, l’Europa si riscopriva in guerra, una guerra che ha portato tanta devastazione e sofferenza, ha separato tante famiglie e, nello stesso momento, ha mostrato il coraggio del popolo ucraino, non ha soffocato la speranza di poter vivere sulla propria terra in pace e libertà. In tutto il mondo sono tante le iniziative di pace. In Ucraina, nel Santuario mariano di Berdichev, si tiene una veglia di preghiera alla quale partecipano i vescovi latini del Paese insieme al nunzio apostolico Visvaldas Kulbokas, che ha scelto sin dall’inizio della guerra di rimanere in questa terra per condividere le sofferenze del popolo ucraino e testimoniare la vicinanza del Papa e di tutta la Chiesa. Il rappresentante pontificio ha spiegato a Vatican News il significato di questo incontro.

Eccellenza, perché è importante commemorare questa data con la preghiera?

Perché la preghiera, lo spiegherei in questo modo. Domenica scorsa abbiamo avuto una celebrazione molto importante nella cattedrale greco-cattolica a Kyiv: è stata celebrata la consacrazione episcopale di un vescovo ausiliare per Kyiv. Il Vangelo parlava della fratellanza… Gesù nostro Signore diceva: “Ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me: mi avete vestito, mi avete dissetato, mi avete dato da mangiare e mi avete visitato quando ero in prigione”. Questo Vangelo – che di per sé dovrebbe essere chiaro e forse nella maggior parte delle regioni è chiaro, perché quando si ha la volontà si riesce a dare da bere, dare da mangiare, vestire, visitare – qui, invece, durante questa guerra, purtroppo in molte situazioni non si riesce. Per esempio a marzo scorso, con la benedizione anche del Santo Padre Francesco, cercavo di andare a Mariupol per evacuare le persone, portare acqua, pane… Non ho avuto la possibilità, non ho avuto il permesso. Il cardinale Krajewski in aprile ha cercato di fare la stessa cosa, non ha potuto. Adesso i nostri sacerdoti, religiosi, religiose, volontari cercano di portare gli aiuti nelle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Bakhmut, Kharkiv, e molti di loro poi finiscono sotto i bombardamenti, come è successo anche allo stesso cardinale Krajewski nel settembre scorso, oppure al sacerdote ferito nella regione di Kharkiv un mese fa, oppure a una religiosa ferita anche lei. Non si riesce a portare acqua, non si riesce a portare pane. E poi ancora, i nostri sacerdoti greco-cattolici fatti prigionieri già nel mese di novembre scorso, erano due sacerdoti redentoristi che operavano a Berdyansk, non riusciamo ad andare a visitarli. È un contrasto molto forte: in queste condizioni di guerra non riusciamo a realizzare il Vangelo. Almeno non in tutte le situazioni e non in tutte le regioni.

Per questo si fa ancora più forte la necessità della preghiera…

Sì, la preghiera che faremo sarà una supplica al Signore e alla Madre di Dio: fateci ritornare al mondo creato da Dio perché il mondo in cui stiamo vivendo adesso è stato creato dalla violenza, dall’aggressione, dalla guerra, ma non è il mondo di Dio. Un altro aspetto molto importante lo troviamo se rileggiamo la storia. Ho riletto ancora alcuni giorni fa la storia della Rus’ di Kyiv…. La Rus’ di Kyiv, quindi questa stessa Kyiv in cui mi trovo adesso, già nell’XI secolo, intorno all’anno 1037 è stata affidata come Stato, come principato, alla protezione della Vergine Maria. Il principato di Kyiv nella storia umana, nella storia del cristianesimo è tra le più antiche entità, tra gli Stati più antichi ad essere affidati alla protezione della Madonna. Quindi, quando l’anno scorso il Santo Padre Francesco, in unione con tutti i vescovi del mondo, ha riconsacrato l’Ucraina e la Russia al Cuore Immacolato di Maria, si è trattato di un atto in cui si è rinnovata la consacrazione, per quanto riguarda l’Ucraina, alla Vergine Maria. E quindi, di nuovo, il 24 febbraio ci sarà una preghiera alla Vergine Maria, sapendo che già abbiamo affidato l’Ucraina più volte alla sua protezione, quindi ci rivolgeremo a Lei come figli. Dunque, perché la preghiera? Perché vediamo in modo molto chiaro che in un anno di guerra così intensa non si riescono a trovare altre soluzioni, quindi rimane solo il miracolo divino, rimane solo la preghiera e questa è la nostra arma spirituale principale, anzi è quella efficace. E abbiamo piena fiducia – ho piena fiducia – nella protezione della Vergine Maria.

Durante questo anno di guerra è cambiata la percezione della sua missione come nunzio?

Certamente ci sono vari aspetti, ma vorrei sottolinearne uno in particolare, l’aspetto spirituale. Innanzitutto, stando qui, non sappiamo mai che cosa riusciremo a vivere nel momento successivo: se si realizzerà un incontro, se avremo la luce, se avremo la connessione telefonica o se arriverà piuttosto un missile o un drone… Per questo, è un continuo stare con lo sguardo rivolto a Dio, è una speranza spirituale molto intensa di cui sono molto grato al Signore, perché è un dono. Per me stesso vedo la pienezza di ciò che io intendo come la missione di un nunzio apostolico: da una parte, continuare a rappresentare il Santo Padre e la Chiesa, dall’altra parte vivere anch’io personalmente una continua e molto intensa sfida spirituale.

Il 28 dicembre scorso Papa Francesco ha incontrato, durante l’udienza generale, alcune donne ucraine: mogli, mamme, figlie, sorelle dei militari ucraini fatti prigionieri dall’esercito russo. Sappiamo che in precedenza lei le aveva incontrate nella nunziatura a Kyiv. Durante quest’anno la nunziatura apostolica ha sostenuto tante iniziative simili. Quali possiamo ricordare?

Sì, ci sono stati diversi momenti che mi sono rimasti molto a cuore. Ne menzionerei forse due, in particolare. Uno è un mio incontro con le mogli di due militari incontrate in nunziatura nel mese di maggio: erano i giorni in cui i difensori di Mariupol si stavano consegnando come ostaggi. Una delle signore già aveva perso, purtroppo, suo marito; l’altra era in contatto con suo marito proprio in quei minuti. E ho visto che effetto fa quando si interrompe la connessione telefonica: cade la linea e la donna non sa se in quel momento ha già definitivamente perso suo marito o se è ancora vivo. Poi, dopo pochi minuti la linea torna e lei piange perché colui che riteneva potesse essere morto invece è ancora vivo. È un trauma continuo: un trauma continuo, ogni secondo. Poi c’è un altro aspetto che ho sperimentato più volte: i gruppi, le associazioni delle mamme, mogli, a volte sorelle oppure anche fratelli, che in tante occasioni mi hanno detto: “Non sappiamo se è vivo o no, se è ferito o meno. Non riusciamo a visitare, non riusciamo a sapere dove si trova, non riusciamo a sapere se ha vestiti caldi per i mesi freddi d’inverno”. È un continuo non sapere, ed è una tortura. Nella mia mente rimangono impresse tutte queste testimonianze e io le porto nella preghiera, soprattutto nella Messa, nel rosario di tutti i giorni.

Da tante parti dell’Ucraina si sente dire che la gente è stanca della guerra. Lei percepisce questo stesso sentimento? Cosa possono fare i cattolici in tutto il mondo per aiutare il popolo ucraino in questo momento? Le necessità sono cambiate rispetto alla prima metà dell’anno?

È evidente che la stanchezza si fa sentire a tutti i livelli, perché è stato un anno molto intenso. Ho visto le statistiche alcuni giorni fa: 150 mila case distrutte. Queste non sono solo cifre, perché ogni distruzione causa non solo dolore, non solo perdite, ma anche difficoltà perché per esempio: a Mykolaïv e Kherson, la gente di che cosa ha bisogno? Appunto, i bisogni: ha bisogno anche di indumenti intimi, perché non c’è acqua sufficientemente pulita per lavarli. I volontari e i sacerdoti mi raccontano che quando portano il pane, la gente comincia a mangiare lì sul posto, appena lo ricevono, così per l’acqua e i capi d’abbigliamento termici – come le maglie termiche che anche il cardinale Krajewski varie volte ha già portato … La stanchezza c’è anche nella regione di Kharkiv, dove ci sono tantissime case che sono rimaste senza finestre e tanta gente vive nei sotterranei. Oppure a Bakhmut, dove la gente esce dai rifugi per prendere il cibo che viene portato dai volontari della Caritas e poi corre di nuovo a nascondersi nei rifugi. Anche i bisogni sono aumentati, e pure di molto, rispetto all’inizio, perché ora oltre alla necessità del cibo c’è anche la mancanza di riscaldamento e già tantissime organizzazioni, tantissimi benefattori hanno donato generatori oppure stufe. E poi, ci sono altre necessità ancora più impegnative: in tanti posti c’è grande richiesta di psicologi capaci di consigliare i familiari su come affrontare i traumi psicologici subiti sia direttamente oppure con i familiari oppure con i militari che ritornano dal fronte; e poi ci sono i feriti. Inoltre c’è la grandissima urgenza dei bambini. Ci sono tante organizzazioni che sarebbero felici, dove possibile, di offrire accoglienza ai bambini ucraini nei Paesi intorno all’Ucraina, dove i bambini possano rimanere per alcune settimane in un posto tranquillo, senza vivere continuamente con lo stress della guerra.

Papa Francesco ha portato l’Ucraina nel cuore tutto l’anno, manifestando praticamente in ogni celebrazione o udienza la sua solidarietà, la sua vicinanza alla gente colpita da questa tragedia terribile. Che traccia hanno lasciato queste parole in Lei e nelle persone che ha avvicinato?

Soprattutto vorrei sottolineare ciò che mi dicono sia i rappresentanti del governo sia i rappresentanti di altre Chiese: “Purtroppo, non tutti i leader religiosi stanno esprimendo e dimostrando questa vicinanza al popolo sofferente”. Mentre in Papa Francesco questo è evidente, perché basta prendere nelle mani quel volume pubblicato nel dicembre scorso, chiamato L’Enciclica sull’Ucraina, ed è solo un volume degli interventi di Papa Francesco fatti negli ultimi dieci, undici mesi. Per non parlare della lettera di Papa Francesco indirizzata a tutti gli ucraini, il 25 novembre scorso: quella lettera esprime due aspetti molto importanti: uno è il grande calore, la grande vicinanza ai sofferenti: questo lo hanno percepito tutti. Poi, come avrete percepito anche a Roma e altrove, a volte succede che i simbolismi o i termini usati non vengono capiti allo stesso modo nei diversi Paesi e questo accade ancora di più in Ucraina dove si vive direttamente la guerra. Quella lettera è stata molto importante e ha dimostrato chiaramente la percezione del Santo Padre. I paragoni usati: anche quel bellissimo paragone con il freddo che ha sopportato la Sacra Famiglia a Betlemme, e ora il popolo ucraino sta subendo lo stesso freddo. Quindi tanti paragoni usati in quella lettera sono stati ricevuti come ossigeno, perché è un testo molto chiaro. Questo me lo hanno detto anche i leader di altre Chiese – qui non parlo dei cattolici, ma anche i leader di altre Chiese – i diplomatici, e anche i rappresentanti del governo, perché è stata apprezzata la chiarezza e il grande calore che c’era in quella lettera. È come se fosse la chiave di lettura di tanti altri interventi. Il Santo Padre ha offerto l’ermeneutica per tanti altri testi più brevi. Gli sono molto grato anche io, personalmente: molto grato.

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