Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Cooperazione sociale e un lungo percorso nelle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (Acli). Sono questi alcuni tratti del cammino attraverso cui si è snodato l’impegno di Emiliano Manfredonia, nato a Pisa nel 1975. Un cammino che ora continua a tracciare come nuovo presidente nazionale. I delegati del XXVI Congresso nazionale lo hanno votato, lo scorso 20 febbraio, durante la seconda sessione dell’assemblea che si è svolta a porte chiuse e nel rispetto delle norme anti Covid, presso il Seraphicum di Roma e a distanza, attraverso una piattaforma di voto online. Durante il suo primo saluto da presidente, Emiliano Manfredonia ha innanzitutto indicato un verbo: “potere”, nel senso di poter servire, poter far bene.
R. – Questo è il punto d’inizio. La nostra è una grande organizzazione fatta di uomini e di donne che si organizzano nei circoli, nelle imprese sociali. Abbiamo come primo obiettivo quello di servire il prossimo, mettendo al centro chi oggi si ritrova ai margini. Sappiamo benissimo che questo è un periodo in cui molti rischiano di restare ai margini.
La pandemia ha accentuano molte situazioni di povertà e di disuguaglianza. Quali sono, in questo tempo, le sfide per le Acli?
R. – Sono le sfide che ci attendono, soprattutto per il blocco dei licenziamenti. Si deve anzitutto cercare di evitare che, a fine marzo, vengano sbloccati e trovare anche delle soluzioni per il mondo del lavoro. Il problema c’è anche per chi aveva un lavoro precario fino al periodo del Covid. Ma poi quel lavoro precario è venuto a mancare. E quindi sono aumentate le disuguaglianze. Soprattutto i giovani hanno pagato un prezzo altissimo. Ricordiamo che durante questa pandemia 500 mila posti di lavoro a tempo determinato sono venuti a mancare. Quindi per noi sarà centrale il tema del lavoro.
Cosa chiedete in particolare al governo italiano?
R. – Il nostro appello è quello di creare lavoro buono, uno sviluppo che crei lavoro e non concentrarci sui bonus o solo sul sostegno al reddito. Il sostegno al reddito va bene se poi c’è un investimento sulla ricerca di un lavoro buono. Si deve investire in modo strutturale sulle politiche attive del lavoro, partendo da un incrocio di domanda e offerta. Una cosa che deve essere veramente affrontata in modo serio.
In questo momento così difficile le Acli sono chiamate ancor di più ad essere un punto di riferimento per la popolazione, per i lavoratori…
R. – Lo siamo sempre stati. In questo periodo siamo stati chiamati a ulteriori responsabilità. I nostri circoli, purtroppo, sono chiusi, ma stanno cercando di attivare comunque il volontariato. E ci sarà, in futuro, una voglia di rivederci, di incontrarci e di relazione. Siamo impegnati nelle nostre imprese sociali. Siamo impegnati nel patronato, nei nostri servizi fiscali che hanno incontrato milioni di persone in questo anno duro. E saremo impegnati anche per il futuro con idee per il rilancio, per ascoltare le persone e per orientale per un futuro migliore.
Come le Acli guardano al prossimo viaggio di Papa Francesco in Iraq, un Paese dove a gravi ferite causate dalla guerra si aggiunge una lacerante crisi economica e sociale…
R. – Un viaggio importante in una terra che deve essere ricostruita. Simbolicamente, è un messaggio molto forte e, soprattutto, di vera speranza nel futuro.
Uno sguardo anche all’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. Come può crescere in Italia il seme della fratellanza e quale contributo possono dare, in questo senso, le Acli?
R. – Le Acli e altri hanno sempre avuto il loro fulcro nella relazione con l’altro. E credo che anche ritrovarci insieme, fare un’assemblea, esercitare la democrazia all’interno dell’associazione, animare dibattiti pubblici, portare all’attenzione i problemi dei cittadini e delle persone – tutte cose che le facciamo ogni giorno nelle nostre associazioni – possano contribuire a guardare con occhi diversi il prossimo. E a sentirci tutti più fratelli e sorelle.