Laura De Luca – Città del Vaticano
Quando il mondo stava ancora riprendendosi dalla prima guerra mondiale, il visitatore apostolico in Bulgaria, Angelo Roncalli, ebbe modo di apprezzare le qualità della comunità ortodossa, e di intessere con i membri di quella comunità cordiali e fraterni rapporti. Divenuto Papa Giovanni XXIII ebbe, guarda caso, l’intuizione del Concilio Ecumenico Vaticano secondo. Ne diede l’annuncio parlando al sinodo diocesano di Roma nella festa della conversione di San Paolo del 1959. E tornò a parlarne nella stessa occasione l’anno successivo. Come noto, il Concilio si sarebbe aperto due anni dopo, nel dicembre del 1962…
Ricordare tutti insieme i Concili del passato fa palpitare il nostro cuore per la aspettazione ansiosa del grande e nuovo Concilio Ecumenico che sarà il XXI della storia, e che or fa un anno vi abbiamo annunziato nella festa liturgica della Conversione di S. Paolo.
Durante quel Concilio saranno annullate le reciproche scomuniche pronunciate nello scisma d’Oriente tra Roma e Costantinopoli. E uno dei nove decreti prodotti dal lavoro conciliare dei vescovi, Unitatis Redintegratio del 21 novembre 1964, sarà dedicato specificamente all’ecumenismo. Ne illustrerà alcuni obbiettivi papa Benedetto XVI in occasione dei Vespri della Conversione di san Paolo dell’anno 2007…
Nell’ascolto e nel dialogo i Padri conciliari non hanno intravisto un’utilità indirizzata esclusivamente al progresso ecumenico, ma hanno aggiunto una prospettiva riferita alla stessa Chiesa cattolica: “Da questo dialogo – afferma il testo del Concilio – apparirà anche più chiaramente quale sia la vera situazione della Chiesa cattolica” (Unitatis redintegratio, 9). E’ indispensabile certo “esporre con chiarezza tutta la dottrina” per un dialogo che affronti, discuta e superi le divergenze esistenti tra i cristiani, ma al tempo stesso “il modo ed il metodo di enunciare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli” (ibid., 11). Bisogna parlare correttamente (orthōs) e in modo comprensibile. Il dialogo ecumenico comporta l’evangelica correzione fraterna e conduce a un reciproco arricchimento spirituale nella condivisione delle autentiche esperienze di fede e di vita cristiana. Perché ciò avvenga occorre implorare senza stancarsi l’assistenza della grazia di Dio e l’illuminazione dello Spirito Santo. E’ quanto i cristiani del mondo intero hanno fatto durante questa speciale “Settimana”, o faranno nella Novena che precede la Pentecoste, come pure in ogni circostanza opportuna, elevando la loro fiduciosa preghiera affinché tutti i discepoli di Cristo siano una cosa sola, e affinché, nell’ascolto della Parola, possano dare una testimonianza concorde agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Se il documento Unitatis redintegratio veniva siglato nel novembre del 1964, nel gennaio di quello stesso anno Papa Paolo VI aveva affrontato il suo storico viaggio in Terra Santa compiendo un gesto rivoluzionario: l’abbraccio con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras. Era il 5 gennaio:
Certamente, i cammini che per una via o per l’altra portano all’unione possono essere pieni di difficoltà, però i due cammini convergono l’uno verso l’altro alla fonte del Vangelo. E non sarà un buon auspicio il fatto che l’incontro odierno si svolga proprio in questa terra dove Cristo fondò la sua Chiesa, spargendo per essa il suo sangue? In ogni modo questa è una manifestazione eloquente della profonda volontà che grazie a Dio ispira sempre e ogni volta di più tutti i cristiani degni di questo nome. La volontà di lavorare per superare le divisioni e abbattere le barriere; la volontà di avanzare risolutamente per quei cammini che conducono alla riconciliazione. Le divergenze di ordine dottrinale, liturgico e disciplinare dovranno essere esaminate a tempo e luogo con spirito di fedeltà alla verità e di comprensione nella carità.
Paolo VI, che concluderà il Concilio nel dicembre del 1965, avrà sempre molto a cuore il tema dell’unità fra i cristiani. Domenica 24 gennaio 1971: siamo nel pieno della guerra fredda. All’Angelus, il pontefice parla della chiesa perseguitata, della chiesa del silenzio, della chiesa sofferente anche al suo interno, a causa di quella mancanza d’armonia, premessa per un dialogo franco e sincero anche e soprattutto con i fratelli separati…
Abbiamo pregato in questi giorni, voi lo sapete, per la pace nel mondo, problema sempre aperto e sempre dolente; abbiamo pregato per la ricomposizione dell’unità dei Cristiani separati secondo la volontà di Cristo, fondatore d’una unica Chiesa; e continueremo a pregare. Ma oggi quale intenzione particolare proporremo Noi alla vostra carità? Proponiamo la Chiesa sofferente. Vi è sempre la «Chiesa del silenzio», cioè quella che in diverse e vaste regioni del mondo è priva della legittima libertà di vita e di espressione, che pur dovrebbe esserle riconosciuta, secondo i proclamati diritti dell’uomo. (…). Poi vi sono Chiese che soffrono per episodi e situazioni speciali. Alcune di esse sono in Africa, quell’Africa da Noi tanto amata come una «nuova patria di Cristo». E dove poi non soffre oggi la Chiesa? non sono forse spesso i suoi figli che le fanno sorgere in seno acerbi dolori per infedeltà, defezioni, contestazioni e velleità d’ogni genere? dov’è l’armonia gaudiosa della fede e della carità, che dovrebbe essere propria della nostra Chiesa cattolica?
L’invito all’armonia, che dall’interno della Chiesa cattolica possa espandersi anche all’esterno, verso le chiese separate, viene raccolto e ampliato 15 anni dopo, nell’ottobre del 1986. Sempre inseguendo il sogno della pace, Papa Giovanni Paolo II compie un altro gesto rivoluzionario, radunando non solo tutte le confessioni cristiane, ma tutte le religioni della terra ad Assisi, sotto lo sguardo di San Francesco, a pregare insieme per la pace. Rivoluzionario e indimenticabile. Intensa la preghiera ecumenica:
È significativo che, all’approssimarsi del terzo millennio cristiano, noi popolo cristiano ci siamo riuniti qui nel nome di Gesù Cristo per invocare lo Spirito Santo, e per chiedergli di colmare il nostro universo d’amore e di pace. La nostra fede ci insegna che la pace è un dono di Dio in Gesù Cristo, un dono che deve esprimersi in una preghiera a lui, che tiene nelle sue mani i destini di tutti i popoli. È per questo che la preghiera è una parte essenziale nello sforzo per la pace. Ciò che facciamo oggi è un altro anello nella catena di preghiere per la pace annodata da singoli cristiani, nonché da Chiese cristiane e comunità ecclesiali, un movimento che negli ultimi anni è andato sempre più rafforzandosi in molte parti del mondo. La nostra comune preghiera esprime e manifesta la pace che regna nei nostri cuori, dal momento che come discepoli di Cristo siamo stati mandati nel mondo per proclamare e per portare la pace, quel dono che “viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18). Come discepoli di Cristo abbiamo un obbligo speciale a lavorare per portare la sua pace nel mondo.
Ascolta la puntata integrale de Le voci dei papi dedicata al sogno dell’unità fra tutti i cristiani in onda domenica 24 gennaio.