Chiesa Cattolica – Italiana

Il Messiah per la riconciliazione

Marco Di Battista – Città del Vaticano

Il Messiah di Georg Friedrich Haendel nella Cattedrale di Coventry è già una notizia. L’abbiamo ascoltato – e visto – lo scorso giovedì 24 novembre. Nessun oratorio ha la stessa potenza come messaggio di riconciliazione. Vedere l’ottantenne John Nelson, direttore dalla lunga e prestigiosa carriera internazionale, debuttare con il complesso The English Concert, esaltare un ottimo cast formato dal soprano Lucy Crowe, il controtenore Alex Potter, il tenore Michael Spyres e il basso Matthew Brook, e indicare, con fermezza, che questa rappresentazione, così come fu quella del War Requiem di Britten che risuonò qui nel 1962 per la consacrazione della nuova Cattedrale di Coventry, costruita dopo che la struttura originale era stata distrutta durante un bombardamento della Seconda guerra mondiale, possa e debba essere un segno di pacificazione universale. Ecco perché l’esecuzione che raccontiamo merita di essere ricordata. “Come cristiano – ha scritto Nelson – credo che la guerra e il male non avranno l’ultima parola”.

Work in progress

Il direttore americano si propone di eseguire e registrare tutte e sette le versioni del Messiah realizzate da Haendel: un vero e proprio work in progress, un approfondimento sul lavoro più famoso del musicista. Nelson non è certo alla prima esperienza con il Messiah. Esperto di musica barocca, lo ha diretto anche con organici sterminati e in luoghi da concerto rock. Ma giovedì sera, nella cattedrale di Coventry, era tutto diverso. Nelson ha cercato di entrare nel cuore della partitura, pensata come cosa viva, un percorso salvifico in cui la musica ha il compito di esaltare il libretto di Charles Jennens modellato sui testi biblici e sul Book of Common Prayer della Chiesa d’Inghilterra.

Le varie edizioni

Il Messiah fu scritto in poco più di tre settimane e, come detto, rimaneggiato più volte dal compositore. Giova ricordare che questi adattamenti, così come l’uso di materiali provenienti da altre partiture haendeliane, anche e soprattutto da opere liriche, erano una prassi normale prima che il Romanticismo idealizzasse un urtext per la partitura, un testo originario e non modificabile. Il lavoro di Nelson, coaudiuvato perfettamente dall’intero cast, è stato di intervenire con discrezione per esaltare la partitura, mostrando un piglio più energico nei contrasti dinamici. Il cast lo ha accontentato sempre, con Lucy Crowe, stella della musica britannica col difficile compito di sostituire Lisette Oropesa, prevista in un primo tempo. La Crowe, soprattutto nella prima parte, ma anche nella celeberrima I Know That My Redeemer Liveth, si è mostrata perfettamente a proprio agio con la bacchetta di Nelson, sia pure in una partitura che probabilmente conosceva benissimo già in partenza. Stessa cosa si può dire per tenore e basso, Michael Spyres e Matthew Brook. Un discorso a parte va fatto per il controtenore Alex Potter, apparso in una serata particolarmente positiva, sapendo comunicare gli affetti della musica haendeliana, specialmente in He was despited and rejected, l’aria che, subito dopo il coro Behold the Lamb of God, apre la seconda parte dell’oratorio, quella che ci porta dalla Passione del Signore al trionfo dell’Halleluja. Giova forse ricordare che la prima parte ci porta dall’Antico Testamento, soprattutto Isaia, alla nascita del Bambino e alla prefigurazione di quella che sarà la sua gloria. La terza parte, la più breve, è la promessa della vita eterna, la vittoria sulla morte e l’acclamazione dell’Agnello. Tornando all’esecuzione, perfettamente a proprio agio la compagine dell’orchestra e coro The English Concert, anche nel difficile settore degli ottoni, con la tromba perfettamente intonata anche quando suona nel suo momento topico The trumpet shall sound.

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