Mario e Sherif insieme a don Claudio Burgio, al Meeting di Rimini, raccontano il loro cammino di rinascita, il percorso nel ritrovare fiducia nel prossimo e il loro guardare al domani
Benedetta Capelli – Rimini
Ci sono occhi che dicono molto, mostrano parole che non riescono ad uscire, fanno intravedere una sofferenza difficile da dimenticare, una rabbia soffocata o una luce che si è riaccesa intraprendendo una strada nuova. Sono gli occhi belli di Mario, quelli scuri di Sherif e quelli chiari di don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e fondatore della comunità Kayros, nell’hinterland milanese. Arriva con loro al Meeting di Rimini anche per offrirgli un’esperienza diversa dalla quotidianità di Vimodrone. Don Claudio sorride spesso mentre Mario e Sherif sembrano più chiusi ma accettano volentieri di indossare le cuffie e ascoltare soprattutto il don che sentono come un padre, è quello infatti il ruolo che gli hanno affidato.
Don Claudio partecipa ad un incontro chiamato “Mare dentro”: un titolo che per lui ben rappresenta “il caos evolutivo di tanti ragazzi”. “Dico sempre – spiega ai media vaticani – che le prime difficoltà sorgono nell’interiorità, le cause del disagio e della fragilità nascono da dentro, da un vuoto esistenziale, dal non avere degli obiettivi focalizzati, chiari e quando regna questo caos interiore perdersi è più facile”. È proprio in quel caos, nel mare agitato, che l’adulto è chiamato ad intervenire; un adulto – aggiunge don Claudio – che non deve sostituirsi a loro ma che li aiuti a governare la confusione e cercare di guardare dentro la loro interiorità, nella certezza che in ognuno di questi ragazzi c’è un desiderio di bene e di profondità così come un desiderio di fede.
Fiducia, la parola più difficile
“Non vi guardo perché rischio di fidarmi. Storie di cadute e di resurrezione” è l’ultimo libro scritto da don Claudio Burgio. La fiducia è una vetta da conquistare, per arrivarci serve una fatica immane soprattutto se gli adulti ti hanno deluso e abbandonato. “Noi nasciamo in una condizione di fiducia perché viviamo nella fiducia di chi ci ha messo al mondo – spiega il fondatore della comunità Kairos – poi questa fiducia si rompe o si frantuma nell’arricchirsi delle esperienze umane soprattutto nell’adolescenza. La disillusione diventa l’atteggiamento con cui affrontare la vita e lì ci si perde facilmente. Devo dire però che la fiducia si può riacquistare quando diventa una scelta più consapevole soprattutto vivendo insieme, come facciamo noi in comunità quando si impara a fidarsi con grande fatica l’uno dell’altro, a guardare l’altro non come un nemico o come un ostacolo ma come una risorsa e allora la fiducia rinasce”.
Ancora in cammino
Mario è diretto, chiaro e sicuro quando spiega che non ha mai detto né a don Claudio, né ai suoi educatori di aver riacquistato la fiducia nelle persone. “Ci sto provando, sono in comunità per fare un percorso che mi porti a dare più facilmente fiducia nel prossimo, un percorso interiore che necessita di molto tempo, che richiede sforzi non indifferenti per ragazzi come me che, da molti anni, faticano a fidarsi della figura dell’adulto”. C’è un varco che però si è aperto nella sua anima, per lui infatti gli operatori della comunità sono amici, “don Claudio non è semplicemente don Claudio ma è un papà e lo è per ogni ragazzo di Kayros”. “L’ascolto di queste persone – racconta – è fondamentale ogni giorno perché se i ragazzi si sentono ascoltati, presi in considerazione, valorizzati allora possono iniziare a sfogarsi e poi a chiedere anche aiuto che è il passaggio più difficile per i ragazzi con un certo tipo di passato”. Sherif è un ragazzo magro, alto, treccine che gli incorniciano il viso, ha nel cuore Carlotta, l’operatrice che lo ha fatto uscire dal suo nido. “Non sono uno che si fida delle persone, non lo faccio perché sei più grande di me. Quando sono arrivato in comunità sono stato zitto per un mese. Ero lì dopo aver fatto brutti incontri che mi avevano portato su una strada sbagliata”. Oggi è in cammino.
Le strofe che arrivano al bene
L’ascolto, l’esserci quando si ha bisogno, la relazione sono i segreti per scardinare silenzi e sanare ferite. Per don Claudio è importante vivere insieme quotidianamente, fare le cose più semplici come condividere la mensa, pulire insieme la casa, fare le vacanze insieme. “Sono momenti che non hanno chissà quali obiettivi, è una vita condivisa nella quale si instaura un rapporto di fiducia che cresce nel tempo, bisogna avere il coraggio, la volontà e il desiderio di incuriosirsi dell’altro pur sapendo che si può rischiare”. E tanto può fare la musica e l’etichetta appena nata: Kayros Music. “La musica – spiega don Claudio – è un linguaggio espressivo fortissimo, noi adulti eravamo lontani dalla musica rap e trap, ci siamo messi ad ascoltare con loro per capire cosa si muoveva dentro questo linguaggio ed effettivamente abbiamo capito che la musica è un canale espressivo autentico soprattutto per i ragazzi abituati al silenzio, isolati. Nella musica scrivendo vivono una sorta di auto-terapia per accedere a quel bene che è nascosto, è seppellito e che in realtà è un fuoco sempre acceso”.