Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
I canti fanno da cornice al momento più atteso di questo viaggio del Papa prima a Cipro ora in Grecia. Francesco viene per vedere i volti, guardare negli occhi, toccare la carne ferita di tanti che hanno patito enormi difficoltà e ora a Lesbo cercano protezione, ristoro, cura e speranza. Sono circa duecento oggi intorno al Pontefice, ma ne rappresentano migliaia e migliaia che attraverso il Mediterraneo o l’Egeo e che, come anche in tante altre parti del mondo, scappano per costruire una vita migliore e sicura. “I love you” scandiscono al suo arrivo quanti lo attendono in questo campo simbolo, assiepati oltre le transenne. Francesco le percorre a lungo a piedi, accarezza moltissimi bambini – uno di loro fa un giro largo per ricevere un secondo saluto – stringe mani e riceve abbracci. Gli consegnano messaggi e gli mostrano foto, forse di qualche persona cara lontana o che non ce l’ha fatta, fino a raggiungere il palco allestito per l’occasione.
“Siamo felici che Lei sia venuto in mezzo a noi”, “pastore” tra il suo “gregge”: è l’arcivescovo di Naxos, Andros, Tinos e Mykonos, monsignor Josif Printezis a salutare il Papa pellegrino per la seconda volta dopo cinque anni sull’isola dell’Egeo davanti alle coste della Turchia, da cui in tanti si imbarcano. La Chiesa cattolica qui è piccola ed è impossibile accogliere tutti dunque – spiega il presule – siamo qui per “pregare” insieme. Prima di lui erano intervenuti la presidente Sakellaropoulou e il vicedirettore del campo che ha espresso l’auspicio di migliorare le condizioni di queste persone e garantire la loro sicurezza mentre nuovi centri nell’isola sono in corso di costruzione. “Speriamo che le cose migliorino anche per le migliaia di persone che arrivano di continuo”.
Il Papa voce di chi non ha voce, la voce della pace
“Grazie”: è questa la prima parola rivolta a Francesco che si moltiplica anche nella testimonianza di Christian e poi di Len, rispettivamente un rifugiato della Repubblica Democratica del Congo, e un volontario cattolico di Lesbo. Grazie per essere diventato “la voce di chi non ha voce”, la “voce della Pace”: monsignor Printezis rimarca quanto l’interesse del Papa per i migranti e i rifugiati non solo “sensibilizza le autorità”, ma onora quanti sull’isola si sono trovati a far fronte da anni ad uno “sproporzionato afflusso” di persone, servite con impegno continuo, garantendo accoglienza e protezione nel tempo. “La Sua parola – afferma l’arcivescovo – conforta i perseguitati e fortifica i buoni samaritani” come la Caritas Hellas, che si china con attenzione sui loro bisogni e li sostiene nel presente e nei passi futuri.
La storia di un pellegrino in cerca di un porto sicuro
Christian Tango Mukaya, 30 anni, della Repubblica Democratica del Congo, è a Lesbo con i suoi due figli ma separato dalla moglie e dal terzo dei suoi piccoli di cui non ha più notizie da un anno. La storia che racconta in francese è quella di un viaggio tra “difficoltà enormi” e si intreccia con la gratitudine e la fede. Parla al Papa come ad un “padre” preoccupato per i suoi “figli migranti e rifugiati” che Dio voglia ricompensare. Ringrazia il governo e il popolo greco da cui, nonstante le difficoltà, ha avuto alloggio, cura e “un pò di pace”, in particolare dalla parrocchia cattolica locale che lo ha “amato come un bambino” e gli ha dato un luogo in cui pregare. Solida in questo giovane uomo la fede: la persesecuzione e le minacce di morte del suo Paese lo hanno reso pellegrino in cerca di asilo, ma nei momenti difficili si è affidato a Dio e grazie alla forza della preghiera e all’intercessione della Vergine Maria ha potuto superare le difficoltà. Questa è la sua storia, questa la sua vita e oggi al Papa chiede di pregare insieme perché tutti i compagni come lui trovino un posto sicuro in Europa, cura, istruzione, protezione.
La mano tesa vale più del cibo e dei vestiti
Dalla parrocchia cattolica di Lesbo, piccola ma molto attiva, arriva la testimonianza di Len Meachim volontario al fianco “dei nostri fratelli e sorelle rifugiati e migranti in tutto il mondo”. Il suo “grazie” è per un Pontefice che “ispira” e dà forza a quanti “di tutte le fedi o di nessuna” ne condividono la posizione. Al Papa oggi racconta della “vicinanza” che fa parte della sua vita di volontario e che vale più di ogni altra cosa. Un giorno un uomo gli ha detto: “La mano dell’amicizia tesa in segno di benvenuto ha significato anche più del cibo e dei vestiti asciutti”. Così è cresciuta l’attività di accoglienza, prima per quanti arrivavano dalla Turchia, poi dall’Africa occidentale, una presenza benedetta.
Non numeri ma ricchezza e gioia
“Siamo stati benedetti dalla loro presenza. I nostri fratelli e sorelle hanno portato nuova vita nella nostra comunità, e non solo in termini di numero. La forza della loro fede e della loro speranza – spiega Len – nonostante le sofferenze del passato e del presente, nonostante la loro ansiosa incertezza sul futuro, è stata un esempio per noi. Hanno arricchito la nostra fede con la loro gioia, il loro entusiasmo, la loro vitalità giovanile e la loro partecipazione attiva”. Per ciascuno, la comunità cattolica ha offerto sostegno, senza distinzioni e soprattutto grazie agli aiuti anche finanziari giunti da diverse parti: il ringraziamento è ai sostenitori dunque ma anche a questi uomini e donne “eccezionali”, che sono “fuggite dal loro Paese con o senza credenze religiose, ma tutti accomunati da una profonda compassione per i loro fratelli e sorelle, persone capaci, responsabili, con doti e qualità; ci hanno offerto un aiuto inestimabile, un aiuto senza aspettative di ricompensa personale”.
L’appello al mondo
Le parole del Len alla fine della sua testimonianza diventano un appello che si rinforza davanti al Papa: “Che una mano di amicizia sia loro tesa e li sostenga quando raggiungono la destinazione finale, la ‘terra promessa’”. L’esperienza della sua vita ha maturato in Len una ferma convinzione: queste persone costrette a scappare “hanno tanto da offrirci quanto noi abbiamo da offrire loro” e la speranza di una vita nuova deve per loro diventare realtà, perché ogni vita è degna di essere vissuta.
La carezza ai bambini
A chiudere l’incontro del Papa, dopo tante voci, è un gesto: due bambini dal Congo che portano un dono al Papa, un quaderno colorato dei loro compiti. Un oggetto che racchiude speranza di futuro. Si avvicinano con i loro cappottini e i cappelli colorati da cui escono riccioli scuri: poche parole bisbigliate, i saluti e le carezze e poi… ecco che uno dopo l’altro tutti i più piccoli si fanno avanti. Così si chiude questo momento di estrema tenerezza con la dolcezza di Francesco che li accoglie e li saluta come un papà.