Chiesa Cattolica – Italiana

Il gelo è l’ennesima minaccia per l’Afghanistan ferito

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

Congelati: in Afghanistan lo sono i conti bancari, le notizie della cronaca quotidiana ma anche le persone. Infatti l’inverno in Afghanistan è quello delle stagioni, ma anche di un periodo di crisi che non sembra destinato a finire. Almeno non presto. I riflettori si spengono, ma non l’urgenza di aiuti umanitari per milioni di persone che vivono in una condizione sociale, sanitaria ed economica drammatica. Lo dicono le principali agenzie umanitarie, lo denunciano nei loro Rapporti, lo raccontano in tante dure storie. 

La crisi sanitaria

In Afghanistan il “sistema sanitario, da anni fragile, è a rischio collasso, mentre i bisogni della popolazione sono enormi” e per quel che concerne la malnutrizione la situazione è “peggiorata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”, in particolare ad Herat. Inoltre, la maggior parte delle strutture sanitarie del Paese è sotto forte pressione a causa della carenza di personale e attrezzature. È questo il quadro drammatico della situazione umanitaria in Afghanistan che Medici Senza Frontiere traccia in un Rapporto reso pubblico questo mese. “I pazienti non possono sempre accedere alle cure di cui hanno bisogno, mentre l’assistenza sanitaria privata non è una opzione percorribile per milioni di persone”.

Morire di fame e di freddo

La scorsa settimana ha avuto una grande eco nel mondo la storia di una donna, una madre afghana, morta assiderata al confine tra Turchia e Iran, nel villaggio iraniano di Belasur, uno dei punti di transito delle persone migranti afghane che cercano di raggiungere la Turchia e poi l’Europa. La donna era in viaggio con i due figli ed è è stata ritrovata con i piedi avvolti in sacchetti di plastica: aveva dato i suoi calzini ai bambini perché li mettessero sulle mani a protezione. A raccontare la storia è stato il quotidiano turco Daily Sabbah. Fortunatamente i piccoli sono in salvo. Una, tante storie, purtroppo. Come quella riportata oggi dal quotidiano italiano La Repubblica, da un borgo agricolo alle porte di Kabul, dove “i bambini non hanno più la forza di piangere” e “i funerali si moltiplicano di giorno in giorno”. La fame e il freddo a colpire un Paese dove, secondo il direttore del World Food Program, David Beasley, è in corso la “peggiore crisi umanitaria del pianeta”. 

I conti bancari e gli stipendi

Lo scorso mese decine di donne sono scese in pizza a Kabul chiedendo il rilascio dei beni dell’Afghanistan bloccati all’indomani della presa del potere da parte dei talebani, dunque dall’ agosto 2021. Gran parte dei finanziamenti internazionali al Paese sono stati sospesi e miliardi di dollari di beni afghani all’estero, principalmente negli Stati Uniti, sono di fatto congelati. I dipendenti dello Stato, dai medici agli insegnanti e ai dipendenti pubblici amministrativi, non vengono pagati da mesi o sono vittime di importanti ritardi. Le banche, nel frattempo, hanno limitato la quantità di denaro che i titolari di conti possono prelevare, rendendo la situazione ancor più drammatica. 

L’impegno di Emergency

Tre ospedali, quaranta cliniche. Emergency continua ad essere in prima linea per la popolazione afghana. “Non ci siamo mai fermati, anzi ora che i combattimenti sono diminuiti riusciamo ad intervenire anche in zone dove prima non potevamo farlo”, spiega nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News Emanuele Nannini, coordinatore del programma Emergency in Afghanistan. “La nostra presenza nel Paese è stata importante negli ultimi ventidue anni, ma oggi più che mai è fondamentale per milioni di persone che accedono alle nostre cure”. 

Ascolta l’intervista ad Emanuele Nannini

Anche secondo Nannini il problema è innanzitutto politico. “La decisione di congelare questi soldi dall’estero deriva dal fatto che il governo dei talebani non è riconosciuto. Il punto di svolta consiste nel separare le questioni politiche da quelle umanitarie, perché nell’immediato i soldi destinati al supporto della popolazione non ci sono e di conseguenza non si può acquistare ciò che è invece necessario, compreso il cibo”. In questo contesto non si deve dimenticare la cosiddetta fuga dei cervelli: “Dopo agosto chi ha potuto ha lasciato il Paese”, spiega il rappresentante di Emergency, con tutto ciò che ne consegue anche dal punto di vista sanitario. 

Le persone non possono riscaldare le case

“Quanto sta accadendo era prevedibile: l’inverno arriva tutti gli anni e la maggior parte delle persone vive in zone rurali di montagna, dove le temperature sono molto rigide”, prosegue Nannini. “I prezzi stanno salendo anche in Europa, ma qui l’aumento è quasi del 50%, in un contesto – sottolinea – di crisi economica legata, come detto, ai soldi congelati”. Dunque i fattori sono molteplici: “L’aumento dei prezzi, la svalutazione della moneta locale e soprattutto la mancanza di soldi che arriva dall’estero. Questo fa sì – conclude – che la gran parte delle persone non abbiano i soldi per comprare il carburante, il gas, ciò che permetteva loro di riscaldare le case”. 

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